2023-11-10
Indi inceppa la macchina della morte
Le pressioni italiane fanno vacillare i giudici inglesi. Che però innescano uno stillicidio sulla pelle della bimba e dei suoi genitori. Il Bambino Gesù di Roma pronto per accogliere la piccola. E in extremis si muove anche la Cei: «Vita sempre degna d’esser vissuta».«Quasi impossibile». Per ora il miracolo è l’interpretazione di quel «quasi» che sta mettendo in crisi l’intero sistema giudiziario inglese. Il sorriso di Indi Gregory, otto mesi, è più potente del collaudato protocollodell’Alta Corte di Londra. È la forza del dubbio, forse della coscienza. Il giudice Robert Pell avrebbe dovuto decretare la fine della giovane vita ieri alle 17, ma ha rinviato a oggi lo stop ai «supporti vitali» in attesa di una nuova pronuncia, questa volta della Corte d’Appello. E al Queen’s Medical Center di Nottingham due medici in camice attendono prima di staccare la spina. Papà Dean e mamma Claire hanno potuto osservare per un’altra notte Indi mentre «piange, sorride, sgambetta» come da video proiettato durante un’udienza. La speranza in una retromarcia è flebile, ma ora c’è. Dopo la concessione della cittadinanza italiana alla piccola da parte di Palazzo Chigi, la famiglia Gregory sta tentando di tutto - tranne che incatenarsi a un’ambulanza - per salvarla. Lo fa con un amore e un’umanità sconosciuti a giudici e medici inglesi, prigionieri della loro autoreferenzialità, più legati a un protocollo infanticida che a una fragile vita da custodire. Lo fa aiutata dallo Stato e dalla diplomazia italiana, dagli avvocati che stanno seguendo il caso (in primis Simone Pillon), dall’associazione Pro Vita & Famiglia rappresentata da Jacopo Coghe. E dallo staff dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma che ha pronta la stanza per accogliere la bambina nel centro di Passoscuro.Lì vengono ospitati i bambini che hanno bisogno di cure palliative, destinate ai pazienti che non possono guarire ma che hanno diritto di vivere «nel modo migliore possibile» (secondo il giuramento di Ippocrate e un dettame millenario di umanità) i giorni che a loro restano. I sanitari dell’ospedale romano non hanno mai messo in discussione la diagnosi dei colleghi britannici: la patologia che ha colpito Indi è una malattia mitocondriale irreversibile. Ma questo non è un buon motivo per sopprimere una vita senza il consenso dei genitori, responsabili per legge dei minori. Anche perché, come da giorni ripete Dean Gregory, «negli Stati Uniti c’è un bimbo con la stessa malattia e adesso ha nove anni».Per tentare di salvare Indi si è mosso anche Matteo Corradini, console italiano a Manchester, che nella sua funzione di giudice tutelare ha emesso un provvedimento d’urgenza, dichiarando la competenza della giustizia italiana e autorizzando l’adozione del piano terapeutico proposto dall’ospedale Bambin Gesù, con il conseguente trasferimento della minore a Roma. Il console ha anche nominato un curatore speciale per gestire le procedure e ha inoltrato un altro ricorso all’Alta Corte per fermare la procedura, appellandosi alla Convenzione dell’Aja.In prima linea c’è il papà della bimba, determinato a non lasciare nulla di intentato. «Pensiamo che sia nel miglior interesse di Indi andare in Italia per ricevere le cure che potrebbero aiutarla a respirare, aprendo una valvola attraverso l’impianto di uno stent, per poi poterci concentrare sulla sua malattia mitocondriale che può essere trattata con queste terapie. Sappiamo che Indi è una combattente, lei vuole vivere e non merita di morire». Dean non è né religioso, né battezzato ma ha voluto che la figlia sfortunata lo fosse. La spiegazione è da pelle d’oca: «Il tribunale mi sembrava un inferno, era come se il diavolo fosse lì. Ho pensato che se esiste il diavolo, allora deve esistere Dio. Una volontaria cristiana visitava ogni giorno il reparto di terapia intensiva e mi ha detto che il battesimo ti protegge, ti apre la porta del paradiso. Ho visto com’è l’inferno e voglio che Indi vada in paradiso».Nel buio della procedura si è intravisto uno spiraglio di luce che ora l’Alta Corte inglese sta facendo fatica a richiudere. In un primo tempo il giudice Pell aveva sentenziato l’impossibilità di trasferire Indi dall’ospedale, sia all’estero, sia nella cameretta di casa nel Derbyshire dove i genitori volevano che trascorresse le sue ultime ore. Difficile non pensare a un’impuntatura in questa fredda, marmorea decisione. Ancora una volta l’eugenetica di Stato si stava nascondendo dietro una giurisprudenza punitiva ormai consolidata in Gran Bretagna, come nei quattro casi analoghi: Charlie Gard (10 mesi), Alfie Evans (2 anni), Archie Battersbee (12 anni), Isaiah Haasrtrup (8 mesi). Nel giorno del giudizio di Indi Gregory, anche i vescovi italiani prendono posizione con un comunicato: «La vita è sempre degna di essere vissuta, anche quando la persona sembra più fragile», è il richiamo della Cei. «Il suicidio assistito o la morte procurata non sono mai gesti umanitari». Chissà se il sorriso di una bimba di otto mesi ha lavorato, nella notte dell’Innominato.
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