
A San Siro sfida di vertice fra Antonio Conte e Andrea Pirlo, riflettori puntati su Cristiano Ronaldo e Romelu Lukaku. Ma la partita più accesa è quella per la cessione di quote da parte di Zhang, pressato da Pechino. Alla finestra un fondo simile a Elliott. Delikatessen. «Prego prima lei, ma si figuri non potrei», come madamine del Paese dei campanelli. Dolcetti e salamelecchi fra Antonio Conte e Andrea Pirlo mentre le due armate affilano i tacchetti per il derby d'Italia. E i tifosi in fondo sperano che sia sporco e cattivo (magari non brutto) come da storico destino. Inter-Juventus per ora è nelle gentilezze furbe dei due allenatori che tentano di scaricarsi il peso di una sfida, di un pronostico. L'interista: «Siamo cresciuti ma nessuno può dire di avere colmato il gap con la Juventus. In nove anni hanno dominato e hanno saputo ringiovanire con intelligenza ed esperienza». Lo juventino: «Ad Antonio piace scaricare le responsabilità, vinciamo da nove anni ed è normale che abbiamo più pressione. Ma anche loro sono stati costruiti per vincere. Conte mi ha fatto venire voglia di fare l'allenatore, da lui ho imparato tanto e gli sono grato. Ha anche un grande spessore umano».Fine dei minuetti. Il resto è tattica dietro gli schermi dei computer in attesa che i 22 protagonisti, in campo a specchio con i 3-5-2, accendano le micce nel calcio della desolazione. Fra gli urli delle panchine, gli strepiti di calciatori che denunciano sevizie al primo buffetto (vittimismo da asilo) e l'assenza di quel pubblico che è il senso primo e ultimo di ogni sport, ma soprattutto di questo. I bianconeri temono Romelu Lukaku e non hanno Matthijs DeLigt (Covid) per mettergli il guinzaglio, gli interisti sanno che Cristiano Ronaldo non sbaglia tre partite consecutive da quando giocava nelle giovanili del Nacional di Funchal. Dalle sue parti dovrebbe andare Alessandro Bastoni che se la cava da filosofo situazionista: «Quando è in forma è immarcabile ma bisognerà pur fermarlo».In chiave nerazzurra c'è qualcosa di curioso nella partita che può consolidare (Inter a +7) o rimescolare (Juventus a -1) gli equilibri dopo un assolo torinese durato nove anni. Oltre che dietro la scrivania (Beppe Marotta) e in panchina (Conte), spicca un ex bianconero di peso anche in campo, quell'Arturo Vidal che fu leone formidabile della miglior Juventus e che finora all'Inter è stato un mezzo disastro. Volenteroso, potenzialmente decisivo ma pasticcione, quasi autolesionista - passaggi alla carlona, rigori regalati - come un Felipe Melo qualsiasi. Stasera la sua cresta da gallo cedrone sarà sotto gli occhi di tutti. La Signora a San Siro non perde dal 2016, curiosamente l'unica partita che gli interisti ricordano con Frank De Boer in panchina.Aspettando le folate di Achraf Hakimi e i dribbling di Federico Chiesa, qualcosa di essenziale succede fuori dal campo: questo potrebbe essere l'ultimo derby d'Italia della famiglia Zhang. Oggi fra due delle storiche padrone del calcio italiano (mai dimenticare il Milan, men che meno quello targato Paolo Maldini-Stefano Pioli-Zlatan Ibrahimovic) la principale differenza è nelle quote societarie: quelle della Juventus sono blindate nella cassaforte di villa Frescot («Cedete pure tutto ma non la squadra», disse Gianni Agnelli prima di morire) mentre quelle dell'Inter sono in vendita.La causa è tutta cinese sulla direttrice Wuhan-Pechino. Il virus che ha desertificato gli stadi, abbattuto gli introiti pubblicitari, sterilizzato il marketing, contratto i diritti tv ha inflitto un colpo alle casse di tutti, a cominciare da quelle del club nerazzurro, che aveva una media di 60.000 spettatori anche contro lo Spezia e il Crotone. Ma come molte altre società sportive, anche l'Inter avrebbe superato pur con sacrifici la bufera se non si fosse trasformata in tempesta perfetta. Dopo il Covid è arrivato un nuovo diktat del regime di Xi Jinping, che ha chiesto ai grandi gruppi di limitare o azzerare gli investimenti esteri, soprattutto quelli ritenuti non strategici dal partito comunista al potere (dettaglio che a differenza di Angela Merkel e Giuseppe Conte sarebbe bene non dimenticare). E il pallone è fra questi.Zhang Jindong si è trovato, per dirla alla milanese, in braghe di tela. Le casse sono vuote e i giocatori hanno concordato la dilazione di due mensilità di stipendio. La liquidità non s'inventa con gli stadi deserti, la Champions volata via e i rubinetti chiusi. Così il numero uno è corso ai ripari mettendo sul mercato il 30-40% del club per attirare nuovi investitori in grado di accompagnarlo nella traversata del deserto. Suning resta un colosso asiatico degli elettrodomestici con joint-venture in essere con Jack Ma, il patron del colosso Alibaba improvvisamente scomparso dai radar dopo le imposizioni. Gli Zhang vorrebbero continuare a gestire un club al quale hanno imparato ad affezionarsi. Ma business is business e in queste settimane i conti dell'Inter (con un passivo stimato attorno ai 100 milioni) sono sulla scrivania del fondo internazionale Bc Partners, con sede a Londra, che - come ha spiegato il Financial Times - sta studiando l'ingresso con un investimento di 400 milioni. Poiché tradizionalmente fondi di questo livello non entrano con quote di minoranza (come insegna la strategia di Elliott, proprietario dell'altra sponda del Naviglio), ecco che agli Zhang si aprirebbe la possibilità, con una cifra attorno ai 900 milioni, di fare bingo: vendere la quota di maggioranza, rientrare dall'investimento iniziale, fare contento in governo cinese. E «Fozza Inda». La decisione dovrebbe arrivare a inizio febbraio e non cambierà le strategie sportive. I fondi comprano oggi per vendere meglio domani. E un'Inter competitiva per lo scudetto, di nuovo in Europa, con una rosa che vale oltre i 400 milioni e un bacino di tifosi affamati di calcio live in un mondo vaccinato, rimane un asset in crescita naturale. Detto così, sembra molto più difficile battere la Juventus.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






