2020-01-23
La Clinton non impara nulla e torna ad attaccare Sanders
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Non riesce a darsi pace. Hillary è nuovamente intervenuta nella complicata campagna elettorale per le primarie democratiche del 2020. In un nuovo documentario, l'ex first lady è andata infatti all'attacco di Bernie Sanders, reo di averle conteso la nomination quattro anni fa e di non averla - a sua detta - sostenuta abbastanza.«È stato al Congresso per anni. […] Non piace a nessuno, non c'è nessuno che voglia lavorare con lui, non ha concluso nulla. È un politico di carriera. Sono tutte sciocchezze e mi spiace per la gente che si fa abbindolare», ha dichiarato la Clinton in riferimento al senatore del Vermont, che - dal canto suo - non si è scomposto più di tanto. «Chiariamo una cosa: piaccio a mia moglie», ha replicato.Non è la prima volta che l'ex first lady si è trovata a criticare il vecchio rivale del 2016, accusandolo di aver azzoppato la propria candidatura e di aver quindi indirettamente favorito la vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. Non dimentichiamo che, durante le scorse primarie democratiche, la battaglia elettorale si fosse trasformata in un duello, con la Clinton che rappresentava l'ala centrista del Partito democratico e Sanders a capo della sinistra. Lo scontro fu serratissimo e venne infine vinto (non senza polemiche e controversie) dall'ex first lady. Ex first lady che, anziché scegliere - in sede di convention - come vice un rappresentante della sinistra, decise di optare per il senatore della Virginia, Tim Kaine: un centrista in tutto e per tutto simile a lei. Con il risultato che gli elettori di Sanders, alla fine, o si astennero o votarono per Trump.Hillary, insomma, continua a cercare colpevoli per giustificare la cocente sconfitta del 2016. E i suoi bersagli preferiti sono rappresentati da Sanders e dai russi. Quei russi che avrebbero complottato ai suoi danni, per favorire l'ascesa del magnate newyorchese. Non dimentichiamo che, lo scorso ottobre, l'ex first lady abbia duramente attaccato l'attuale candidata alla nomination democratica, Tulsi Gabbard, e l'ex candidata del Green Party, Jill Stein, accusando sostanzialmente entrambe di agire per conto degli interessi di Mosca. Ricordiamo che la Stein, alle presidenziali del 2016, ottenne l'1,1% dei voti a livello nazionale: una quota irrisoria che tuttavia, secondo Hillary, avrebbe contribuito in modo determinante a raffrenare la sua vittoria. La Gabbard, dal canto suo, risulta molto vicina alla sinistra del Partito democratico (nel 2016 diede il proprio endorsement a Sanders) ed è collocata su posizioni antisistema, soprattutto in materia di politica estera: feroce critica delle cosiddette guerre senza fine, la deputata delle Hawaii preme per una distensione nei confronti della Russia e della Siria. Si tratta, a ben vedere, di intenzioni programmatiche che non piacciono troppo all'establishment clintoniano dell'asinello. E, per quanto la Gabbard sia oggi data sotto il 2% dei consensi a livello nazionale, la Clinton ha paventato possa nutrire la segreta macchinazione di fondare un partito autonomo, con l'obiettivo di azzoppare l'asinello. Le affermazioni dell'ex first lady non sono comunque rimaste senza conseguenze. Non solo, mesi fa, la deputata delle Hawaii replicò duramente, definendo Hillary, tra le altre cose, una guerrafondaia. Ma, mercoledì scorso, l'ha anche querelata per diffamazione.Insomma, tutti questi episodi mostrano un certo attivismo della Clinton nelle attuali primarie democratiche. Un attivismo che nasce probabilmente da cause svariate (e non - come qualcuno ritiene - da improbabili nuove ambizioni presidenziali). In primo luogo, c'è indubbiamente l'ormai consueto scontro, interno all'asinello, tra centro e sinistra: uno scontro in atto da anni che, negli ultimi mesi, si è accentuato sempre di più. Uno scontro di cui - non trascuriamolo - Hillary stessa dovrebbe assumersi non poche responsabilità, viste le scelte politiche errate da lei compiute nella campagna del 2016. In secondo luogo, si scorgono due fattori forse ancora più profondi. Innanzitutto la totale assenza di autocritica da parte di una ex candidata che ha oggettivamente sbagliato strategia elettorale quattro anni fa e che, ciononostante, continua a cercare ovunque colpevoli. Peccato che, come dimostrarono le rivelazioni di WikiLeaks nel 2016, il comitato elettorale dell'asinello avesse esercitato non poca della propria influenza per mettere i bastoni tra le ruote a Bernie Sanders. E che quindi Hillary non si potesse certo definire un'outsider sola contro tutto e tutti. In seconda battuta, l'aspetto forse maggiormente rilevante oggi è che questo atteggiamento possa risultare rivelativo di un fattore non poco significativo: è come se, cioè, la Clinton volesse ribadire il proprio potere tra le alte sfere dell'asinello. Un potere certamente sbiadito e infiacchito, ma ancora presente in alcuni settori importanti del partito. In tal senso, l'atavica faida tra centristi e radicali costituisce soltanto una parte del problema. Perché, in questo caos, quello che emerge è come il vecchio potentato clintoniano stia disperatamente tentando di mantenere la propria presa sul Partito democratico, per rallentare il più possibile un declino probabilmente inesorabile. Si tratta di una questione non di poco conto, che contribuisce ad aumentare la confusione e i veleni in seno a una compagine che mai come oggi avrebbe bisogno di unitarietà. Anche perché l'influenza della Clinton è ancora cospicua nell'asinello: si pensi soltanto al fatto che il grande architetto dell'impeachment contro Trump, il deputato democratico Adam Schiff, abbia mostrato un forte sostegno politico all'ex first lady negli ultimi anni.Tra l'altro, non è affatto detto che queste intemerate di Hillary possano poi rivelarsi proficue per la propria area. Non solo la Gabbard sta cercando da tempo di usare il duello con l'ex first lady per acquisire consenso. Ma lo stesso Sanders potrebbe risultare avvantaggiato dal recente attacco ricevuto. Non dimentichiamo che il senatore del Vermont abbia ripreso a salire nei sondaggi dalla fine di novembre: dalla discesa in campo, cioè, di un rappresentante dell'establishment politico-finanziario, come Mike Bloomberg. In tal senso, Sanders potrebbe trarre profitto da una sorta di effetto Hillary, che gli garantisce di polemizzare efficacemente con quel sistema, contro cui da sempre si batte. Un po' come Trump. Non trascuriamo del resto che, pochi giorni fa, il presidente americano abbia accusato su Twitter il Partito democratico di star tentando di boicottare Sanders, come ai tempi del 2016. Non sarà un caso che, quell'anno, sia Trump che il senatore del Vermont abbiano costruito le proprie campagne elettorali sul contrasto al sistema: quello stesso sistema di cui era (e forse è ancora) massima rappresentante proprio la Clinton.