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2020-09-25
In sella per la sigaretta elettronica
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Novantacinque per cento. È la riduzione del rischio legata all'utilizzo della sigaretta elettronica rispetto a quella tradizionale, come certificato dal Public Health of England, l'autorità sanitaria pubblica britannica. Ed è la cifra, ben visibile, stampata sulla divisa da gara creata da Anafe, l'Associazione nazionale produttori fumo elettronico aderente a Confindustria. A indossarla è stato Umberto Roccatti, il presidente dell'associazione, durante la «Ride4Vape», un mezzo giro d'Italia in sella: una pedalata di settecento chilometri da Torino fino a Roma, dal Piemonte al Lazio, con tappe intermedie in Liguria e in Toscana. Il contrario di una sgambata leggera, visto che il percorso è stato concentrato in tre giorni e mezzo, sotto il caldo afoso della coda d'estate.
Una marcia rapida verso il traguardo, la sede dell'Iss, l'Istituto superiore di sanità, dove Roccatti ha consegnato una chiavetta Usb contenente oltre 50 studi internazionali indipendenti che rafforzano il messaggio e la portata di quel 95 per cento e testimoniano la tossicità trascurabile dello svapo, il suo essere un'alternativa sensata per chi non riesce o non vuole smettere di fumare. L'opposto di una minoranza: solo in Italia, Anafe stima siano circa 9 milioni di persone, il 75 per cento dei fumatori totali.
Prima dell'arrivo, a contare altrettanto è stato il gesto atletico: «Se avessi mantenuto una mia pessima abitudine, non ce l'avrei mai fatta. Ho fumato 30 sigarette al giorno per 15 anni di fila, dal 2013 ho completamente smesso con il tabacco combusto e sono passato in via esclusiva alla sigaretta elettronica. Ho visto il mio corpo trasformarsi, la mia mente diventare via via più lucida. Analisi cliniche che ho svolto qualche mese fa confermano che dal punto di vista oncologico e spirometrico, i miei polmoni presentano le medesime caratteristiche di un non fumatore», racconta Roccatti. E la sua esperienza è confermata da ricerche inserite nella chiavetta consegnata ai rappresentanti dell'Iss. Come quella a cura del Centro antifumo dell'ospedale San Giovanni Bosco di Torino, che mostra come il passaggio alla sigaretta elettronica determini una fortissima riduzione dei livelli di monossido di carbonio nell'organismo dopo solo sei mesi dal suo utilizzo esclusivo. Livelli, per l'appunto, coincidenti con quelli di un non fumatore. Peraltro, la sigaretta elettronica funziona meglio di cerotti, compresse e affini per dire addio al tabacco combusto. Lo certifica uno studio della Queen Mary University di Londra. E lo suggerisce l'intuito: si mantiene un rito al quale si è abituati, non viene compromessa una gestualità quotidiana ormai radicata.
«Ride4Vape» è stata anche l'occasione per raccogliere fondi in favore della Liaf, la Lega italiana anti fumo, impegnata ad approfondire i prodotti di nuova generazione e a ribadirne la minore tossicità. Perché di questo si tratta: affermare un paradigma, sottolineare un'evidenza, che andrebbe considerata, pesata senza pregiudizi, a livello istituzionale. Come già avviene all'estero. «L'Iss», dice Roccatti, «ci ha promesso di avviare al più presto un tavolo di confronto». Non solo per riconoscere i diritti dei produttori, anche, com'è giusto, per ribadirne i doveri: «Promuovere una regolamentazione efficiente in grado di garantire la sicurezza dei consumatori, impegnarsi a non coinvolgere minorenni o non fumatori nello svapo». Un binario doppio con ricadute su tutta la collettività, perché disincentivare l'utilizzo della sigaretta tradizionale significa alleggerire i costi della sanità, costretta a curare chi si ammala a causa del fumo tradizionale, in molti casi senza nessuna possibilità di guarigione. «Solo in Italia», ricorda l'Anafe, «si stima che il fumo sia la causa di oltre 80 mila decessi annuali. Secondo l'Oms, rappresenta la seconda causa di morte al mondo e la principale causa di morte evitabile».
«Ride4Vape» è stata un'iniziativa sui generis, un modo per catturare l'attenzione attraverso un messaggio e un mezzo pulito come la bicicletta. L'idea del viaggio contiene altresì il senso di un percorso che non è ancora concluso. Potrebbe essere ripetuto in futuro, stavolta in direzione Bruxelles, dove nel 2022 l'Unione Europea dovrà pronunciarsi in merito alle sigarette elettroniche. Gli studi scientifici sul loro rischio ridotto potrebbero rappresentare un punto di partenza, una bussola per orientare decisioni che non siano di favore, piuttosto, com'è lecito, equilibrate.
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Anafe ha organizzato «Ride4Vape», una corsa in bicicletta di 700 chilometri per consegnare all'Istituto Superiore di Sanità una raccolta di oltre 50 studi indipendenti sul rischio ridotto dello svapo.Novantacinque per cento. È la riduzione del rischio legata all'utilizzo della sigaretta elettronica rispetto a quella tradizionale, come certificato dal Public Health of England, l'autorità sanitaria pubblica britannica. Ed è la cifra, ben visibile, stampata sulla divisa da gara creata da Anafe, l'Associazione nazionale produttori fumo elettronico aderente a Confindustria. A indossarla è stato Umberto Roccatti, il presidente dell'associazione, durante la «Ride4Vape», un mezzo giro d'Italia in sella: una pedalata di settecento chilometri da Torino fino a Roma, dal Piemonte al Lazio, con tappe intermedie in Liguria e in Toscana. Il contrario di una sgambata leggera, visto che il percorso è stato concentrato in tre giorni e mezzo, sotto il caldo afoso della coda d'estate.Una marcia rapida verso il traguardo, la sede dell'Iss, l'Istituto superiore di sanità, dove Roccatti ha consegnato una chiavetta Usb contenente oltre 50 studi internazionali indipendenti che rafforzano il messaggio e la portata di quel 95 per cento e testimoniano la tossicità trascurabile dello svapo, il suo essere un'alternativa sensata per chi non riesce o non vuole smettere di fumare. L'opposto di una minoranza: solo in Italia, Anafe stima siano circa 9 milioni di persone, il 75 per cento dei fumatori totali. Prima dell'arrivo, a contare altrettanto è stato il gesto atletico: «Se avessi mantenuto una mia pessima abitudine, non ce l'avrei mai fatta. Ho fumato 30 sigarette al giorno per 15 anni di fila, dal 2013 ho completamente smesso con il tabacco combusto e sono passato in via esclusiva alla sigaretta elettronica. Ho visto il mio corpo trasformarsi, la mia mente diventare via via più lucida. Analisi cliniche che ho svolto qualche mese fa confermano che dal punto di vista oncologico e spirometrico, i miei polmoni presentano le medesime caratteristiche di un non fumatore», racconta Roccatti. E la sua esperienza è confermata da ricerche inserite nella chiavetta consegnata ai rappresentanti dell'Iss. Come quella a cura del Centro antifumo dell'ospedale San Giovanni Bosco di Torino, che mostra come il passaggio alla sigaretta elettronica determini una fortissima riduzione dei livelli di monossido di carbonio nell'organismo dopo solo sei mesi dal suo utilizzo esclusivo. Livelli, per l'appunto, coincidenti con quelli di un non fumatore. Peraltro, la sigaretta elettronica funziona meglio di cerotti, compresse e affini per dire addio al tabacco combusto. Lo certifica uno studio della Queen Mary University di Londra. E lo suggerisce l'intuito: si mantiene un rito al quale si è abituati, non viene compromessa una gestualità quotidiana ormai radicata.«Ride4Vape» è stata anche l'occasione per raccogliere fondi in favore della Liaf, la Lega italiana anti fumo, impegnata ad approfondire i prodotti di nuova generazione e a ribadirne la minore tossicità. Perché di questo si tratta: affermare un paradigma, sottolineare un'evidenza, che andrebbe considerata, pesata senza pregiudizi, a livello istituzionale. Come già avviene all'estero. «L'Iss», dice Roccatti, «ci ha promesso di avviare al più presto un tavolo di confronto». Non solo per riconoscere i diritti dei produttori, anche, com'è giusto, per ribadirne i doveri: «Promuovere una regolamentazione efficiente in grado di garantire la sicurezza dei consumatori, impegnarsi a non coinvolgere minorenni o non fumatori nello svapo». Un binario doppio con ricadute su tutta la collettività, perché disincentivare l'utilizzo della sigaretta tradizionale significa alleggerire i costi della sanità, costretta a curare chi si ammala a causa del fumo tradizionale, in molti casi senza nessuna possibilità di guarigione. «Solo in Italia», ricorda l'Anafe, «si stima che il fumo sia la causa di oltre 80 mila decessi annuali. Secondo l'Oms, rappresenta la seconda causa di morte al mondo e la principale causa di morte evitabile». «Ride4Vape» è stata un'iniziativa sui generis, un modo per catturare l'attenzione attraverso un messaggio e un mezzo pulito come la bicicletta. L'idea del viaggio contiene altresì il senso di un percorso che non è ancora concluso. Potrebbe essere ripetuto in futuro, stavolta in direzione Bruxelles, dove nel 2022 l'Unione Europea dovrà pronunciarsi in merito alle sigarette elettroniche. Gli studi scientifici sul loro rischio ridotto potrebbero rappresentare un punto di partenza, una bussola per orientare decisioni che non siano di favore, piuttosto, com'è lecito, equilibrate.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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