2019-02-20
In agenda già un paio di processi. La coppia in aula a febbraio e marzo
La signora Laura Bovoli ha un'udienza a Cuneo sulla ditta in affari con Mirko Provenzano. Dopodiché assieme al marito, nell'anniversario della batosta elettorale del figlio, comparirà a Firenze per un giro di consulenze sospette.L'impianto accusatorio è molto variegato: gli inquirenti hanno ricostruito una rete di teste di legno che si intestavano società Molti dei volantini che le ditte avrebbero dovuto distribuire finivano al macero. Il personale? Anche stranieri senza contratto.Lo speciale contiene due articoli La piena per i Renzi non è ancora passata. I prossimi guai in vista arrivano da Cuneo, città nella quale, come ha raccontato La Verità in questi anni, è cominciato tutto. Lì è scattata la prima indagine per bancarotta fraudolenta. E il prossimo 28 febbraio, nella città piemontese, si celebrerà l'udienza preliminare a cui dovrebbe partecipare Laura Bovoli, madre di Matteo Renzi. L'inchiesta è legata al fallimento della Direkta Srl, azienda che per anni è stata in stretti rapporti con la Eventi 6 dei Renzi. La vicenda nasce dai rapporti commerciali - ma anche e soprattutto amicali - tra i Renzi e Mirko Provenzano, il titolare della Direkta Srl (che è stato già condannato per reati fiscali). La Procura contesta alla madre del Rottamatore l'emissione di otto fatture per un valore di 80.000 euro; modificandone la causale, avrebbe consentito a Provenzano di non saldare un debito nei confronti di quattro cooperative. Come? La signora Laura, secondo la Procura, avrebbe contribuito «a bloccare il ricorso a decreto ingiuntivo di 1,7 milioni di euro avviato dai fornitori della Direkta», andando così in soccorso dell'amico di famiglia. Il rapporto di amicizia fra i Renzi, Provenzano e la sua compagna, era già stato ampiamente ricostruito nel libro di Maurizio Belpietro I segreti di Renzi. A pagina 244 si legge: «Nel fascicolo c'è innanzitutto un messaggino inviato da Erika Conterno (compagna di Provenzano, ndr) a Tiziano Renzi, con cui gli chiede un regalo per il compleanno di Mirko». La donna, tramite babbo Renzi, vorrebbe regalare al suo fidanzato, tifoso della Fiorentina, un incontro con qualche giocatore viola. E, poco dopo: «Non sappiamo se il progetto per il regalo andrà a buon fine, ma su Facebook c'è un'immagine di Provenzano negli spogliatoi dello stadio Franchi di Firenze con il calciatore Tomović, difensore della Fiorentina». L'altra data che tiene i Renzi sulle spine è il 4 marzo: prima udienza del processo per false fatture in cui sono imputati sia Tiziano che Laura. È la prima inchiesta sui Renzi che arriva a un processo. Le fatture, come anticipato dalla Verità, sono due, con un totale complessivo da 195.200 euro. Il terzo indagato è uno dei personaggi della galassia di babbo Renzi, l'immobiliarista Luigi Dagostino. In alcune telefonate intercettate, Dagostino è stato beccato mentre ammette di aver pagato alcune consulenze che a sentire i magistrati non sarebbero mai state fatte. Dagostino dice al telefono che le consulenze erano fuori mercato, ma che il conto andava saldato perché Tiziano era il padre del premier e nei suoi confronti aveva una sorta di sudditanza psicologica. Aspetti che, poi, aveva spiegato con più dettagli in un'intervista alla Verità. Il giochetto fiscale scoperto dalla Procura è riassunto negli atti d'accusa.Secondo i magistrati, Laura e Tiziano avrebbero emesso le due fatture incriminate «al fine di fare evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto alla Tramor Srl con sede in Scandicci, amministrata da Luigi Dagostino» e in cambio avrebbero ottenuto «un ingiusto profitto», visto che le fatture sarebbero state pagate per «operazioni oggettivamente inesistenti». La prima ricevuta, intestata alla Party Srl, ha come oggetto uno studio di fattibilità «per un'area destinata al food» all'interno di un centro commerciale del gusto (Taste Mall) da realizzare tra Reggello e Rignano sull'Arno. Lo studio, però, non è stato trovato né nell'archivio della Tramor e neppure nel carteggio email intercorso tra Party e Tramor. La seconda fattura, quella da 140.000 euro più Iva, invece, è stata emessa per un ulteriore studio di fattibilità per «una struttura ricettiva e food con i relativi incoming asiatici e la logistica da e per i vari trasporti pubblici». I Renzi inviarono due diverse versioni del documento fiscale (la prima da 100.000, la seconda da 140.000) allegando, a parziale giustificazione del pagamento, due scarne paginette di relazione e cinque mappe geografiche spacciate per superconsulenza. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-agenda-gia-un-paio-di-processi-la-coppia-in-aula-a-febbraio-e-marzo-il-giglio-tragico-2629428531.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nei-verbali-lavoratori-in-nero-e-prestanome-il-giglio-tragico" data-post-id="2629428531" data-published-at="1758135519" data-use-pagination="False"> Nei verbali lavoratori in nero e prestanome il giglio tragico Società vampirizzate, stipendi non pagati e contributi non versati. Lavoratori in nero e mail scottanti. False fatture e imprenditori fantasma. Eccolo il «sistema» delle cooperative renziane lasciate annegare in un mare di debiti, per come emerge dalle carte degli inquirenti. La Eventi6 per gli inquirenti avrebbe guadagnato non solo distribuendo volantini dei supermercati, ma soprattutto non distribuendoli. E mandandoli al macero. Attraverso la «controllata» Marmodiv, l'azienda di casa Renzi avrebbe raggiunto un triplice vantaggio in un colpo solo: con il sistema delle sovrafatturazioni, avrebbe abbattuto l'imponibile e pagato meno tasse. Avrebbe incassato dal riciclo della carta (all'insaputa dei committenti che, in sede di processo, potrebbero chiederne conto) e fatturato per la totalità del materiale virtualmente distribuito. A spiegare il meccanismo è Paolo Magherini, dipendente proprio della Marmodiv. «So che rilevanti quantità di questi volantini venivano portati al macero», ha detto ai finanzieri. Un'operazione che «non dovrebbe avvenire» in quanto, spiega ancora, «i volantini sono di proprietà» di «Esselunga, Coop, Conad», che «li pagano». Magherini fa un esempio pratico: «Per coprire tutta Firenze e Scandicci ci vogliono 230.000-240.000 volantini mentre ne vengono forniti più di un milione». A occuparsi materialmente della distruzione del materiale pubblicitario, secondo il teste, sarebbe stato anche il papà dell'ex premier. «Ricordo con certezza che negli anni passati era lo stesso Tiziano Renzi che veniva lui personalmente con i mezzi di trasporto a prelevare i volantini in esubero...». La Verità, già nell'estate scorsa, aveva anticipato il racconto del superteste Magherini sulla presunta truffa dei volantini tant'è che, sentito nuovamente dai finanzieri, aveva aggiunto che, dopo la pubblicazione dei nostri articoli ripresi anche da Report, erano state incaricate «altre persone di fare questa raccolta». Corrispondente è anche la versione di un'altra dipendente della Marmodiv, Silvia Gabrielleschi, che ha parlato del meccanismo della doppia rendicontazione. In azienda, secondo lei, girava una tabella ufficiale contenente «i quantitativi effettivamente consegnati ai gruppi» di distribuzione e un'altra riportante anche le «rese», ovvero i volantini che non era stato possibile distribuire. Per verificare il sistema fraudolento, i finanzieri hanno pedinato - e sottoposto a un doppio posto di blocco - un tir che aveva caricato 32 bancali di materiale pubblicitario di Esselunga (ancora valido) nella sede della Marmodiv. Le Fiamme gialle lo hanno seguito da Osmannoro (Firenze) fino a un capannone di San Giorgio di Mantova dove i volantini sarebbero stati mandati al macero. Annota il gip: «Nessun documento fiscale relativo ai rapporti tra la Eco cart (la ditta incaricata dello smaltimento del materiale, ndr) e la Marmodiv è stato rinvenuto dalla pg presso la commercialista della Eco cart». Nella galassia di coop riconducibili ai Renzi ci sono anche lavoratori in nero. Una delle società, la Delivery service tra il 2010 e il 2011 accumula 332.000 euro di evasione contributiva. A cui aggiungere 152.000 euro di cartelle esattoriali a seguito di sanzioni dell'Ispettorato del lavoro di Pisa e di Genova per l'utilizzo di forza lavoro non contrattualizzata. Agli atti c'è la testimonianza di Luigi Corcione, coordinatore di una piattaforma logistica che operava per l'azienda: «Ero a nero e il mio compenso lo prendevo in contanti con i soldi che erano presenti in cassa». In una mail indirizzata a Tiziano Renzi, uno dei testimoni chiave dell'inchiesta, Antonello Gabelli, di cui parleremo diffusamente più avanti, scrive con preoccupazione di «fattorini» infuriati a cui mancano «contratto e stipendio». Lo stesso Gabelli era stato denunciato «per truffa e somministrazione di mano d'opera» da un ragazzo che aveva lavorato tre giorni in nero. C'è poi la mail che Laura Bovoli scrive al marito (maggio 2010) ricordandogli che «non può nemmeno la cooperativa affrontare cause di lavoro certe». Certe, in maiuscolo. Gli inquirenti, nel cercare di ricostruire i percorsi delle fatture sospette della coop Marmodiv, s'imbattono anche in una selva di partite Iva fantasma. Molte delle quali chiuse e non operative e intestate a soggetti stranieri che o hanno disconosciuto le fatture o non risultavano addirittura più all'anagrafe. Due di questi presunti fornitori erano stati inoltre denunciati all'autorità giudiziaria per reati tributari e sfruttamento del lavoro. Un extracomunitario, sentito dagli inquirenti, ha detto candidamente di aver aperto la partita Iva come controprestazione per la sua assunzione nella Marmodiv. In questa ordinanza ci sono moltissime sorprese, ma c'è anche qualche personaggio che torna dal passato: uno è Antonello Gabelli, come abbiamo detto. Ex socio di babbo Renzi che a Genova ha patteggiato una condanna per bancarotta fraudolenta a 1 anno e 8 mesi nella gestione della Chil post, l'azienda di proprietà della famiglia Renzi e poi ceduta. Azienda che, leggendo le carte dell'inchiesta fiorentina, sembrava adottare lo stesso «schema operativo» delle coop aperte e fallite. Nel filone ligure, babbo Tiziano era stato archiviato dopo 29 mesi di indagine mentre, oltre a Gabelli, aveva patteggiato 26 mesi anche Mariano Massone (arrestato lunedì insieme ai genitori dell'ex premier). È stato Gabelli a disegnare la mappa con la quale gli investigatori sono riusciti a entrare nell'intricato sistema delle società renziane con una testimonianza che potrebbe rivitalizzare anche l'inchiesta genovese. Chi fa cosa? «In merito alla Delivery service», ha detto Gabelli, «preciso che Laura Bovoli e Giovanna Gambino si occupavano di questioni amministrativo gestionali dell'azienda, come delle altre, mentre Massone e Renzi erano i commerciali; sono loro che gestivano tutto di fatto, in quanto erano loro che prendevano le commesse». Poi passa a spiegare il sistema delle coop: «In particolare venivano create aziende, prevalentemente sotto forma di cooperative, al solo fine di raggruppare i lavoratori o i mezzi. Tali realtà societarie venivano distinte dalla società capofila, ossia la Eventi 6, Chill, Mail service, One post ed Eukos». Era sulle altre società che si sarebbe concentrato il lavoro operativo, ma anche le criticità. Le capofila, invece, ha detto Gabelli, dovevano restare «pulite». Per gli investigatori le dichiarazioni di Gabelli confermano il contenuto dei computer e dei supporti informatici sequestrati, in particolare a Roberto Bargilli. C'è chi si fidava così tanto di babbo Renzi da andare su sua indicazione dal notaio senza chiedere spiegazioni. Sarebbero diventati dei prestanome a loro insaputa. È capitato a Lavinia Tognaccini, all'epoca studentessa all'Istituto di belle arti. Ma anche a Ettore Scheggi e alla nipote dei Renzi, Cristina Carabot. Nonostante fosse stata avvertita dagli investigatori di avere la facoltà di non rispondere, ha dichiarato «di aver partecipato alla costituzione della cooperativa su richiesta di un uomo di cui non sapeva indicare le generalità» e ha sostenuto «di aver versato una somma per la costituzione della società, ma di non ricordare l'ammontare». Lilian Mammoliti, invece, ha detto chiaramente di aver partecipato alla costituzione della coop «su richiesta di Laura Bovoli». Lalla. Gli investigatori per un po' si sono arrovellati su chi fosse. Anche perché dalle testimonianze raccolte non era emerso in modo chiaro. C'è chi ha detto di associare quel nome alla referente che si occupava della distribuzione di volantini e chi a quel nome non è riuscito a dare un volto, rispondendo semplicemente che era «l'interlocutrice della casella di posta elettronica della Delivery service» alla quale inviava il rendiconto. Poi, nel computer di Bargilli hanno trovato una cartella così denominata e hanno annotato: «La cartella e il soprannome Lalla sono certamente riconducibili a Laura Bovoli, atteso che proprio nella cartella Lalla è stata rinvenuta la carta d'identità della Bovoli». E insieme alla carta d'identità c'erano i documenti delle coop: lista soci, modelli F24 e il logo di una delle cooperative in formato jpg (lo stesso logo era sulle fatture acquisite dalla Guardia di finanza e usate, secondo l'accusa, per l'evasione fiscale). La prova per gli inquirenti è arrivata quando è arrivata in Procura una annotazione della Guardia di finanza contenente una email con questo oggetto: «Cooperativa saldo Iva primo trimestre 2012». E la firma: «Lalla, dr Laura Bovoli».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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