2025-05-21
Il Pd vuol fare diventare tutti italiani ma minimizza il vilipendio al Tricolore
La sinistra corre a difendere Katharina Zeller, prima cittadina di Merano. La quale, almeno, sbatte in faccia la realtà ai compagni: le differenze culturali esistono. E per cancellarle non basta un secolo, figuriamoci un referendum.Non sembra aver suscitato particolare sgomento o indignazione a livello politico e soprattutto mediatico il triste siparietto andato in scena l’altro giorno a Merano, protagonista il neo sindaco Katharina Zeller, esponente del Südtiroler Volkspartei (Svp) e appartenente al gruppo linguistico tedesco. La signora ha rifiutato la fascia tricolore che il primo cittadino uscente, Dario Dal Medico (di centrodestra), le ha porto affinché la indossasse in favore di telecamere e flash. La Zeller prima ha cercato di svicolare («Ma sei sicuro che devo proprio metterla?»), poi - quando il collega gliela ha gentilmente infilata - se l’è levata in fretta e furia, appoggiandola su un tavolo: «Mettiamola qui, dai».Quando i rappresentanti alto atesini del centrodestra sono insorti, la Zeller ha malamente cercato di giustificarsi. «La mia reazione nel rimuovere la fascia tricolore subito dopo che mi era stata posta sulle spalle non deve in alcun modo essere interpretata come un gesto di disprezzo verso i simboli della Repubblica o verso il tricolore stesso», ha detto. «Indosserò la fascia con il massimo rispetto in tutte le circostanze previste dal protocollo istituzionale, come sempre fatto anche dai miei predecessori di lingua tedesca. Vorrei inoltre sottolineare che in Alto Adige, per consuetudine, il distintivo ufficiale previsto per i sindaci è il medaglione con lo stemma della città. In questo contesto, l’insistenza dell’avvocato Dal Medico nel volermi far indossare anche la fascia - in modo forzato e fuori dalle pratiche locali - è stata percepita da me come un gesto provocatorio e un chiaro segnale di sgarbo istituzionale. In un momento già carico di tensione, ho vissuto quel gesto come una sfida personale. La mia reazione è stata istintiva, umana, e in nessun modo politica o simbolica contro il tricolore. Mi dispiace constatare che si stia cercando di strumentalizzare questo episodio per deviare l’attenzione dalla vera notizia: la netta e storica vittoria al ballottaggio, con uno scarto di 1.880 voti». Insomma, secondo la Zeller il problema starebbe nella forzatura messa in atto dal suo predecessore. «Questo tentativo di sollevare una polemica infondata punta solo a sminuire l’importanza di un cambiamento politico maturo, costruito su un reale dialogo tra i gruppi linguistici, che ho sempre promosso e continuerò a promuovere con responsabilità», ha aggiunto l’esponente Svp. La quale però, parlando con Repubblica, è apparsa decisamente meno conciliante e anzi ha scelto di buttarsi sui grandi classici del vittimismo di sinistra: il sessismo e il fascismo. «Mi sono opposta a un gesto provocatorio, teso a presentarmi come una bambina infantile obbligata ad ubbidire a un esperto uomo maturo», ha dichiarato. Poi ha aggiunto: «Non lo rifarei ma mi sono opposta a un gesto provocatorio dell’estrema destra». Ovvio: la provocazione sarebbe l’invito a indossare la bandiera italiana, per la quale con tutta evidenza prova una certa repulsione. Lei ha sbagliato, ma è colpa della destra, del sindaco uscente che è un «uomo maturo» e infido. La Zeller può provare a girarla come le pare, ma il fatto è che ha rifiutato il Tricolore, e non c’è scusa che tenga. Semmai, i tentativi di incolpare i fasci brutti e cattivi la rendono solo più ridicola. Il suo gesto è stato offensivo e pure ipocrita, poiché non risulta che la signora abbia intenzione di rifiutare anche i benefici economici derivanti dall’appartenenza alla Repubblica Italiana. In realtà, il suo atteggiamento non può stupire chi conosca anche solo superficialmente la situazione dell’Alto Adige, dove certo la componente germanofona ha ragioni storiche e culturali per rimarcare la propria diversità. Stupisce un filo di più e irrita l’atteggiamento della sinistra italiana, che ha immediatamente preso le difese della Zeller. La quale, giova ricordarlo, è sostenuta dal Partito democratico ed è figlia di due politici potenti, ovvero Julia Unterberger (senatrice Svp) e Karl Zeller (ex senatore molto influente). Anch’essi sono legati da un antico rapporto di amicizia con i dem, e infatti il senatore Pd ed ex sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli è corso in sua difesa: «Credo che Katharina Zeller avesse in mente qualcosa che nulla aveva a che fare con la fascia, abbia agito senza pensarci e semplicemente non si è resa conto che avrebbe urtato delle legittime sensibilità», ha detto Spagnolli. «Non dimentichiamo che i sindaci Svp, in genere, come dice anche lei, prediligono come simbolo della loro carica il medaglione con lo stemma del Comune, simbolo ufficiale previsto dalla normativa regionale sugli enti locali, e sono quindi poco abituati alla fascia. Il gesto è stato un errore, ma escludo che vi sia stata volontà di vilipendio del Tricolore. Semplicemente, quando si diventa sindaci, una ridda di pensieri si accumula nella testa e può succedere di fare qualcosa di sbagliato». Ancora più grottesco il commento di Corrado Augias uscito ieri in prima pagina su Repubblica. Augias ha stigmatizzato l’alleanza fra Fratelli d’Italia e alcuni elementi provenienti dalla Svp a Bolzano, a suo dire negativa perché espressione di due nazionalismi opposti. Poi ha cercato di giustificare la Zeller spiegando che, nei fatti, gli altoatesini germanofoni appartengono a una cultura differente dalla nostra. «La sutura tra le due comunità non si è completata in un secolo e non si risolverà nemmeno in un prossimo futuro», afferma il lungimirante Corrado. E può anche darsi che abbia ragione. Ma viene allora da chiedersi: se gli austriaci del Sudtirol alleati della sinistra non si sono integrati e non si sentono italiani, perché dovrebbero farlo migliaia di stranieri nordafricani, centrafricani e asiatici che sbarcano in Italia ogni anno? Eppure il Pd sta promuovendo un referendum che chiede di concedere a questi ultimi la cittadinanza dopo soli cinque anni: dovrebbero costoro diventare italiani in un lampo quando la componente tedesca altoatesina non ci è riuscita in un secolo e briciole?La vicenda della Zeller svela almeno due evidenze. La prima è che a sinistra l’amor patrio è considerato un optional: va bene a corrente alternata e in generale interessa poco pure a chi non appartiene a minoranze culturali e linguistiche. Il rigetto per la bandiera e la nazione è diffuso, e tutte le culture e le etnie vengono difese e valorizzate a patto che non siano italiane. La seconda evidenza riguarda appunto queste culture ed etnie: si può anche sostenere che non esistano o non abbiano peso, che si possono modificare e sostituire abolendo i confini. Ma, piaccia o no, le culture esistono e sono rilevanti, resistono alle interferenze e non si uccidono facilmente, nonostante i tentativi dei progressisti. I quali, a differenza degli altoatesini, non hanno ragione alcuna per non sentirsi italiani.
(Ansa)
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