2019-09-23
In Israele gli arabi come il Pci
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Il primo giro di consultazioni del presidente israeliano Reuven Rivlin si è concluso con un nulla di fatto. Nessun accordo tra i partiti, ma il capo dello Stato ebraico è deciso a insistere e trovare la quadra per dare a Gerusalemme un governo evitando la più lunga crisi politica del Paese.Per lui, infatti, l’idea di una terza elezione in meno di un anno, dopo quella di aprile e la più recente della scorsa settimana, è «disgustosa». Vuole una soluzione. E non la chiede soltanto, la indica. L’ha fatto al termine del primo giro di consultazioni con tutti i i partiti invitando il premier Benjamin Netanyahu, leader del Likud, e Benny Gantz, numero uno dei centristi Blu e bianco, a formare un governo d’unità nazionale dopo che le coalizioni formatesi attorno ai due leader non hanno raggiunto la soglia dei 61 seggi necessari a dare una maggioranza di governo al Paese. Netanyahu può contare su 55 deputati, Gantz su 54 (tra cui dieci della Lista araba unita). In mezzo ci sono gli otto pesantissimi scranni occupati da esponenti del partito russofono di destra Ysrael Beitenu di Avigdor Lieberman.Ci sono però due controindicazioni al governo formato da Blu e bianco e Likud. Il Paese vuole un governo stabile, ha detto il presidente Rivlin, facendo intendere che preferisce un governo di coalizione nel quale siedano e si alternino i due partiti di maggioranza relativa, il Blu e Bianco e il Likud che, insieme, già superano, di quattro voti (il Likud dovrebbe raggiungere 32 voti alla conta finale) la maggioranza di 61 voti. La prima controindicazione: rischierebbe di rimanere fuori Lieberman, visto che la somma dei deputati dei partiti di Gantz e Netanyahu è sufficiente a garantire la maggioranza alla Knesset. In questo caso Lieberman passerebbe da ago della bilancia a primo degli sconfitti. E lui, che per ora non ha deciso per nessuna delle parti dopo aver portato allo scioglimento della Knesset quasi un anno fa lasciando il governo di Netanyahu, non ci sta: per questo sta lavorando dietro le quinte per far saltare l’intesa che lo vedrebbe escluso. La seconda: Netanyahu alleandosi con Gantz sarebbe costretto a cedergli, quantomeno nella prima metà del mandato a rotazione, la premiership visto che Blu e bianco ha preso più voti del suo Likud. E con la spada di Damocle delle accuse di corruzione è piuttosto remota la possibilità di vedere «Re Bibi» al governo come partner di minoranza. La prima sorpresa del primo giro di consultazioni è stata la decisione di Lieberman di continuare a trattare, come detto. La seconda, invece, riguarda i partiti arabi, che per prima volta dal 1992, da quando cioè indicarono Yitzhak Rabin come primo ministro, hanno suggerito al presidente di dare l’incarico a Gantz, pur restando all’opposizione. L’hanno detto in campagna elettorale, l’hanno ribadito dopo il voto: gli sforzi dei diversi leader dei quattro partiti arabi nascono dalla volontà di far finire l’era di Netanyahu. Anche a costo di digerire Gantz, che pur non è la loro «tazza di tè», come hanno scritto in diversi tweet. È quindi, una battaglia a viso aperto contro l’uomo che loro associano al demonio biblico. Ma neppure nella Lista araba unita c’è unità: infatti, i membri del partito Balad sono scettici su Gantz per via del suo ruolo durante i combattimenti a Gaza nel 2014. Israele rischia quindi di diventare come l’Italia del secondo dopo guerra. Annunciando l’endorsement a Gantz, il leader del aggruppamento arabo Ayman Odeh ha attaccato Netanyahu definendolo il primo ministro che li ha «trasformati in un gruppo illegittimo». «Re Bibi» non li ha resi illegali, visto che si sono presentati alle elezioni. Tuttavia, ha cercato di metterli ai margini della politica visto che nella Lista, oggi terza forza politica alla Knesset, ci sono soggetti non soltanto antisemiti ma anche antisionisti, cioè contrari allo Stato di Israele. Per questo, ai margini della politica ma non fuori legge, la Lista araba rischia la fine del Partito comunista italiano della Prima repubblica. Ed è per questo che Lieberman sta lavorando sotto traccia per costruire attorno a Netanyahu un’alleanza meno legata dagli ultraortodossi (con i quali l’ex ministro è in contrapposizione) che possa contare su alcuni deputati di Blu e bianco. In particolare quelli che hanno sempre appoggiato la politica estera e di difesa di «Re Bibi».
Charlie Kirk (Getty Images)
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