2024-02-04
Dalle nozze gay al limite dei 30 orari: l’allergia dem al rispetto delle leggi
Il Pd torna alla carica col ddl Zan, malgrado la bocciatura di tre anni fa. E il sindaco di Bologna, Lepore, invoca invece la battaglia sulle auto lumaca: «Il nostro è un progetto politico, il ministero non ci fermerà».Una volta la terza Camera dello Stato era Porta a Porta, adesso è il tinello di Elly Schlein, quello con la chitarra Fender appoggiata alla poltrona Frau in tinta. Nel mondo distopico immaginato dal Pd le norme in vigore, le procedure parlamentari, le maggioranze elettorali sono soltanto fastidiosi ostacoli alla narrazione gruppettara della segretaria. Lo conferma la «riproposta» di legge di Alessandro Zan, pubblicata nei giorni scorsi e fotocopiata da quella che andò a schiantarsi in aula tre anni fa, con l’intento (coraggioso e ottuso al tempo stesso) di far entrare un tassello quadrato in un buco rotondo: il matrimonio gay, la maternità surrogata più le trascrizioni per i figli delle famiglie arcobaleno comprati all’estero con l’utero in affitto.La proposta cambia solo nel nome, «matrimonio egualitario», e nel secondo firmatario, appunto la leader del partito democratico che con il suo peso politico interno ha portato in dote il supporto di una cinquantina di parlamentari dem. In sintesi la legge, destinata a creare divisioni anche dentro il primo partito della sinistra (difficile che i cattolici si discostino dai no di allora), ribadisce «la possibilità di contrarre matrimonio anche per persone dello stesso sesso», andando oltre le unioni civili in vigore per ottenere l’uguaglianza giuridica dei coniugi. Oggi in Italia il matrimonio così chiamato può essere contratto solo da persone di sesso diverso.Così costruita, la seconda legge Zan è un cavallo di Troia per far passare ben altro. Un articolo prevede infatti l’estensione della procreazione assistita anche a coppie di donne e alle donne single, una porta d’accesso alla maternità surrogata che nel nostro Paese è vietata. Nella pancia del progetto piddino c’è anche la registrazione dei figli nati all’estero dalla gestazione per altri «con trascrizione immediata, per evitare vuoti di tutela, del provvedimento straniero formato a seguito del ricorso di surrogazione di maternità». Finora chi lo ha fatto ha bypassato la legge, abbandonando degli innocenti nel limbo amministrativo. Tutto questo nel nome della disubbidienza civile, portata avanti da sindaci come Giuseppe Sala a Milano, che cominciò a firmare deroghe fino a quando la Procura non gli fece sapere che i suoi uffici stavano commettendo un reato.È la strategia della spallata nel nome dei fantomatici diritti universali che solo sul pianeta progressista hanno un perimetro e un valore giuridico. Ma in definitiva potrebbe anche essere l’occasione per il centrodestra di regolamentare una volta per tutte la procedura, oggi in balia delle sentenze giudiziarie dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale che sollecitava il legislatore a disciplinare meglio la materia. La strada preferita dalla sinistra à la carte, con bagliori extraparlamentari, si sta concretizzando anche su un altro tema lontano anniluce nel merito ma non nel metodo: la battaglia per i 30 all’ora nelle città. Dopo la direttiva del ministero dei Trasporti con la quale si ricorda che la legge ammette le zone 30 «previa motivazione dei Comuni, strada per strada, riguardo alla riduzione della velocità rispetto ai 50 di norma», il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha serenamente ribadito: «Noi andremo avanti». Per lui la legge dello Stato è un optional, non conta. Sotto la torre degli Asinelli vige l’extraterritorialità del rosso antico. La risposta anarco-insurrezionale del primo cittadino è appesa a una motivazione da commissariamento prefettizio, che Lepore si affretta a rendere ufficiale: «Come città di Bologna abbiamo posto alla nostra comunità e al Paese l’obiettivo di ridurre la velocità per salvare vite e rafforzare la sicurezza stradale. La nostra è una proposta politica e il nostro è un progetto politico». Di fatto conferma di essere fuori dalla legge e di voler continuare a non rispettarla. Crede di essere Gabriele D’Annunzio alle porte di Fiume, spalleggiato dal Nazareno che evidentemente gli ha chiesto di andare avanti per creare un conflitto istituzionale.Una posizione molto delicata, nella quale c’è il disprezzo acclarato di una legge nazionale in vigore, votata a suo tempo a maggioranza parlamentare e rispettata da ogni Comune, tranne alcuni guidati da vicerè delle Indie con la tessera del Pd. Dopo aver abolito la parola «patriota» nelle targhe stradali e spalmato il sito del Comune di parole con lo schwa finale, Lepore si percepisce un duce. Su Bologna 30 ha già rifiutato un referendum popolare e ora aggiunge con accenti da descamisado: «La risposta del ministero non è politica ma burocratica e noi non possiamo essere sommersi da carte bollate». In suo soccorso arriva la cavalleria degli architetti e urbanisti dem guidati da Stefano Boeri, che con una lettera al ministro Matteo Salvini esprimono «profonda preoccupazione per l’involuzione che il nostro Paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte dell’Unione Europea». È curioso notare come Lepore si faccia scudo degli architetti quando è in difficoltà, ma non abbia alcuna remora a licenziarli su due piedi quando gli dicono che la Torre della Garisenda è a rischio crollo. Torna alla mente la famosa frase di Massimo D’Alema: «Capotavola è dove mi siedo io». In quel gran pezzo dell’Emilia i soviet non muoiono mai.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.