2018-07-13
Integrazione nigeriana: spacciare morte
Una gang di pusher africani per mesi ha venduto dosi di eroina letale, provocando una raffica di decessi fra i tossicodipendenti I criminali, la maggior parte richiedenti asilo, facevano base in un centro accoglienza di Mestre usato come magazzino di droga.Una ex caserma in provincia di Treviso riadattata a centro di accoglienza e riempita fino all'orlo di richiedenti asilo da un imprenditore di Palermo e da una cooperativa toscana. Tutto con il benestare della Prefettura locale.Lo speciale contiene due articoliSe a Mestre, in un centro di accoglienza, fossero morti dieci migranti, si sarebbe scatenato l'inferno. Tutti i giornali d'Italia e forse d'Europa ne avrebbero scritto con toni drammatici, metà dei nostri politici avrebbe gridato all'emergenza nazionale. Invece, visto che sono morti dieci drogati, se ne sono fregati quasi tutti. Nel 2017, nell'arco di appena tre mesi, almeno dieci persone sono morte di overdose nei dintorni della città veneta. Secondo i conti del Gazzettino, le vittime sarebbero addirittura sedici. Una aveva 30 anni, era madre, l'hanno trovata morta in uno stabilimento abbandonato, sola in mezzo alla sporcizia. Un'altra era Irma, 21 anni, crollata a terra sotto gli occhi del fidanzato subito dopo il buco. Il più anziano fra i morti aveva 50 anni. Altri sono stati appena più fortunati di lui: li hanno ripresi per i capelli all'ospedale, dove sono arrivati in condizioni critiche. A causare la strage è stata l'eroina gialla. Giampiero Frison, direttore del laboratorio di tossicologia forense dell'Ulss 3 Serenissima, parlando con il Gazzettino, la definì «una preparazione da strada». Un tipo di droga che contiene una «percentuale di principio che varia dal 20 al 30%», contro l'1-2% dell'eroina venduta in precedenza. La trasmissione di Rai 2 Nemo realizzò uno straziante servizio sull'argomento. Intervistato dall'inviato Marco Maisano, un ragazzo tossicodipendente spiegò dove comprasse la droga assassina: «Dai neri. La vai a prendere dai neri che vendono la morte, dicono». La voce della strada diceva il vero: i neri vendono la morte. E una delle centrali di smistamento dell'eroina mortale era il centro di accoglienza di Dosson di Casier, in provincia di Treviso. È scritto chiaramente nelle carte firmate dal gip del Tribunale di Venezia, Marta Paccagnella. La droga veniva nascosta in alcune abitazioni e nel centro profughi allestito nella ex caserma Serena, nel Trevigiano. Martedì circa 500 poliziotti - con tanto di unità cinofile ed elicottero a sorvolare la zona - sono entrati in via Monte San Michele, a Mestre. Un quartiere flagellato dallo spaccio, territorio dei neri venditori di morte. La retata ha concluso un'operazione durata nove mesi e condotta dalla squadra mobile guidata da Stefano Signoretti. Su richiesta del pm antimafia Paola Tonini sono state emesse 41 ordinanze di custodia cautelare, il 90% delle quali riguarda richiedenti asilo. In 30 sono stati arrestati, 12 le espulsi. Eccoli qui, i bisognosi che abbiamo accolto e gentilmente ospitato. Qualcuno sostiene che i migranti ci pagano le pensioni. Beh, questi avevano trovato un modo per risparmiare allo Stato il disturbo di staccare gli assegni di quiescenza: facevano in modo che molti italiani alla pensione non ci arrivassero proprio. Li lasciavano a morire nell'orrore e nello schifo con una dose in vena. Ma chi erano questi «neri» di cui parlavano i tossicodipendenti di Mestre? Si tratta di nigeriani legati a uno dei tre grandi gruppi della mafia africana, una sorta di setta chiamata Eiye (la «confraternita dell'aquila»), attiva nel nostro Paese nel 2008. Si occupano di spaccio, ma pure di prostituzione. A comandare gli spacciatori mestrini pare che fosse Kenneth Ighodaro, 36 anni. È ancora nascosto in Francia, forse nella regione dello Champagne. Da lì impartiva gli ordini ai suoi sottoposti, che agivano come un piccolo esercito. Erano bravi impiegati, seri e rigorosi. «Il capo li fa andare avanti e indietro», ha detto uno dei pusher agli investigatori. Ogni tanto, infatti, si lamentavano per il troppo lavoro. Seguivano regole ferree, i nigeriani. Agivano in gruppi di quattro, non indossavano abiti appariscenti o accessori costosi, per non attirare l'attenzione. Organizzavano con largo anticipo gli ordini della droga, in modo che il flusso della distribuzione fosse costante. Era «un flusso quotidiano, diurno e notturno, ininterrotto di cocaina ed eroina ad elevatissimo principio attivo», scrive la gip Paccagnella. La droga veniva «offerta agli assuntori a un prezzo basso, a fronte di dosi aventi quantitativi doppi o anche tripli rispetto a quelli normalmente presenti sul mercato». I nigeriani non si facevano scrupoli se gli acquirenti crepavano come bestie, a frotte. Hanno invaso il mercato con il loro prodotto proveniente da Olanda, Spagna e Francia. L'eroina gialla, appunto, anche detta «black jeans». La vendevano in dosi da 20 euro, un prezzo stracciato. In questo modo - oltre che con i pestaggi - hanno fatto fuori la concorrenza dei maghrebini. La loro merce era talmente potente da uccidere, specie al primo utilizzo. I tossicodipendenti la temevano, ne erano spaventati e attratti insieme. Sapevano di rischiare la pelle, ma la provavano lo stesso. L'eroina gialla era una tentazione talmente diabolica che persino i consumatori di lungo corso, quelli che fanno regolare uso di metadone, avevano ripreso a bucarsi. Nelle tasche dei nigeriani entravano un sacco di soldi. Dopo la raccolta in strada, venivano portati nel negozio di articoli per parrucchieri di via Monte San Michele (ora sequestrato per riciclaggio) gestito da Friday Nosakhare Eduzola, e poi affidati agli spalloni che li trasportavano in Nigeria. Un sistema efficiente, non c'è che dire. Un meccanismo che ha falciato decine di vite, e che veniva portato avanti per lo più da richiedenti asilo, anche all'interno di un centro di accoglienza generosamente finanziato dai contribuenti italiani. Si sente ripetere spesso che i migranti sono «gli ultimi degli ultimi». Ma non è vero. Gli ultimi sono i ragazzi italiani abbandonati tra le braccia fredde e bucate della tossicodipendenza. Gente che muore in topaie luride, che si fa scoppiare il cuore e le vene nel silenzio e nell'indifferenza, grazie a sostanze che gente vigliacca vende per le vie delle nostre città. A questi ultimi nessuno pensa mai. Loro non sono un'emergenza. Per loro, come per Pamela Mastropietro, non ci sono magliette rosse, appelli, videomessaggi e sfilate. Per loro c'è solo l'oblio, perché salvando la vita di un migrante ci si fa belli, salvano un tossico non si ottiene niente. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/integrazione-nigeriana-spacciare-morte-2586104863.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="facevano-i-narcos-in-una-caserma-con-il-benestare-della-prefettura" data-post-id="2586104863" data-published-at="1758168734" data-use-pagination="False"> Facevano i narcos in una caserma con il benestare della Prefettura Era la principale centrale di stoccaggio di droga dell'organizzazione nigeriana che riforniva le piazze venete finita, martedì scorso, nella maxi retata alla stazione di Mestre. La merce veniva nascosta nelle stanze del centro di accoglienza, evidentemente con la complicità di qualcuno all'interno, dopo che, già da tempo, le risse al coltello tra gli ospiti della struttura lasciavano presagire regolamenti di conti legati allo spaccio. La storia della caserma Serena di Dosson di Casier, prima zona militare, poi perno del business dell'accoglienza e infine magazzino di quello - ancor più redditizio - della droga, merita di essere raccontata dall'inizio. Tutto comincia nel 2015 a Quinto di Treviso, dove «c'è un imprenditore che ha delle case invendute, c'è una coop che va in giro per l'Italia a cercare profughi da piazzare» e dove, come già nel 2016 scriveva Mario Giordano nel suo libro Profugopoli (Mondadori editore), «imprenditore e coop siglano un bell'accordo», secondo il quale «la coop si prende i profughi e li mette nelle case invendute dell'imprenditore». E non pochi: 101, per la precisione, da piazzare secondo l'accordo in un quartiere residenziale. Solo che questa volta i cittadini si ribellano: il 10 luglio scoppia una protesta tutt'altro che formale, come racconta Giordano, con «materassi incendiati, notti di fuoco, rivolte e aggressioni» che attirano «le tv con le loro dirette e i dibattiti da talk show» tanto che «il prefetto viene rimosso e i 101 profughi spostati da quel condominio». E dove finiscono? Nella caserma Serena, appunto, 20.000 metri quadri di superficie abbandonati da anni al confine tra il comune di Treviso e quello di Casier, e «riadattata in meno di 24 ore» per diventare uno dei più importanti hub della regione, come ebbe a vantarsi uno dei soci della cooperativa Xenia (di Mauro Andreini, imprenditore di Grosseto) la stessa che aveva siglato l'accordo con l'immobiliarista di cui sopra (i Marinese di Termini Imerese, Palermo) al quale nel frattempo, a quanto risulta, era stata data in gestione la struttura di accoglienza. Capace di far girare quasi 10 milioni di euro all'anno. Una cifra da capogiro, ottenuta tutta con il benestare della Prefettura che nel 2017, cioè a due anni dall'apertura, tollerava, prolungando in deroga la convenzione già stipulata e senza indire un nuovo bando, che all'interno dell'ex caserma, a fronte di una capienza di 437 persone venissero stipati ben 742 sedicenti profughi. Proprio in quel periodo di sovraffollamento cominciarono anche le risse. Quella balzata agli onori delle cronache vide coinvolte 40 persone - con parecchi coltelli - e mise in grave allarme i residenti della zona. Scoppiò lo scorso luglio, quando ad affrontarsi furono, guarda caso, un gruppo di gambiani e un gruppo di nigeriani, «alcuni ospiti da tempo nella struttura e altri invece che avrebbero voluto entrare senza averne l'autorizzazione», riportarono i giornali locali, in un passaggio che alla luce dell'operazione di martedì scorso suona particolarmente sinistro. Eppure l'accoglienza nell'ex caserma i buonisti l'hanno sempre difesa. Anzi, nel tempo casa Serena era diventata quasi l'emblema dello Stato «buono» che accoglie a dispetto dei cittadini, «cattivi», che quei poveri profughi nel quartiere residenziale non ce li avevano voluti. Sulla stampa allineata era tutto un susseguirsi di storie strappalacrime di quei giovanotti salvati da chissà quale guerra, mentre (nel luglio del 2016) fu addirittura Papa Francesco a voler incontrare 45 richiedenti asilo della struttura, ricevendoli in udienza in Vaticano insieme ai responsabili della cooperativa, al sindaco di Casier Miriam Giuriati. L'apoteosi dei buoni sentimenti verso quello che nel frattempo, come ha svelato la maxi retata, era diventato un centro di stoccaggio in mano ai nigeriani fu raggiunta il 9 marzo scorso, quando qualcuno vergò sul muro esterno dello stabile la scritta «Fuoco alle caserme che ospitano immigrati» e «Basta immigrazione». Il gesto ebbe molto eco mediatico e fu condannato all'unanimità dalle autorità locali, che presentarono anche denuncia contro ignoti per il «grave atto». Alessia Pedrielli
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)