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2019-02-12
In Abruzzo la Lega si mangia i grillini. Il centrodestra a un soffio dal 50%
Ansa
Boom della Lega che spinge al trionfo il centrodestra, crollo del M5s, timidi segnali di vita (stentata) dal pianeta centrosinistra. La sintesi del voto di domenica scorsa in Abruzzo è questa: il centrodestra vede modificati i rapporti di forza al suo interno, ma stravince le elezioni in una regione che è una specie di «Ohio italiano». Gli elettori abruzzesi, infatti, hanno la tendenza a cambiare il loro voto a seconda dell'offerta politica: negli ultimi 25 anni, la coalizione di governo uscente ha sempre perso le regionali.
Il nuovo governatore è il senatore di Fratelli d'Italia, Marco Marsilio, che ottiene il 48% dei voti, mentre la coalizione che lo sosteneva va addirittura oltre, toccando la stratosferica quota del 49,2%. Al secondo posto si classifica il centrosinistra a guida Giovanni Legnini: il 31,28% è un risultato tutto sommato apprezzabile, considerato il totale sbando del Partito democratico, fermo all'11,1%. Le sette liste civiche a sostegno di Legnini raggranellano un altro 20% e consentono all'ex vicepresidente del Csm di superare, di più di dieci punti, il M5s, grande sconfitto delle elezioni abruzzesi, con il candidato a presidente Sara Marcozzi fermo al 20,2% e la lista inchiodata al 19,7%.
Pur essendo due elezioni molto diverse, è importante segnalare le variazioni dei partiti rispetto alle politiche del 4 marzo 2018. Il centrodestra, nel suo complesso, guadagna ben 13,7 punti rispetto al voto dello scorso anno. La Lega raddoppia (dal 13,9 al 27,5%); Forza Italia perde un terzo dei voti (dal 14,5 al 9,1%); Fratelli d'Italia cresce (dal 5 al 6,5%). Il centrosinistra nel suo complesso recupera rispetto alle politiche, passando dal 20 al 30%, ma il Pd cala dal 14,3 all'11%. Il M5s crolla: lo scorso 4 marzo in Abruzzo prese il 39,8%, l'altra sera si è fermato al 19,7%, meno della metà, con un'emorragia del 20% dei voti.
Che è successo? Come è stato possibile per il M5s dimezzare i consensi in meno di un anno? Certo, le elezioni regionali, caratterizzate da una lotta alla preferenza che vede storicamente il M5s più debole, sono diverse dalle politiche, ma la batosta è talmente eclatante che non può essere derubricata a un incidente di percorso. Il M5s paga la ambiguità di essere il principale partito di governo ma di apparire come l'alleato minore della Lega (sembra passato un secolo, ma vale la pena di ricordare che lo scorso 4 marzo il M5s prese il 32,6% e la Lega il 17,3%). Inutile girarci intorno: mentre Matteo Salvini agisce da premier di fatto, Luigi Di Maio procede a rimorchio, deve fare i conti con l'ala radical chic di Roberto Fico che gli fa la guerra e finisce per apparire un leader dimezzato e senza una strategia.
Lo studio dei flussi elettorali realizzato dall'Istituto Cattaneo analizza nel dettaglio questi elementi basandosi sui risultati nei due principali centri della regione, Pescara e Teramo: «Il M5s», scrive l'Istituto Cattaneo, «è certamente lo sconfitto di queste elezioni perché perde voti (in valore assoluto e in percentuale) non solo rispetto all'exploit del 4 marzo ma anche rispetto alle regionali di cinque anni fa, segno di una incapacità di radicamento territoriale. Potremmo dividere gli elettori M5s del 4 marzo in quattro gruppi. Ci sono i fedeli, che rinnovano il voto per il proprio partito (38% a Pescara, 29% a Teramo). Ci sono i disillusi, che passano all'astensione (28% a Pescara, 17% a Teramo). Ci sono i traghettati (22% a Pescara, 34% a Teramo), che passano al centrodestra, conquistati probabilmente dal dinamismo dell'azione politica dell'alleato concorrente di governo Matteo Salvini. Poiché il bacino da cui proviene è molto ampio», prosegue l'Istituto, «il flusso dei traghettati costituisce una quota molto pesante del voto per il candidato del centrodestra. Se guardiamo i flussi in entrata per Marsilio vediamo infatti che a Pescara se il 68% proviene da chi votò centrodestra il 4 marzo, il 24% (quasi un quarto, dunque) è costituito da elettori che lo scorso anno scelsero il M5s. A Teramo la componente ex grillina tra gli elettori di Marsilio è ancora più consistente. Ci sono, infine, i pentiti (12% a Pescara, 20% a Teramo), che passano (tornano) al centrosinistra: dei quattro è il gruppo più piccolo, anche se si tratta di un flusso che potrebbe avere un significato politico di un certo peso».
Dunque, gli esperti non hanno dubbi: un'ampia fetta dell'elettorato del M5s percepisce Salvini come il proprio leader, mentre i grillini «progressisti» non si accontentano dei post su Facebook di Fico, ma si astengono o tornano a votare a sinistra.
Il Pd delira. Parla di successo ma in 5 anni si è dimezzato
«È bizzarro vedere festeggiare il Pd perché è arrivato secondo». Proprio così, come ha detto Matteo Salvini durante la conferenza stampa sul voto in Abruzzo, il Pd festeggia. O semplicemente tira un sospiro di sollievo forse perché ha salvato la pelle, ma non la faccia: è uscito sconfitto con un risultato molto deludente e con un candidato salvato dalle liste civiche con dentro socialisti, cattolici, progressisti e altro.
Al nuovo governatore Marco Marsilio, esponente di Fratelli d'Italia e candidato della coalizione di centrodestra, è andato il 48% dei voti e ha staccato di quasi 17 punti Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm e candidato del centrosinistra, fermo al 31,3%, seguito dalla candidata del M5s Sara Marcozzi, al 20%.
«Il 30% ottenuto in due mesi mi sembra un risultato importante», ha comunque sostenuto Legnini, «è un punto di partenza e vorrei ricordare che l'anno scorso in Abruzzo il centrosinistra compreso Leu ha conseguito un risultato del 17,6%. Noi abbiamo avuto dieci punti in più ma non è stato sufficiente». Numeri alla mano, Legnini ha preso 195.394 voti, perdendone 124.493 rispetto al candidato di centrosinistra delle passate elezioni regionali, quel Luciano D'Alfonso che vinse nel 2014 con il simbolo del Pd e che si è dimesso il 4 marzo preferendo Palazzo Madama alla Regione. Guardando i flussi per partito e non in base alla coalizione, si scopre che il Pd si è fermato all'11,1% (in provincia dell'Aquila all'8,8%), mentre le altre sette liste (Legnini presidente, Abruzzo insieme, Avanti Abruzzo, Abruzzo in Comune, Centro democratico +Abruzzo, Progressisti per Legnini, Centristi x l'Europa-Solidali e popolari) hanno ottenuto circa il 20%. Alle politiche, il Pd aveva ottenuto il 14,3%, mentre alle regionali 2014 era il primo partito con il 25,5%.
Nonostante i numeri impietosi, i capi dem hanno gridato al successo. «Grazie a Giovanni Legnini e al Pd per l'impegno straordinario in Abruzzo», ha scritto su Twitter il candidato segretario Maurizio Martina. «Siamo l'unica alternativa alla destra. La propaganda 5 stelle sbatte contro la realtà. Un nuovo centrosinistra aperto al civismo è la strada da percorrere per tornare a vincere fianco a fianco».
Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd, non ha guardato alla débâcle ma ha commentato l'esito del voto così: «In bocca al lupo al nuovo presidente dell'Abruzzo. Vittoria netta della destra. Crollano i 5 stelle. Il centrosinistra riparte da un +12% rispetto alle politiche (dove la coalizione aveva preso circa il 17%, ndr) grazie a Giovanni Legnini. Pdnetwork è a disposizione di un nuovo centrosinistra. Alle primarie del Pd ora serve una bella partecipazione e una leadership forte».
«Legnini va ringraziato per la sua generosità e lungimiranza, ha fatto qualcosa che solo i grandi e le persone perbene fanno, sapendo che era impossibile vincere ha iniziato a metter su i primi mattoni per la ricostruzione del centrosinistra», ha continuato sulla stessa linea il piddino Francesco Boccia «Mentre Matteo Renzi lo aveva distrutto perché non c'erano più alleati, Legnini ricostruisce. Questo 31% deve farci riflettere, penso che sarà una riflessione importante per Nicola Zingaretti, unico candidato in grado di ricostruire una grande alleanza di centrosinistra attraverso un Pd che deve essere molto più forte».
Anche per il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, di Leu, «la coalizione unitaria di centrosinistra di Legnini, dai progressisti ai cattolici, dai liberali ai socialisti e a forze civiche, è un'indicazione politica per future elezioni».
Di Battista non tira la volata al M5s. La base trema in vista delle europee
Nessuna autocritica, soltanto accuse a candidati e concorrenti. La grillina Sara Marcozzi, arrivata terza nelle elezioni regionali abruzzesi, appena chiuse le urne già parlava di «sconfitta della democrazia» perché si era «permesso di partecipare a otto liste create poco prima delle elezioni». Nessuna analisi dei numeri che pure testimoniano un'amara verità: la disfatta del M5s e il fallimento di una classe dirigente scesa in campo per la campagna elettorale. Compresi il vicepremier Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista.
Il Movimento, che alle politiche del 4 marzo 2018 conquistò l'Abruzzo con il 39,9% e 303.006 voti, questa volta si ferma intorno al 20%, perdendo quasi 200.000 voti. È stato doppiato dalla coalizione di centrodestra, che con il 48% ha fatto prendere la Regione a Marco Marsilio di Fdi.
Ammette la sconfitta, anche se con una frase non proprio cristallina, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli: «Certamente c'è un po' di delusione perché se avessimo vinto avremmo dato una enorme mano a quella popolazione». La nega invece il capogruppo alla Camera Francesco D'Uva: «Il risultato del M5s è perfettamente in linea con le precedenti elezioni regionali». Più realista il sottosegretario Stefano Buffagni: «La Lega grazie a noi vive di luce riflessa. Noi facciamo le cose, ma Salvini è più bravo a vendere. Non trovo scuse».
E mentre il Movimento va verso la richiesta di un'assemblea chiarificatrice, i mugugni della fronda interna contro i leader si fanno sempre più intensi. «Spostarsi a destra non paga. Abbiamo lasciato troppo spazio a Salvini, alle sue modalità comunicative. E gli elettori hanno scelto l'originale», ha detto la senatrice Elena Fattori, «Non lo chiamerei un crollo ma un segnale. Io dico da sempre che il Movimento è una realtà particolare, ha uno spirito eclettico e come tale va tutelato». Secondo la Fattori comunque il risultato non impatterà sul voto per l'autorizzazione a procedere contro il ministro dell'Interno: «Io voterò sì, ma l'orientamento generale è per votare no».
Non mancano gli attacchi ai big, Dibba incluso, da poco tornato dal suo viaggio in Sud America per far ritrovare smalto al partito. «Gli elettori vogliono vedere i fatti. Le star andavano bene all'opposizione» dice il deputato Davide Galantino. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la frondista Paola Nugnes: «Se si voleva, in qualche modo, usare Di Battista per aumentare i consensi, mitigare le perdite, ribilanciare le posizioni, se ne è fatto un uso pessimo. Non credibile da nessun punto di vista. O si è sottovalutata la gente o si è sovrastimata la capacità comunicativa di un messaggio privo di contenuto».
Controcorrente Gianluigi Paragone, che ha parlato di un «voto marginale» e aggiunto: «Subito dopo le politiche non abbiamo vinto in Molise e in Friuli: il voto delle amministrative è marginale e si prendono in considerazione aspetti della quotidianità, è un voto che riguarda soprattutto la sanità».
Il deputato Giorgio Trizzino invece ha accusato la Lega di aver puntato «scientificamente fin dal primo momento a indebolire ideologicamente e politicamente il M5s. Ha imposto i temi ideologici della chiusura razziale e della sicurezza, compromettendo l'identità plurale, sociale e tollerante del M5s». E se la senatrice Daniela Donno ha definito gli italiani «un popolo autolesionista e di dissidenti», l'ex pentastellato Gregorio De Falco, espulso a fine dicembre, ha detto: «È l'effetto da un lato di aver abbandonato la propria funzione moralizzatrice e dall'altro di aver preso una deriva verso finalità più consone alla destra. Sarebbe il caso a questo punto di fermarsi a riflettere e discutere in maniera democratica all'interno del movimento».
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Marco Marsilio stravince. Il Carroccio, che nel 2014 non si era nemmeno presentato, è il primo partito con il 27,5% Il M5s in 11 mesi perde un voto su due. Risultato peggiore pure rispetto alle precedenti consultazioni locali.I dem si fermano all'11% ed evitano il flop grazie all'ammucchiata di liste civiche.Critiche anche a Luigi Di Maio: «Sbagliato spostarsi a destra». Chiesta un'assemblea.Lo speciale contiene tre articoli.Boom della Lega che spinge al trionfo il centrodestra, crollo del M5s, timidi segnali di vita (stentata) dal pianeta centrosinistra. La sintesi del voto di domenica scorsa in Abruzzo è questa: il centrodestra vede modificati i rapporti di forza al suo interno, ma stravince le elezioni in una regione che è una specie di «Ohio italiano». Gli elettori abruzzesi, infatti, hanno la tendenza a cambiare il loro voto a seconda dell'offerta politica: negli ultimi 25 anni, la coalizione di governo uscente ha sempre perso le regionali. Il nuovo governatore è il senatore di Fratelli d'Italia, Marco Marsilio, che ottiene il 48% dei voti, mentre la coalizione che lo sosteneva va addirittura oltre, toccando la stratosferica quota del 49,2%. Al secondo posto si classifica il centrosinistra a guida Giovanni Legnini: il 31,28% è un risultato tutto sommato apprezzabile, considerato il totale sbando del Partito democratico, fermo all'11,1%. Le sette liste civiche a sostegno di Legnini raggranellano un altro 20% e consentono all'ex vicepresidente del Csm di superare, di più di dieci punti, il M5s, grande sconfitto delle elezioni abruzzesi, con il candidato a presidente Sara Marcozzi fermo al 20,2% e la lista inchiodata al 19,7%.Pur essendo due elezioni molto diverse, è importante segnalare le variazioni dei partiti rispetto alle politiche del 4 marzo 2018. Il centrodestra, nel suo complesso, guadagna ben 13,7 punti rispetto al voto dello scorso anno. La Lega raddoppia (dal 13,9 al 27,5%); Forza Italia perde un terzo dei voti (dal 14,5 al 9,1%); Fratelli d'Italia cresce (dal 5 al 6,5%). Il centrosinistra nel suo complesso recupera rispetto alle politiche, passando dal 20 al 30%, ma il Pd cala dal 14,3 all'11%. Il M5s crolla: lo scorso 4 marzo in Abruzzo prese il 39,8%, l'altra sera si è fermato al 19,7%, meno della metà, con un'emorragia del 20% dei voti. Che è successo? Come è stato possibile per il M5s dimezzare i consensi in meno di un anno? Certo, le elezioni regionali, caratterizzate da una lotta alla preferenza che vede storicamente il M5s più debole, sono diverse dalle politiche, ma la batosta è talmente eclatante che non può essere derubricata a un incidente di percorso. Il M5s paga la ambiguità di essere il principale partito di governo ma di apparire come l'alleato minore della Lega (sembra passato un secolo, ma vale la pena di ricordare che lo scorso 4 marzo il M5s prese il 32,6% e la Lega il 17,3%). Inutile girarci intorno: mentre Matteo Salvini agisce da premier di fatto, Luigi Di Maio procede a rimorchio, deve fare i conti con l'ala radical chic di Roberto Fico che gli fa la guerra e finisce per apparire un leader dimezzato e senza una strategia.Lo studio dei flussi elettorali realizzato dall'Istituto Cattaneo analizza nel dettaglio questi elementi basandosi sui risultati nei due principali centri della regione, Pescara e Teramo: «Il M5s», scrive l'Istituto Cattaneo, «è certamente lo sconfitto di queste elezioni perché perde voti (in valore assoluto e in percentuale) non solo rispetto all'exploit del 4 marzo ma anche rispetto alle regionali di cinque anni fa, segno di una incapacità di radicamento territoriale. Potremmo dividere gli elettori M5s del 4 marzo in quattro gruppi. Ci sono i fedeli, che rinnovano il voto per il proprio partito (38% a Pescara, 29% a Teramo). Ci sono i disillusi, che passano all'astensione (28% a Pescara, 17% a Teramo). Ci sono i traghettati (22% a Pescara, 34% a Teramo), che passano al centrodestra, conquistati probabilmente dal dinamismo dell'azione politica dell'alleato concorrente di governo Matteo Salvini. Poiché il bacino da cui proviene è molto ampio», prosegue l'Istituto, «il flusso dei traghettati costituisce una quota molto pesante del voto per il candidato del centrodestra. Se guardiamo i flussi in entrata per Marsilio vediamo infatti che a Pescara se il 68% proviene da chi votò centrodestra il 4 marzo, il 24% (quasi un quarto, dunque) è costituito da elettori che lo scorso anno scelsero il M5s. A Teramo la componente ex grillina tra gli elettori di Marsilio è ancora più consistente. Ci sono, infine, i pentiti (12% a Pescara, 20% a Teramo), che passano (tornano) al centrosinistra: dei quattro è il gruppo più piccolo, anche se si tratta di un flusso che potrebbe avere un significato politico di un certo peso». Dunque, gli esperti non hanno dubbi: un'ampia fetta dell'elettorato del M5s percepisce Salvini come il proprio leader, mentre i grillini «progressisti» non si accontentano dei post su Facebook di Fico, ma si astengono o tornano a votare a sinistra. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-abruzzo-la-lega-si-mangia-i-grillini-il-centrodestra-a-un-soffio-dal-50-2628667620.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pd-delira-parla-di-successo-ma-in-5-anni-si-e-dimezzato" data-post-id="2628667620" data-published-at="1765504791" data-use-pagination="False"> Il Pd delira. Parla di successo ma in 5 anni si è dimezzato «È bizzarro vedere festeggiare il Pd perché è arrivato secondo». Proprio così, come ha detto Matteo Salvini durante la conferenza stampa sul voto in Abruzzo, il Pd festeggia. O semplicemente tira un sospiro di sollievo forse perché ha salvato la pelle, ma non la faccia: è uscito sconfitto con un risultato molto deludente e con un candidato salvato dalle liste civiche con dentro socialisti, cattolici, progressisti e altro. Al nuovo governatore Marco Marsilio, esponente di Fratelli d'Italia e candidato della coalizione di centrodestra, è andato il 48% dei voti e ha staccato di quasi 17 punti Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm e candidato del centrosinistra, fermo al 31,3%, seguito dalla candidata del M5s Sara Marcozzi, al 20%. «Il 30% ottenuto in due mesi mi sembra un risultato importante», ha comunque sostenuto Legnini, «è un punto di partenza e vorrei ricordare che l'anno scorso in Abruzzo il centrosinistra compreso Leu ha conseguito un risultato del 17,6%. Noi abbiamo avuto dieci punti in più ma non è stato sufficiente». Numeri alla mano, Legnini ha preso 195.394 voti, perdendone 124.493 rispetto al candidato di centrosinistra delle passate elezioni regionali, quel Luciano D'Alfonso che vinse nel 2014 con il simbolo del Pd e che si è dimesso il 4 marzo preferendo Palazzo Madama alla Regione. Guardando i flussi per partito e non in base alla coalizione, si scopre che il Pd si è fermato all'11,1% (in provincia dell'Aquila all'8,8%), mentre le altre sette liste (Legnini presidente, Abruzzo insieme, Avanti Abruzzo, Abruzzo in Comune, Centro democratico +Abruzzo, Progressisti per Legnini, Centristi x l'Europa-Solidali e popolari) hanno ottenuto circa il 20%. Alle politiche, il Pd aveva ottenuto il 14,3%, mentre alle regionali 2014 era il primo partito con il 25,5%. Nonostante i numeri impietosi, i capi dem hanno gridato al successo. «Grazie a Giovanni Legnini e al Pd per l'impegno straordinario in Abruzzo», ha scritto su Twitter il candidato segretario Maurizio Martina. «Siamo l'unica alternativa alla destra. La propaganda 5 stelle sbatte contro la realtà. Un nuovo centrosinistra aperto al civismo è la strada da percorrere per tornare a vincere fianco a fianco». Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd, non ha guardato alla débâcle ma ha commentato l'esito del voto così: «In bocca al lupo al nuovo presidente dell'Abruzzo. Vittoria netta della destra. Crollano i 5 stelle. Il centrosinistra riparte da un +12% rispetto alle politiche (dove la coalizione aveva preso circa il 17%, ndr) grazie a Giovanni Legnini. Pdnetwork è a disposizione di un nuovo centrosinistra. Alle primarie del Pd ora serve una bella partecipazione e una leadership forte». «Legnini va ringraziato per la sua generosità e lungimiranza, ha fatto qualcosa che solo i grandi e le persone perbene fanno, sapendo che era impossibile vincere ha iniziato a metter su i primi mattoni per la ricostruzione del centrosinistra», ha continuato sulla stessa linea il piddino Francesco Boccia «Mentre Matteo Renzi lo aveva distrutto perché non c'erano più alleati, Legnini ricostruisce. Questo 31% deve farci riflettere, penso che sarà una riflessione importante per Nicola Zingaretti, unico candidato in grado di ricostruire una grande alleanza di centrosinistra attraverso un Pd che deve essere molto più forte». 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La grillina Sara Marcozzi, arrivata terza nelle elezioni regionali abruzzesi, appena chiuse le urne già parlava di «sconfitta della democrazia» perché si era «permesso di partecipare a otto liste create poco prima delle elezioni». Nessuna analisi dei numeri che pure testimoniano un'amara verità: la disfatta del M5s e il fallimento di una classe dirigente scesa in campo per la campagna elettorale. Compresi il vicepremier Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Il Movimento, che alle politiche del 4 marzo 2018 conquistò l'Abruzzo con il 39,9% e 303.006 voti, questa volta si ferma intorno al 20%, perdendo quasi 200.000 voti. È stato doppiato dalla coalizione di centrodestra, che con il 48% ha fatto prendere la Regione a Marco Marsilio di Fdi. Ammette la sconfitta, anche se con una frase non proprio cristallina, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli: «Certamente c'è un po' di delusione perché se avessimo vinto avremmo dato una enorme mano a quella popolazione». La nega invece il capogruppo alla Camera Francesco D'Uva: «Il risultato del M5s è perfettamente in linea con le precedenti elezioni regionali». Più realista il sottosegretario Stefano Buffagni: «La Lega grazie a noi vive di luce riflessa. Noi facciamo le cose, ma Salvini è più bravo a vendere. Non trovo scuse». E mentre il Movimento va verso la richiesta di un'assemblea chiarificatrice, i mugugni della fronda interna contro i leader si fanno sempre più intensi. «Spostarsi a destra non paga. Abbiamo lasciato troppo spazio a Salvini, alle sue modalità comunicative. E gli elettori hanno scelto l'originale», ha detto la senatrice Elena Fattori, «Non lo chiamerei un crollo ma un segnale. Io dico da sempre che il Movimento è una realtà particolare, ha uno spirito eclettico e come tale va tutelato». Secondo la Fattori comunque il risultato non impatterà sul voto per l'autorizzazione a procedere contro il ministro dell'Interno: «Io voterò sì, ma l'orientamento generale è per votare no». Non mancano gli attacchi ai big, Dibba incluso, da poco tornato dal suo viaggio in Sud America per far ritrovare smalto al partito. «Gli elettori vogliono vedere i fatti. Le star andavano bene all'opposizione» dice il deputato Davide Galantino. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la frondista Paola Nugnes: «Se si voleva, in qualche modo, usare Di Battista per aumentare i consensi, mitigare le perdite, ribilanciare le posizioni, se ne è fatto un uso pessimo. Non credibile da nessun punto di vista. O si è sottovalutata la gente o si è sovrastimata la capacità comunicativa di un messaggio privo di contenuto». Controcorrente Gianluigi Paragone, che ha parlato di un «voto marginale» e aggiunto: «Subito dopo le politiche non abbiamo vinto in Molise e in Friuli: il voto delle amministrative è marginale e si prendono in considerazione aspetti della quotidianità, è un voto che riguarda soprattutto la sanità». Il deputato Giorgio Trizzino invece ha accusato la Lega di aver puntato «scientificamente fin dal primo momento a indebolire ideologicamente e politicamente il M5s. Ha imposto i temi ideologici della chiusura razziale e della sicurezza, compromettendo l'identità plurale, sociale e tollerante del M5s». E se la senatrice Daniela Donno ha definito gli italiani «un popolo autolesionista e di dissidenti», l'ex pentastellato Gregorio De Falco, espulso a fine dicembre, ha detto: «È l'effetto da un lato di aver abbandonato la propria funzione moralizzatrice e dall'altro di aver preso una deriva verso finalità più consone alla destra. Sarebbe il caso a questo punto di fermarsi a riflettere e discutere in maniera democratica all'interno del movimento».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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