2022-01-16
Imprese a rischio di dover restituire gli aiuti
Il ministro dell'Economia, Daniele Franco (Ansa)
Arriva il decreto sui sostegni per il Covid. Fra cavilli e cambi in corsa, saranno in molti a non trovarsi in regola.In Italia ci sono tre tipi di norme: quelle poche scritte in autonomia dai nostri legislatori, quelle che ci dettano da Bruxelles e quelle che ci vengono imposte con la (pretestuosa) giustificazione che siano richieste dalla Ue.Appartiene a quest’ultima categoria - peraltro molto affollata, perché consente di far passare qualsiasi cosa in nome dell’inviolabile moloch del «ce lo chiede l’Europa» - il decreto ministeriale firmato lo scorso 11 dicembre dal ministro dell’Economia Daniele Franco, ora «bollinato» dalla Ragioneria e al vaglio della Corte dei conti e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.Con tale decreto si chiede alle imprese - che a partire da maggio 2020 sono state beneficiarie di una variegata tipologia di aiuti - una autodichiarazione che attesti gli aiuti percepiti e, in caso di superamento dei massimali tempo per tempo vigenti, la restituzione «volontaria» degli importi eventualmente eccedenti.L’autodichiarazione era già prevista dal decreto Sostegni del marzo 2021 e ora giungono solo le modalità attuative, che peraltro non sono nemmeno complete, perché il decreto rinvia ad altri due emanandi provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate per gli ultimi dettagli.Il diavolo si nasconde però nei dettagli e l’iceberg che si staglia all’orizzonte era stato descritto su queste colonne già a fine 2020, sottolineando l’insufficienza dei massimali e il caos chi si sarebbe verificato con i conteggi e le restituzioni. Un iceberg con due scogli sporgenti: il primo dipende da Bruxelles e consiste nel fatto che il Quadro temporaneo - in sostanza una deroga generalizzata alla disciplina degli aiuti di Stato - è cambiato nel tempo, poiché l’importo dei massimali è aumentato il 27/1/2021 (da 0,8 a 1,8 milioni e da 3 a 10 milioni, rispettivamente per le sezioni 3.1 e 3.12) e si sono aggiunte nuove sezioni. Il secondo è riconducibile alla scelta del ministro del governo Conte bis, Roberto Gualtieri - colui che con il Paese in lockdown a inizio marzo 2020 pensava di cavarsela con qualche miliardo di aiuti - di frazionare i sussidi in una miriade di tipologie scaglionate nel tempo e diversificate per settori che richiedono un’attenta e complessa ricognizione, prima di redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio passibile di sanzione penale. Basterà ricordare il caos originatosi nell’autunno scorso con i ristori collegati ai codici Ateco per comprendere la farraginosità della materia. E, anche per il disincentivo costituito dai massimali, i pagamenti a consuntivo sono stati inferiori alle previsioni. L’elenco degli aiuti oggetto di monitoraggio è sterminato: si va dalle esenzioni Irap e Imu, ai crediti di imposta sulle locazioni, ai vari contributi a fondo perduto, a partire dal decreto Rilancio del maggio 2020, fino al decreto Sostegni bis del maggio 2021.A ciò si aggiunga che, dal 13 ottobre 2020, la Commissione ha modificato il Quadro temporaneo con la sezione 3.12, che prevede aiuti commisurati ai costi fissi non coperti, a condizione di aver registrato almeno il 30% di calo del fatturato tra 2020 e 2019. Questi aiuti hanno massimali più elevati e, mentre molti altri Paesi Ue hanno da subito adottato norme che sfruttavano questa nuova deroga, noi abbiamo dovuto attendere marzo 2021, con il decreto Sostegni del governo Draghi per veder riconosciuta questa opportunità. Il risultato è che oggi le imprese e i loro consulenti navigano in un mare di dubbi: sono incerti circa la cumulabilità dei massimali delle sezioni 3.1 e 3.12; sono incerti se imputare un aiuto alla sezione 3.1 o 3.12; devono fare attenzione alla data di messa a disposizione dell’aiuto che potrebbe essere quella di approvazione della domanda, o quella di presentazione della dichiarazione dei redditi o, ancora, di compensazione dei crediti di imposta.Ammesso e non concesso di essere sopravvissuti a questo percorso di guerra, c’è da fare i conti con il concetto di «impresa unica». Infatti, i massimali anzidetti vanno computati a quest’ultimo livello, non per singola impresa percipiente. L’inghippo - molto sottovalutato, ma che potrebbe costituire davvero una bomba a orologeria - è che il concetto di «impresa unica» è un ircocervo che non trova esatta corrispondenza con la nostra definizione di «controllo» societario prevista dal Codice civile. In sostanza coincide con la definizione di gruppo societario, ma è leggermente più ampia.Ci ritroviamo quindi, a poco meno di due anni da quel disastroso lockdown, non solo a prendere atto che oggi non ci sono altre risorse per le imprese in difficoltà per le misure restrittive tuttora in atto, ma che anche gli aiuti concessi rischiano di essere restituiti sia per una sostanziale insufficienza di quei massimali sia per il metodo con cui ci chiedono ora di fare i conti.Tutto ciò per obbedire, più realisti del re, all’illogico dogma di Bruxelles di impedire aiuti distorsivi della concorrenza e quindi limitarli. Siamo stati i primi a far notare che una fiera italiana non sapeva che farsene di 10 milioni di aiuti e poi, ultimo in Ue, il governo ha avuto il coraggio di chiedere e ottenere. Come se in guerra ci si autolimitasse il numero delle barelle o delle ambulanze.