2023-10-24
Gli islamici nostrani divisi su Hamas: «Come l’Isis». «No, atti legittimi»
Izzedin Elzir, imam di Firenze (Imagoeconomica)
Il palestinese Izzedin Elzir, leader della comunità di Firenze: «Condanna netta, no allo scontro di civiltà». Davide Piccardo: «Ma la resistenza è un diritto». E c’è chi chiede all’Occidente di essere più imparziale.«Condanno quel che ha fatto Hamas il 7 ottobre in maniera molto chiara e molto netta, per me chi va a cercare casa per casa donne e bambini per ucciderli a sangue freddo, e chi usa metodi dell’Isis, è senz’altro da condannare». Izzedin Elzir, imam di Firenze dal 2001, è palestinese originario di Hebron. E dalle sue parole emergono pochi dubbi riguardo gli attacchi che hanno scatenato la crisi palestinese di questi giorni. Un conflitto che ha fatto aumentare la tensione non soltanto in Medio Oriente ma anche qui, provocando divisioni laceranti e favorendo l’emersione di timori che sembravano sepolti dopo gli anni di lotta contro l’Isis. Per questo motivo siamo andati a cercare alcuni dei più visibili rappresentanti delle comunità musulmane italiane: per capire come stiano vivendo questo momento, per ascoltare le loro ragioni e le loro posizioni. Quelle delle piazze sono emerse in alcuni cori ripugnanti, che invitavano addirittura ad aprire i confini per «uccidere gli ebrei». Ma cosa dicono i rappresentanti «ufficiali», se così si possono chiamare? L’abbiamo chiesto direttamente a loro: per capire se possa scatenarsi davvero lo «scontro di civiltà» che qualcuno, forse anche giustamente, teme. «Io credo che ci sia una contraddizione nella parola», dice Elzir. «Le civiltà dialogano, non si scontrano. Quando manca questo senso di civiltà, allora si arriva lo scontro. Detto questo, io credo che lo scontro in terra santa fra palestinesi e israeliani sia sui diritti, non sulla civiltà o sulla religione».coesistenzaEcco allora un punto fondamentale: Israele va riconosciuto? E come può convivere con i palestinesi? «I palestinesi hanno iniziato un processo di pace con Israele trent’anni fa, ma purtroppo questo processo è stato bloccato quando un estremista violento ebreo ha ucciso il primo ministro Rabin», spiega l’imam. «Se c’è la capacità delle forze mondiali, delle Nazioni unite, a riprendere questo processo di pace, che deve essere vero, sincero e giusto (e non un processo dove si mangiano i diritti del popolo palestinese un giorno dopo l’altro), si potrà arrivare a una soluzione. Ci vorrebbe il coraggio di affrontare questa questione. Lo Stato d’Israele esiste già: bisogna creare quello palestinese. E poi comprendere le paure dell’uno e dell’altro. La presenza dell’Onu o di terzi deve dare garanzie a una parte e all’altra, rendendo così possibile la convivenza». Un altro punto centrale riguarda il rischio terrorismo. Come scongiurarlo? «Dobbiamo lavorare insieme, tutti, come cittadini italiani, come cittadini europei», dice Elzir. «Io credo che l’Italia possa dare un esempio molto positivo all’Europa: penso alla collaborazione con la comunità islamica italiana, il dialogo interreligioso, il senso di responsabilità anche dei mass media e delle forze dell’ordine. Tutti quanti questi attori hanno lavorato insieme, pensando che la sicurezza del Paese è per tutti, e non per una parte. Grazie a Dio e grazie a questo tipo di collaborazione abbiamo evitato delle tragedie nel nostro Paese. Questo esempio, se venisse preso a livello europeo, credo che potrebbe dare dei risultati positivi». Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, sulla questione palestinese ha una posizione molto netta: «Bisogna affrontarla in modo serio e una volta per tutte», spiega. «Onu, Stati Uniti, Europa, Paesi arabi e Turchia devono mettere fine ad oltre mezzo secolo di ingiustizia. Il popolo palestinese vive in condizioni drammatiche senza che nessuno abbia mai fatto nulla di concreto. Vivere a Gaza e nei territori della Cisgiordania è come vivere in un carcere dove vieni torturato perché hai il cibo, l’acqua, le medicine, l’elettricità razionati e non puoi andare da nessuna parte. L’Europa, al posto di fare la coda per andare a baciare l’anello di Netanyahu, dovrebbe farsi parte integrante di un processo di pace e di riconoscimento dei diritti del popolo palestinese, quelli degli israeliani non sono mai stati messi in discussione».Quale sia la visione del conflitto di Lafram è chiaro. Più sorprendente, almeno all’apparenza, è la soluzione che egli propone. «L’intento dell’Onu, a discapito del popolo di Palestina, era quello di creare due Stati indipendenti e sovrani», incalza. «Ciò non è avvenuto in quanto Israele si è sempre opposto e i palestinesi, milioni sono fuggiti in altri Paesi, vivono da allora sotto assedio. Lo stato di apartheid di cui parlano Amnesty International e Save The Children la dice lunga sulla condizione dei civili palestinesi. L’unico modo per convivere con i palestinesi sta nella parola stessa: convivenza, vivere insieme, stesso territorio, stessi diritti/doveri, stesso accesso alle risorse naturali come l’acqua e la terra. Bisogna sanare questa ingiustizia, rompere le catene e abbattere i muri. Il mio sogno è vedere una risoluzione dell’Onu che dia vita ad un unico Stato democratico e laico che, a prescindere dal nome, riconosca come suoi cittadini tutti quelli che oggi vivono nel territorio della Palestina storica, com’era prima del 1948, quando musulmani, ebrei e cristiani vivevano insieme e in pace». Dunque due popoli, uno Stato. Una prospettiva che non pare lasciare indifferente nemmeno Davide Piccardo, direttore della rivista La Luce. Il quale, prima di tutto, tiene a precisare che quella in corso «non è una guerra di religione contro gli ebrei, non è uno scontro di civiltà». A suo dire, «Israele nasce su un torto enorme fatto ai palestinesi, affinché possa essere riconosciuto serve un processo di pace che sia soddisfacente per i palestinesi, una riparazione storica che non è certo un vezzo ma ha implicazione cruciali sul piano pratico, sulla possibilità di milioni di persone di vivere una vita dignitosa e libera», sostiene. «Non credo che la soluzione dei due Stati sia la migliore perché la vedo come una sorta di pace armata o di guerra fredda pronta a riesplodere il futuro. In primis lo Stato palestinese sorgerebbe sugli scarti, sarebbe inevitabilmente molto povero, a sovranità limitata, e non potrebbe rispondere alla necessità di riparazione per milioni di profughi. Inoltre si porrebbe una questione di ordine geopolitico, due stati confinanti nati da questa storia, rischierebbero di essere risucchiati in orbite opposte, immaginiamo Usa e Cina ad esempio, potrebbe essere una pace fragile, soggetta a necessità esterne. Credo però che anche se in questi giorni possa sembrare fantascienza, una pace solida e duratura implichi saper vivere insieme in una condizione di giustizia riconosciuta dai popoli anche perché, qui sì, la questione spirituale assume grande rilevanza, Gerusalemme è sacra alle tre grandi religioni monoteistiche che hanno origine dalla stessa fonte, una pace a Gerusalemme non è solo una pace in Palestina ma qualcosa di più grande. Per questo gli accordi di Abramo sono un pericoloso paradosso, perché dietro ad un nome così evocativo si nasconde una pax fondata sull’esclusione dei palestinesi e sul congelamento di uno status quo foriero di altre guerre».Saif Abouabid della comunità islamica di Saronno si muove su una lunghezza non troppo dissimile: «Chiaramente oggi sarebbe folle dire che Israele non va riconosciuto, la frittata ormai è già fatta direbbe qualcuno. Israele è uno Stato presente sulle cartine geografiche da molti decenni a questa parte», dice. «La vera domanda oggi è chiedersi perché non esista lo Stato di Palestina. Se non assicuriamo ai palestinesi la possibilità di avere uno Stato di diritto al fianco di quello dei loro fratelli israeliani siamo tutti complici di questa barbarie». A dire di Saif, oggi «l’Occidente ha bisogno di trovare un equilibrio nella situazione attuale, supportando la soluzione dei due popoli e due Stati e dando sia ai palestinesi che agli israeliani la chiara impressione di essere super partes».Se sia davvero possibile trovare un equilibrio è difficile da dire. Così come è difficile immaginare una via di uscita dal conflitto. Secondo qualcuno, però, persino in questa fase è difficile evitare il confronto con Hamas. «Hamas è un movimento politico palestinese maggioritario in Palestina, Ismail Haniyeh è stato premier dell’Anp, i suoi leader sono riconosciuti ed accolti in numerosi ed importanti Paesi come lo sono ad esempio Russia e la Turchia nonché numerosi Paesi arabi ed islamici del mondo», dice Davide Piccardo, che prosegue con un’affermazione estremamente forte e problematica: «Hamas è un movimento che porta avanti una resistenza ad una potenza occupante, ciò che è successo il 7 ottobre per quanto sia doloroso costituisce un’azione che trova riscontro nel diritto internazionale che riconosce ai popoli il diritto di resistere in armi all’occupazione, ricordiamoci che Gaza è in stato di assedio da decenni e che l’assedio è un atto di guerra. Ritengo che siano state messe in circolo numerose fake news su quell’operazione ma in ogni caso tutto ciò che può essere stato fatto in violazione del diritto internazionale umanitario va condannato».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.