2018-05-13
Fisco, immigrati e orgoglio anti Ue. L’aria del Nord tira sul programma
La discussione sul contratto tra Lega e 5 stelle si sposta a Milano. Nel documento fissati 22 punti: l'accordo sulla flat tax e gli sbarchi tiene, spazio alla «rinegoziazione dei trattati europei». Oggi nuovo incontro.Intanto, il capo dello Stato commemora Luigi Einaudi e lo usa come un bastone contro l'asse M5s-Lega: «Non usava la sua funzione in modo notarile: ha dato un incarico senza ascoltare i partiti e respingeva le leggi senza copertura». Un modo per mettere pressione sulla trattativa.Le resistenze grilline sull'ingresso di Fratelli d'Italia nel governo restano, però il dialogo non si chiude. Grazie agli onorevoli di Giorgia Meloni, la maggioranza sarebbe più solida. E il leader 5 stelle, Luigi Di Maio, lo sa.Lo speciale contiene tre articoli.Trattativa lunga, con il pregio di mettere tutto nero su bianco. Anche se il contratto per il governo del cambiamento rischia una pericolosa tagliola già domani mattina, quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio dovranno fornire al Colle il nome del premier. Intanto mentre i due capi di Lega e 5 stelle viaggiano ancora nella totale diffidenza e pensano a come fronteggiare il ritorno alla candidabilità di Silvio Berlusconi, non scoprono le carte sui vertici del futuro governo. Tutto si concentra sul contratto che entro questo pomeriggio dovrebbe essere definito, anche se potrebbero volerci altri giorni per limarlo. Ieri sera prima di cena Salvini e Claudio Borghi, responsabile economico del Carroccio, hanno lasciato la sala del Pirellone nella quale sono stati chiusi per diverse ore. «Abbiamo trovato la quadra sui punti fondamentali di governo», ha dichiarato il numero uno leghista, confermando di non aver parlato di incarichi ma di temi perché «è meglio un governo che si impegni sulla base di un programma».Al momento in cui è andato in stampa il presente articolo, i punti inseriti nella bozza di contratto erano 22 e stando alle indiscrezioni l'ultimo sarebbe quello legato al futuro dell'Ilva. Un punto che era stato chiesto con forza dai 5 stelle sul quale alla fine avrebbe prevalso la linea della Lega. I primi sono per la chiusura dello stabilimento, Salvini non ne vuol sapere. L'ipotesi è che venga stesa una dichiarazioni d'intenti sulla questione di Taranto che accontenti gli uni e gli altri, e quindi - di fatto - non dica nulla. Un rischio che vale anche per gli altri punti, visto che difficilmente il testo definitivo conterrà numeri esatti e stime di bilancio. Dall'immigrazione alla flat tax al reddito di cittadinanza alle norme sul conflitto di interessi, sono tutti i punti entrati nel possibile programma di governo. E, dalle pensioni alle tasse, arrivano anche le prime simulazioni su costi ed effetti. L'introduzione del meccanismo di «quota 100», tra età anagrafica e contributi, per andare in pensione potrebbe costare 15 miliardi l'anno. La flat tax a due aliquote, con detrazioni decrescenti e cumulo dei redditi familiari, è l'altro pilastro, anche se nei fatti non potrebbe portare il nome di flat tax, avendo appunto due aliquote. Comunque, viste tutte le peculiarità progressive, il modello misto, come ieri ha calcolato il Sole 24 Ore potrebbe richiedere nel 2019 coperture per 50 miliardi. Malgrado la criticabilità tecnica, sarebbe un importante taglio di tasse: «A conti fatti i benefici, per una gran parte di contribuenti, potrebbero garantire un alleggerimento attorno al 40-50% per la maggior parte delle famiglie», si legge sul quotidiano di Confindustria. C'è poi il reddito di cittadinanza. Si lavora a una soluzione di compromesso ispirata al «reddito di autonomia» sperimentato dalla Regione Lombardia e in ogni caso l'ipotesi non supererebbe i due anni di durata. In pratica, un allargamento dell'attuale reddito d'inclusione, approvato lo scorso anno dal governo di Paolo Gentiloni. La necessità di annullare l'aumento Iva da 12,5 miliardi che scatterebbe a gennaio in caso di mancate coperture è uno degli aspetti più delicati della trattativa. Venerdì mattina fonti vicine ai grillini avevano dichiarato apertamente di voler rispettare tutti i diktat europei. «Non ci saranno forzature», recitava più di una agenzia. «Un eventuale sforamento sarebbe comunque concordato con i partner europei, anche se l'obiettivo del prossimo esecutivo, che sarà razionale e ragionevole, è quello di rispettare il target dell'1,5%». Se dovesse essere necessario sforare, «a quel punto ne discuteranno nei consessi internazionali e con garbo», spiegava la principale agenzia di stampa italiana. Salvini è invece su una posizione più sostenuta. Chi l'ha incontrato l'ha definito infuriato per le dichiarazioni fatte trapelare da Di Maio. Non a caso la Lega punta a gestire le clausole di salvaguardia allargando la percentuale del deficit. Se il prossimo esecutivo non riuscisse a sterilizzarle ogni famiglia italiana - stando ai dati della Cgia di Mestre - subirà un incremento medio di imposta pari a 242 euro. E questa sarebbe stata la leva principale utilizzata dal Carroccio per convincere la controparte a sottoscrivere anche i punti aggiunti nel corso della giornata e tutti riguardanti i rapporti con l'Ue. Nel contratto di governo è quindi spuntato un impegno programmatico a rivedere i principali accordi con l'Europa (Salvini l'ha detto: «Rinegozieremo i trattati Ue») a cominciare dalle tematiche bancarie (che saranno affrontate a Bruxelles a partire dal 28 giugno prossimo) e quelle connesse alla revisione del trattato di Dublino. Sulla gestione dell'immigrazione ci sono state infatti convergenze totali, in particolare sul contrasto ai clandestini e sul rafforzamento delle procedure per il rimpatrio forzato dei migranti irregolari presenti sul territorio nazionale. In qualche modo l'aria milanese (i due partiti hanno deciso di trovarsi nella sede del consiglio regionale della Lombardia e non a Roma) si è fatta sentire. E se Di Maio ieri sera si è detto soddisfatto definendo i punti di convergenza ampi, Salvini ha ribadito che se le congruenze arriveranno all'80% «il governo può partire». Il motto sarà, dunque, meno tasse e un'Europa più snella. Anche se il seme iniziale della trattativa rappresenta un paradosso di fondo. La bozza del contratto, anzi il template del documento, è stato fornita dai 5 stelle ed è letteralmente copiato dal contratto firmato in Germania dall'Spd, Csu e Cdu con notaio Angela Merkel. D'altronde Rocco Casalino, il portavoce, parla tedesco quasi meglio dell'italiano.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/incontro-pirellone-borghi-casalino-2568280922.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mattarella-picchia-guardate-che-comando-io" data-post-id="2568280922" data-published-at="1760718155" data-use-pagination="False"> Mattarella picchia: guardate che comando io LaPresse Un bunker. Il ventiduesimo piano del Pirellone, la sede della Regione Lombardia, sembra un fortino assediato. Clima teso, quello in cui si è svolto ieri a Milano il tavolo tecnico tra Lega e M5s, per discutere del contratto di governo ma soprattutto del nome del premier, che dovrà essere comunicato tra oggi e domani al capo dello Stato, Sergio Mattarella. La notizia della riabilitazione di Silvio Berlusconi e le dichiarazioni di venerdì sera di Giorgia Meloni, che ha sbandierato ai quattro venti la tigna con la quale Luigi Di Maio insiste nel voler diventare presidente del Consiglio, non contribuiscono a rendere più serena l'atmosfera del vertice, che prende il via nel primo pomeriggio. Per la Lega, quando l'incontro ha inizio, al tavolo ci sono Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli, Nicola Molteni, Armando Siri, Gian Marco Centinaio e Claudio Borghi; per il Movimento 5 stelle Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora, Laura Castelli e Rocco Casalino. Matteo Salvini arriva alle 16 in punto. Di Maio e Salvini, mentre le delegazioni dei due partiti lavorano al contratto di governo, discutono riservatamente, faccia a faccia. «Di nomi», dice Di Maio, «non abbiamo parlato ancora, oggi si parla del contratto di governo». Il giovane leader pentastellato sa bene che Matteo Salvini gli chiederà conto del colloquio di venerdì con la Meloni, nel corso del quale Di Maio ha rimesso sul tavolo la propria premiership. Il nome del premier è il pilastro sul quale dovrà reggersi il governo legastellato, se governo ci sarà. Mentre M5s e Lega discutono, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è a Dogliani, il paese di Luigi Einaudi, per celebrare i 70 anni dall'insediamento al Quirinale del primo capo dello Stato eletto dal Parlamento. Monita, Mattarella, eccome se monita. Il suo discorso è pieno di frecciate nei confronti dei «ragazzi», a cominciare da una sottolineatura: quella di Einaudi non fu «una presidenza notarile». «Cercando sempre», dice Mattarella, «leale sintonia con il governo e il Parlamento, Luigi Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio. Fu il caso illuminante del potere di nomina del presidente del Consiglio dei ministri, dopo le elezioni del 1953, per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Dc». «Fu un passaggio», aggiunge Mattarella, «di un esecutivo di pochi mesi, guidato dall'ex ministro del Tesoro, Giuseppe Pella, e che portò al chiarimento politico con la formazione di una maggioranza tripartita che governò, con Mario Scelba, sino alla scadenza del settennato dello stesso Einaudi». Lo spettro del governo «neutrale» aleggia sul Pirellone, per scongiurare il naufragio della trattativa Matteo Salvini e Luigi Di Maio devono darsi una mossa e trovare l'intesa sul primo ministro. Giovanni Della Cananea, il docente di diritto amministrativo che Di Maio ha incaricato di mettere a confronto il programma del Movimento 5 stelle con quelli di Partito democratico e Lega, molto vicino a Mattarella, potrebbe essere il nome giusto se Salvini e Di Maio decidessero di affidarsi al Colle. «Il lavoro continua, domani (oggi per chi legge, ndr) puntiamo a chiudere», dice Salvini al termine dell'incontro, aggiungendo: «C'è sostanzialmente un accordo sui punti chiave. Sono contento perché si sta parlando di temi, non di nomi, non di cognomi, non di ministri. Rispetto ad altre ipotesi di governo che vengono da Marte», aggiunge Salvini, «se c'è accordo sui punti fondamentali è meglio un governo che si impegni sulla base di un programma». «Se la compatibilità tra i nostri programmi», prosegue Salvini, «arriverà all'80%, si parte. Altrimenti ci abbiamo provato. A me interessa che tutto questo non comporti rotture nel centrodestra», aggiunge il leader dei leghisti, «perché io sono portavoce di una coalizione che non comprende solo la Lega». E ancora: «L'idea», sottolinea Salvini, «è di mettere nero su bianco il progetto per il futuro dell'Italia. Questo ovviamente passa attraverso la rinegoziazione dei trattati europei, altrimenti l'Italia soffoca. E su questo mi sembra ci sia una volontà comune». Ai cronisti che gli riferiscono delle parole di Mattarella su Einaudi, Salvini risponde: «Contiamo di portare a Mattarella un'idea di Italia positiva per i prossimi anni e lo ascolteremo col massimo rispetto. Ho riletto anch'io Einaudi. Ma va letto tutto», sottolinea Salvini, «scrisse di un paese fondato sull'autonomia. Einaudi è un grande». «Abbiamo parlato di conflitto di interessi? Di tutto. Senza voler punire nessuno», precisa Matteo Salvini, «ma nessuno nemmeno nell'ambito dei 5 stelle ha mai pensato a leggi punitive o restrittive. Ma non è una delle mie priorità». «Entro poche ore», dice ancora il numero uno del Carroccio, «vogliamo chiudere tutto anche perché il presidente della Repubblica giustamente aspetta una risposta, quindi si lavora adesso, domani mattina, a pranzo, nel pomeriggio, anche domani sera. Noi siamo qua e andiamo avanti a lavorare». Dal M5s trapela ottimismo: l'intesa sarebbe a un passo. Lo conferma lo stesso Di Maio poco dopo, anche se sembra più «lungo» sui tempi, posticipando alla «prossima settimana» la chiusura del contratto. Poi, forse rivolto a Mattarella, si dice contento «non solo per come stanno andando le questioni attorno al tavolo, ma anche perché l'establishment e gli esponenti della vecchia politica attaccano un governo che ancora deve nascere: siamo sulla buona strada». Oggi le delegazioni torneranno a incontrarsi, entro domani dovranno comunicare al Quirinale lo stato della trattativa e, forse, il nome individuato come premier. Altrimenti, Mattarella agirà come Einaudi nel 1953. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/incontro-pirellone-borghi-casalino-2568280922.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-conti-tornano-ma-per-un-pelo-la-meloni-non-puo-stare-fuori" data-post-id="2568280922" data-published-at="1760718155" data-use-pagination="False"> I conti tornano, ma per un pelo: la Meloni non può stare fuori «Ho il vantaggio della libertà che nessuno in Fratelli d'Italia è disposto in cambio di una poltrona a rinunciare a quello che crede». Dura e pura Giorgia Meloni, leader di Fdi, dopo l'incontro con Luigi Di Maio in cerca di consensi per comporre il nuovo governo gialloverde da presentare al presidente Sergio Mattarella. Per la verità la coppia Di Maio-Salvini al di là della trattativa sul contratto di governo da sottoporre poi al popolo pentastellato sul Web, una ventina di punti tra tasse e reddito di cittadinanza, ha trascorso l'intera giornata di sabato alla ricerca dell'accordo sul nome del premier, figura terza di ampio respiro europeista o la staffetta tra i due leader, per evitare di trovarsi un candidato altisonante ma imposto dal Quirinale. Anche perché ieri Mattarella è stato chiaro sul suo ruolo «attivo e non di notaio» nella formazione del governo. È proprio per questo che potrebbe servire più tempo e M5s e Lega potrebbero chiedere oggi una proroga fino a martedì. Sempre per evitare le elezioni alle quali, stavolta, parteciperebbe anche Silvio Berlusconi riabilitato ieri dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, che di fatto ha ridato all'ex Cavaliere la cosiddetta «agibilità politica». In questo scenario appare come una soluzione davvero valida quella proposta dal nostro direttore Maurizio Belpietro al duo Salvini-Di Maio: offrire la poltrona di capo dell'esecutivo a Giorgia Meloni, che con i suoi «numeri» sarebbe sicuramente utile alla formazione di una maggioranza. Come ha scritto Belpietro, la Meloni «è la figura terza perfetta: rinforzerebbe il centrodestra senza inquietare i pentastellati e permetterebbe a Mattarella di lasciare un segno che sarebbe il primo presidente ad incaricare una donna». Invece la leader di Fdi è stata esclusa dalle trattative di governo fino a venerdì, quando ha incontrato il leader grillino che, in cerca di consensi, le ha chiesto l'ok alla propria, di premiership, in cambio del via libera all'ingresso di Fratelli d'Italia nel futuro governo. La Meloni ha quindi rotto il silenzio, raccontando su Facebook il «cordiale» colloquio: «Fdi ha preso dei voti per dire cosa andava a fare al governo e per me la politica è questo, se mi si dice che devo rinunciare a quello in cui credo perché sono troppo di destra o mi si dice che devo accettare un premier M5s che è lontano da me anni luce non ci sto, per tutto il resto vediamo. Io giudico i fatti e vedo cosa si propone cosa fare». Insomma la presenza della Meloni sarebbe stata evitata perché «troppo di destra» tanto che, non senza amarezza, ha chiuso il suo post dicendo: «In quello che tutti già chiamano governo giallo-verde non ci sarà il Tricolore». Questo perché se Fratelli d'Italia entrasse nel nuovo esecutivo, avrebbe dei ministeri «in quota Lega». Troppo di destra eppure la Meloni, col 5% raggiunto alle elezioni, ha una truppa di 50 parlamentari, di cui 18 senatori, in grado di garantire maggiore solidità alla maggioranza soprattutto a Palazzo Madama (la quota è 161 senatori), con M5s e Lega che arrivano a 167, senza contare però eventuali ministri, viceministri e sottosegretari che saranno nominati. Insomma: rischiano d'andare sotto ad ogni raffreddore di onorevole. «La reazione di Di Maio («Con Meloni chiariremo» ha detto dopo aver visto Facebook) è poco comprensibile», sostiene Fabio Rampelli, anima di Fdi, «la nostra forza in questa trattativa è che noi stiamo fuori e siamo stati chiari: restiamo fuori. Saremo una vera opposizione, voteremo provvedimenti su cui saremo d'accordo, non saremo clementi ed incalzeremo la maggioranza quando non saremo convinti. Del resto siamo capaci di fare opposizione nelle aule e nelle piazze». Sulla Meloni premier, Rampelli non ha dubbi: «Belpietro è stato il primo a dire quello che qualcuno pensava. Sarebbe la vera soluzione al problema. Trovare tecnici in questa stagione dove serpeggia uno spirito di rinnovamento e di gradimento per Di Maio e Salvini è veramente difficile. Giorgia è già stata vicepresidente della Camera, ha un forte senso delle istituzioni, è molto preparata. È connotata politicamente? Non è un difetto ma è la sua cifra. Forse hanno paura di una politica come la Meloni». Come ha assicurato Guido Crosetto a RaiRadio 1, «se nominassero la Meloni premier sarei molto favorevole ad appoggiare il governo. Decideremo entro lunedì, ma per quanto riguarda l'ipotesi ministero per me dico no, grazie. Sto valutando se andarmene anche dal Parlamento per stare di più con la mia famiglia, figuriamoci se mi metto a fare il ministro». Sarina Biraghi
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputata della Lega Anna Maria Cisint, dopo la votazione alla commissione sulla pesca a Bruxelles, riguardo la vittoria sulla deroga delle dimensioni delle vongole, importante aspetto per l'impatto sul settore ittico.
L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas (Ansa)