2023-01-12
Incuria e indifferenza: il caso della struttura per disabili di Bresso
Le foto del degrado nella Rsd di Bresso "Il Faro"
Il Faro era un’eccellenza. Ma la psicosi per la pandemia ha limitato i controlli all’attuale gestione. E ora gli ospiti vivono in scarse condizioni igieniche, con soffitti che gocciolano e pochi operatori. Continuando a pagare 2.800 euro al mese.Premessa: la storia che stiamo per raccontare non è un caso di malasanità. E’ la storia di indifferenza e di una gestione che di certo può - e deve - essere migliorata. È la storia di come vivono oggi quaranta ospiti disabili della Residenza Il Faro, a Bresso, in provincia di Milano. Parliamo di persone tra i 18 e i 65 anni con diverse problematiche sanitarie, la maggior parte non autosufficienti e non deambulanti. Una storia che dimostra anche come bandi fatti male, di durata eccessivamente limitata, non incentivino gli investimenti, l’assunzione e la formazione di personale qualificato. Ma partiamo dal caso di questa Rsd lombarda che è frutto di un finanziamento regionale inizialmente destinato al Comune di Cinisello Balsamo, intorno agli anni 1996-97. A causa della mancanza di un’area da destinare a questa struttura, Cinisello rinuncia. Fu l’allora sindaco di Bresso, Daniele Giannuzzi, a battersi per portare il progetto nel proprio Comune. La struttura venne realizzata nel 1998 e in quel momento era una delle poche residenze a Nord di Milano con 40 posti per disabilità grave. Bresso non aveva, per fortuna, la capacità di saturare la struttura, allora si aprì la residenza a tutti i comuni limitrofi (Cinisello, Sesto San Giovanni, e anche il capoluogo lombardo). Per dare respiro al progetto e per mettere al centro dell’attenzione il benessere dell’ospite si costituì una commissione con tutti i soggetti potenzialmente coinvolti: associazioni di volontariato, associazioni del territorio esperti del settore. L’obiettivo iniziale era quello di far diventare quella struttura, oltre a un luogo destinato a ospitare persone con disabilità, un punto di riferimento per una riflessione permanente sulle condizioni della disabilità nel nostro Paese e trovare e sperimentare le soluzioni migliori per gli ospiti. Si ritenne importante farne anche un luogo di cultura che migliorasse la vita delle persone che avrebbero vissuto li. Vi furono organizzati concerti, mostre, dibattiti, gite e iniziative di vario genere che coinvolgevano anche le scuole grazie a tanti volontari e a una commissione permanente che ha sempre vigilato sul suo funzionamento. Poi è arrivato il virus, il Covid e i lockdown. E questo ha quasi fatto dimenticare la struttura lasciando che il gestore - la cooperativa sociale onlus Codess - naufragasse nella sua disorganizzazione, anche a causa della mancanza di un controllo assiduo da parte del comune. Tutto questo nell’ultimo anno ha avuto, e sta avendo, un pesante effetto sulle condizioni psicologiche degli ospiti.Più volte sono state inviate segnalazioni e istanze relative alle criticità sia infrastrutturali, sia gestionali. Che - si legge in una lettera spedita dalla presidente della Commissione consultiva lo scorso 14 novembre anche all’attenzione del sindaco di Bresso e del presidente di Angsa (Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo) Lombardia - «hanno avuto un riscontro parziale e palliativo con mere giustificazioni che si protraggono da un triennio». Nella stessa missiva (che non risulta aver ricevuto risposta) viene sottolineato il «costante stato emergenziale in cui gli ospiti sono limitati e a volte privati delle loro necessità e attenzioni vitali di igiene e cura». E sollecitato un «urgente ripristino dell’igiene e della stabilità». Sempre a novembre è stata presentata anche una denuncia ai carabinieri di Bresso dalla madre di un’ospite dell’Rsd perché i pazienti «vengono costretti a trascorrere la giornata in camera essendo i corridoi poco salubri, frequentano i luoghi comuni, che precedentemente erano condivisi da tutti, in turni, anche agli orari della consumazione dei pasti e alcuni sono «costretti a consumare il pasto serale alle 17.30». Nella denuncia si spiega anche che «è evidente riscontrare la presenza di un solo operatore o di un solo educatore di turno durante i fine settimana». La Verità ha potuto vedere il materiale fotografico che conferma trascuratezza, sporcizia e degrado. Piantane per la Peg ormai obsolete, traballanti, deteriorate e sporche. Sollevatori poco sicuri e sporchi, imbragature sfilacciate e quindi poco sicure. Soffitti colabrodo, acqua nel corridoio e nelle stanze e tubi ostruiti. Sono stati segnalati anche escrementi di topi nel controsoffitto. Disorganizzazione e incuria avrebbero reso, inoltre, impraticabile la cosiddetta «stanza degli abbracci» per i contatti sterili tra gli ospiti e i loro cari che era stata pagata dal Comune e installata nella residenza. A complicare la situazione è stata anche la scadenza del bando sulla gestione. E la modalità con cui è stato fatto quello nuovo per la concessione dal 1 luglio 2023 al 30 giugno 2028. La commissione ha inviato al Comune qualche suggerimento da inserire nel bando di gara: dal numero degli operatori necessari alla formazione annuale del personale interno, passando per un elenco dei lavori di ristrutturazione necessari come il rifacimento delle tubazioni idrauliche e degli impianti elettrici. Le richieste sono state considerate solo in parte, non è stato ad esempio raccolto l’appello sulla necessaria presenza del personale di assistenza ed educativo ogni giorno della settimana. Soprattutto, non è cambiata la durata del bando. Cinque anni sono pochi per rimettere in sesto la struttura e dotarla di una organizzazione efficiente, anche dal punto di vista dell’assunzione di personale qualificato e stabile. Il modello scricchiola a monte: per assistere persone fragili con disabilità diverse e, spesso, gravissime, bisogna mettere al centro del progetto le persone. La sensazione è che nell’elenco delle priorità arrivino sempre prima i costi e il personale. Anche in una struttura come quella di Bresso la cui retta è di 2.800 euro al mese.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)