2025-09-21
Don Nicola Bux: «Il Papa a Gaza? Ascolterà lo Spirito Santo»
Papa Leone XIV (Ansa). Nel riquadro don Nicola Bux.
L’ex collaboratore di Ratzinger riflette sull’auspicio di Freccero di vedere Prevost come pellegrino in Palestina, tra le vittime: «Un’immagine che ricorda Pio XII dopo il bombardamento di Roma nel 1943, in mezzo alle macerie. O Wojtyla a Sarajevo».Teologo, già stretto collaboratore di Joseph Ratzinger nella Congregazione per la dottrina della fede e poi durante il suo pontificato, don Nicola Bux conserva autorevolezza e lucidità di giudizio di quella stagione. Ieri ha letto l’intervista alla Verità nella quale Carlo Freccero racconta il suo sogno di vedere papa Leone XIV andare a Gaza a sporcare la sua veste bianca con il sangue della guerra.Don Nicola, anche lei è un sognatore?«Ho letto e sono ammirato di quanto Freccero ha espresso con singolare profondità, individuando il nodo della vicenda che credo non riguardi solo Gaza, ma il mondo intero, perché quello che accade lì è, in un certo senso, emblematico di ciò che accade nel mondo. Condivido soprattutto la convinzione di Freccero per il quale una nuova narrativa possa venire dalla religione».Che cosa le fa venire in mente l’immagine del Papa pellegrino disarmato a Gaza?«Mi ricorda il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 e le macerie del quartiere di San Lorenzo dove Pio XII si recò per portare consolazione alla popolazione. E mi ricorda anche Giovanni Paolo II che si recò a Sarajevo. Diciamo che entrambi gli episodi giustificano in qualche maniera il sogno di Freccero».Al fianco di Pio XII c’era un giovane Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. La Chiesa sta dove il popolo è sofferente?«Questo è il suo statuto fondativo. La parrocchia di Gaza è retta da don Gabriele Romanelli che appartiene all’istituto del Verbo incarnato. Questo istituto è famoso per stare nelle situazioni più emarginate del mondo. La parrocchia riunisce anche la presenza dei cristiani ortodossi. Don Romanelli ha ribadito che loro non si muoveranno da lì».L’immagine di papa Pacelli con le braccia allargate tra la gente di Roma è rimasta nella storia.«È così, certo. Tuttavia, all’indomani della sua elezione, nella messa in Cappella Sistina con i cardinali, papa Leone XIV ha detto che “noi dobbiamo sparire perché Cristo rimanga”. Un’espressione molto importante. Che ci deve far riflettere perché purtroppo, nell’attuale sensibilità mediatica, una visita del Papa, qualsiasi Papa, avrebbe un forte impatto mediatico, ma potrebbe avere anche un contrappeso negativo, di appagamento dello spettacolo».Freccero non la immaginava con questa inclinazione.«No, anzi. Ammiro la sua idea perché egli stesso ha detto che sarebbe espressiva di una religione che si fa carico del dolore dell’umanità a differenza delle altre due religioni, l’ebraica e l’islamica, incapaci di usare la misericordia perché prigioniere della legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente. Dicendo che si è dimenticato il comandamento “non uccidere”, papa Leone ha voluto richiamare la radice della guerra. Non dobbiamo avere paura a dire che questa radice si chiama peccato. Quando Freccero dice che la religione cristiana ha conservato una integrità dovrebbe includere che bisogna avere il coraggio di dire che la causa prima delle guerre, degli omicidi e delle violenze si chiama peccato. Proprio papa Pio XII diceva che “il peccato più grande nel mondo d’oggi consiste nel fatto che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato”».Che immagine sarebbe quella di papa Leone XIV tra le macerie di Gaza?«Sarebbe l’immagine replicata di Cristo presente nel mondo e nell’umanità sofferente. Certamente avrebbe una sua efficacia. Però, in realtà, non sarebbe nient’altro che un’enfasi di quello che la Chiesa già fa a Gaza. Don Romanelli, il patriarca Pierbattista Pizzaballa e gli altri religiosi orientali dimostrano che la Chiesa non abbandona il popolo».È vero, la Chiesa è già presente in quella tragedia. Ma l’andarci di proposito del vicario di Cristo in terra potrebbe produrre anche un soprassalto emotivo?«Non dubito che un atto del genere avrebbe tale impatto e porterebbe a riflettere. Tuttavia, occorre valutare ciò che rimarrebbe a carico di coloro che vivono lì tutti i giorni. I padri francescani, la comunità di cui fa parte il patriarca di Gerusalemme, da otto secoli sono nella Terra santa e, grazie alla loro minorità, al basso profilo, riescono a mantenere la posizione tra gli opposti contendenti. Perché, come mi hanno detto diversi cristiani del posto, il problema non è la guerra di Gaza ma la persistenza dei cristiani in quella regione».Che cosa potrebbe smuovere una visita di papa Prevost a Gaza?«Realisticamente, credo quasi nulla perché le parti non guardano al Papa come a un’autorità morale, ma come a un capo politico. Dai musulmani viene percepito come il capo dell’Occidente. Anzi, dalle fasce più estremiste, come il capo delle crociate. Gli ebrei non lo vedono come il vicario di Cristo, ma con sospetto, come una presenza che potrebbe interferire negli affari del Paese. Leone XIV dovrebbe calibrare l’iniziativa con i cristiani locali, soprattutto adesso che c’è una recrudescenza degli ebrei radicali contro i cristiani. In particolare, dovrebbe confrontarsi con il patriarca di Gerusalemme che è un profondissimo conoscitore del mondo ebraico».Un gesto così potrebbe scalfire l’insensibilità di Benjamin Netanyahu e dei terroristi di Hamas?«Forse sì, perché è vero che qualsiasi gesto dirompente può avere effetti imprevisti. Tutto è possibile. Il Papa potrebbe sentirsi ispirato a rompere degli schemi e a osare. Quando Paolo VI andò in Terra santa nel 1964 era ben conscio che sarebbe stato strumentalizzato. Però osò farlo dopo aver accuratamente preparato quell’azione. Le problematiche sono complesse».Sarebbe un gesto profetico, una testimonianza oltre i protocolli della diplomazia che appartiene a una Chiesa del martirio?«Quando si dice “gesto profetico” si dice Spirito Santo. In passato vescovi e preti hanno promosso marce per la pace in luoghi di guerra, ma dopo tanti anni siamo al punto di prima. Il problema è la conversione del cuore dell’uomo a Dio, all’amore per il prossimo e alla grazia. Questo è un lavoro diuturno, non basta un gesto, per quanto eclatante. La Chiesa va in tutto il mondo a far conoscere il vangelo per far conoscere Dio. Questo cambia l’uomo perché quando si conosce e ama Dio non si fa la guerra».Questa idea è poco realistica e nemmeno ipotizzabile?«È ipotizzabile perché il Papa è assistito in modo speciale dallo Spirito Santo. Se lo farà sarà perché si sarà sentito incoraggiato a farlo. Se non lo farà vuol dire che lo Spirito Santo non gliel’ha suggerito».