2024-05-28
Chi paga per un errore spacciato per reato?
Giovanni Toti (Getty Images)
Titoli e illazioni ovunque su presunti finanziamenti occulti al presidente della Regione finito sotto inchiesta, poi emerge la verità sull’interrogatorio di Spinelli jr: c’è stata una clamorosa svista nella trascrizione. Ma ormai il danno è fatto, senza responsabili.Provate a mettervi nei panni di un povero Cristo che non disponendo di bravi avvocati, perché non è in grado di pagarseli o più semplicemente non ne ha trovati di sufficientemente coraggiosi da contestare le decisioni dei pm, si ritrovi invischiato in un meccanismo che rischia di annientarlo. Dopo di che pensate alla faccenda che ha per protagonista Giovanni Toti, insieme ad Aldo e Roberto Spinelli. Quest’ultimo viene interrogato in Procura e rilascia un verbale in cui pensa di aver chiarito che il padre ha sì finanziato la politica, ma in maniera lecita. Invece, il giorno dopo le frasi di quello stesso verbale finiscono sulle prime pagine dei giornali e costituiscono una prova della corruzione del governatore della Liguria, mentre i due imprenditori finiscono nel girone dantesco dei corruttori. «Fondi neri sul conto di Toti», titolava nei giorni scorsi la Repubblica. «Soldi sospetti nei conti di Toti», ribatteva il Secolo XIX, giornale fino a ieri gemello e ora di proprietà di Gianluigi Aponte, socio e avversario di quegli stessi Spinelli che avrebbero messo la pietra tombale sulla carriera di Giovanni Toti. Ma poi, dopo che la notizia dei finanziamenti illeciti ha fatto il giro delle redazioni, ecco arrivare la nota dei legali del presunto corruttore, i quali negano che il loro cliente abbia detto quello che la stampa gli attribuisce. Nessuna mazzetta dicono gli avvocati, ma solo contributi elettorali. La Procura replica confermando le dichiarazioni di Roberto Spinelli e dunque rilanciando le accuse di corruzione. La difesa però tiene il punto e vuole riascoltare il nastro dell’interrogatorio, lasciando intendere che qualcuno abbia trascritto male le frasi. Nel verbale ufficiale, quello sottoscritto, in effetti non c’è traccia di un’ammissione così pesante. Nessun riferimento alle richieste di Giovanni Toti, men che meno di soldi in nero. Dunque, com’è uscita questa versione che rischia di inguaiare il governatore, ma anche i suoi finanziatori? I legali chiedono di sentire la versione incisa sul supporto digitale, i pm alla fine, forse un po’ malvolentieri, acconsentono. E così, dopo giorni di illazioni, ma soprattutto di carriere finite nel tritacarne, ecco spuntare la verità: Toti, secondo la ricostruzione fatta davanti agli inquirenti dall’imprenditore portuale, non chiese mai quattrini sottobanco, ma soltanto un sostegno economico da dichiarare regolarmente e dunque, per definizione, tracciato. In pratica, in mano ai pubblici ministeri restano quattro bonifici, eseguiti nel corso di quattro anni, ma niente ombra di fondi occulti. La prova regina, o meglio la pistola fumante che avrebbe dovuto far secco il governatore non c’è. Ci sono solo le supposizioni, qualche brandello di intercettazione, che forse fa pensare a un’imprudenza da parte di Giovanni Toti (gli incontri in barca, il proposito di mangiare una patata al caviale e di brindare), ma nulla di più.In effetti, una volta diradata la nebbia sulle presunte richieste di dazione illecita e dopo aver rimesso in ordine le accuse, nel paniere dei cacciatori di corrotti resta ben poco. Al punto che viene da chiedersi se, una volta sentiti tutti i protagonisti dell’inchiesta (ieri è stato ascoltato l’ex presidente dell’autorità portuale Paolo Signorini, il solo al quale siano imputate consegne di denaro in contante) ci sia ancora bisogno delle esigenze di custodia cautelare. Anzi, viene da domandarsi se siano mai state necessarie. Nel caso di Toti, il gip ha disposto gli arresti domiciliari sostenendo il pericolo della reiterazione del reato e, forse, per la possibilità di inquinamento delle prove. Ma che rischi ci sono che il governatore ottenga contributi elettorali dopo che l’inchiesta è nota a tutti? Nessun imprenditore, ammesso e non concesso che voglia provare a corrompere il presidente ligure, sarebbe così pazzo da passare una mazzetta sotto gli occhi della Guardia di Finanza. E anche per quanto riguarda l’inquinamento delle prove, dopo tre anni di indagine, le prove o ci sono o non ci sono. Che altro rimarrebbe dunque da inquinare? Insomma, viene il sospetto che le esigenze di custodia cautelare non siano poi così stringenti e forse, se ci sono elementi sarebbe il caso di chiedere il processo. Sempre che questi non siano evaporati come la famosa frase sui finanziamenti illeciti che poi erano leciti… Ps. Siccome leggo che molti colleghi si dichiarano amici di Giovanni Toti, preciso a scanso di equivoci che io non sono amico del governatore. Lo conosco, come conosco gran parte delle persone che hanno fatto o fanno i giornalisti, ma questo non mi impedirebbe di raccontarne i presunti reati, se ci fossero. Al momento invece mi tocca raccontare solo un mucchio di chiacchiere, alcune delle quali, come si è visto, inventate di sana pianta. Ma per queste invenzioni, qualcuno pagherà?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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