2023-07-14
«Far entrare più immigrati non serve per risolvere la crisi di natalità in Italia»
Il data scientist Stephen Shaw
L’esperto di dati Stephen Shaw: «Il numero di neonati crolla ovunque, le difficoltà scoraggiano. Il mondo sovrappopolato è una bufala: siamo tanti solo perché viviamo di più».La storia che il mondo è sovrappopolato e sta scoppiando è forse una delle bugie più grosse che ci hanno raccontato negli ultimi decenni. Di sicuro è la più grave, visto che il corollario di tale (falso) assunto è l’invito - che con la presunta «emergenza ambientale» si fa sempre più pressante - a limitare le nascite per non peggiorare la situazione del pianeta e per salvare l’umanità.È vero, semmai, il contrario, come racconta il documentario Birthgap - Childless world, che fin dal titolo annuncia l’incubo che ci attende se proseguirà il trend di denatalità iniziato negli Settanta: un mondo senza figli. Frutto delle ricerche del data scientist Stephen Shaw, questo lavoro in tre capitoli che incrocia statistiche nazionali, testimonianze personali e analisi sulle cause, sta incontrando grande interesse sul web - dove la prima parte è liberamente visionabile - anche perché fa luce sull’«altra storia», che ci viene tuttora tenuta nascosta.Ne abbiamo parlato con l’autore, il quale parte da un dato incontrovertibile: «Nel 2022 sono nati 134 milioni di bambini: sembra un buon numero, eppure è esattamente identico a quello di quarant’anni fa, il che dimostra come prima cosa che l’esplosione demografica che ci raccontano non esiste» Perché, dunque, la popolazione mondiale continua ad aumentare? «Perché le persone vivono più a lungo. Il numero delle nascite ha toccato l’apice - 140 milioni - circa dieci anni fa e sta ora precipitando: la realtà è che sul pianeta siamo sempre più vecchi. È probabile che toccheremo la cifra di undici miliardi di persone, ma semplicemente perché abbiamo migliorato le nostre speranze di vita».L’Italia vive da tempo una crisi demografica drammatica: cosa succede altrove e perché? «Il fenomeno è generale. Gran parte dell’Europa, il Giappone, l’Asia orientale, il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti registrano tassi di natalità straordinariamente bassi. Quello che mi ha spinto a realizzare il documentario è stato cercare di capire perché ciò sia accaduto, nello stesso momento storico, in tutti questi Paesi. Si nota, infatti, che, a partire dal 1974, l’Italia e il Giappone hanno seguito esattamente lo stesso percorso, registrando un forte crollo delle nascite sia in aree rurali sia urbane. Erano i tempi dello shock petrolifero e della susseguente crisi economica, che preoccupavano le persone spingendole a rimandare l’idea di avere figli; la stessa cosa era accaduta in Germania qualche anno prima, avverrà in Corea negli anni Novanta durante la crisi monetaria ed è capitata di recente negli Usa a causa della crisi dei mutui. Il copione si ripete: la crisi scoraggia dal fare famiglia. L’elemento interessante registrato in tutti i Paesi analizzati, Italia compresa, è che la composizione del nucleo famigliare è rimasta sempre costante: segno che lo “scoglio” da superare consiste nell’avere il primo figlio, cui di solito seguono altri».Dove sta, allora, il problema? «Nell’impennata della mancanza di figli. In Italia più del 40% delle donne sono destinate a non diventare madri. Il problema sta qui: nella nostra società facciamo sempre meno figli. Intervistando centinaia di persone in ogni parte del mondo ho, poi, fatto una scoperta sorprendente».Quale? «La stragrande maggioranza di chi non ha figli, in realtà, aveva progettato di diventare genitore. È stato straziante ascoltare alcune storie, avvertire il dolore per qualcosa di così importante che non si è realizzato e toccare con mano la solitudine diffusa e nascosta che c’è e che riguarda più spesso le donne: un orrore che già si sta verificando e di cui non siamo consapevoli».Questa è un’altra storia ancora: cosa è successo a questi genitori mancati? «Hanno aspettato troppo: volendo realizzarsi lavorativamente - come è peraltro comprensibile dopo anni di studio -, molti hanno creduto di poter posporre le gravidanze a dopo i trent’anni. Solo che a quel punto giocano sia il fattore biologico della diminuita fertilità femminile, sia quello sociale legato alla mancanza di un partner stabile e pronto a diventare genitore: una trentenne senza figli ha il 50% di possibilità di diventare madre, eppure la gente ancora crede che questa percentuale riguardi le donne di oltre quarant’anni. Il guaio è che queste cose non vengono spiegate, gira l’erronea idea a che sia facile avere figli e così le coppie non pianificano. Ma c’è di peggio…».Ovvero? «Non solo si manipolano i dati, si racconta che la popolazione aumenta e non che invecchia, si omette di citare le conseguenze della denatalità nei Paesi demograficamente più in crisi come l’Italia, ma ora che le cose cominciano a mettersi male tirano fuori la storia del patriarcato che opprime le donne e vuole costringerle a fare figli, incolpando gli uomini: preparano il monologo per la prossima fase e per difendere il proprio ridicolo messaggio».Una società sempre più vecchia e dove mancano i giovani deve attrezzarsi a riorganizzarsi: sta avvenendo? «No, ed è già tardi. Anche se invertissimo la tendenza domani, ci vorrebbero decenni prima che la società si ristabilizzi. Il Giappone, ad esempio, è destinato a vedere dimezzata la propria popolazione anche se dovesse cambiare rotta subito. La realtà è che abbiamo già adesso un grandissimo numero di anziani di cui occuparci e la cui assistenza sarà pagata dalle tasse della prossima generazione di lavoratori, che deve prepararsi all’ulteriore aumento dei contributi da versare col progressivo diminuire della forza lavoro. Mi preoccupa il potenziale scontro intergenerazionale dovuto a queste tensioni, il che non aiuterà certo la coesione sociale».Da noi dicono che la soluzione sia fare entrare più immigrati per coprire i costi sociali futuri: è così? «No, è matematico che non è così. Anche gli immigrati invecchiano e hanno bisogno di aiuti; inoltre, i loro tassi di nascita sono comunque troppo bassi. Succederà che serviranno sempre più immigrati e si innesterà un circolo vizioso che non si fermerà più. Saremo sempre al punto di partenza finché le nascite non torneranno a crescere massicciamente. Non solo: questo modo di fare da parte nostra, cambia la psicologia dei popoli: nel film ho chiesto a due donne etiopi perché non fossero già spostate. Mi hanno risposto che prima dovevano capire come arrivare in Italia. È un approccio molto egoista e miope pensare di risolvere i propri problemi economici distruggendo le altre comunità».Stando così le cose, perché secondo lei continuano a raccontarci che siamo in troppi e ci chiedono di non fare figli, arrivando a pianificare piani di sterilizzazione di massa in Africa? «Sono secoli che lo fanno, promuovendo politiche antiumane e antinataliste istigate da figure cui non interessa il futuro, come Paul Erlich (professore emerito di studi sulle popolazioni e presidente del Centro di biologia della conservazione di Stanford, ndr): ogni sua nefasta previsione sulle conseguenze della crescita demografica si è rivelata sbagliata - dalla carestia all’estinzione di interi Paesi - eppure i suoi lavori stanno in ogni libro di studio. Hanno ingannato le persone fin da piccole, me incluso, che non avevo idea di come stessero davvero le cose finché non ho cominciato a fare ricerche per questo documentario. Preoccupa che queste idee superate siano tuttora la base dell’educazione e che non si dica alle persone ciò che devono sapere e da cui dipende il futuro delle loro vite e del pianeta».È un metodo selettivo che oggi si applica a tutto «Ed è ingannevole: quando sedicenti “esperti” mostrano le tabelle di crescita della popolazione con una curva che sale all’infinito, vi stanno raccontando solo un pezzo della storia, celando ad esempio il tracollo numerico della fascia di individui in età di lavoro».Non sarà anche per questo che le hanno impedito di mostrare il suo film all’Università di Cambridge? «Per qualche motivo, alcuni non vogliono che io parli: negli Usa si oppongono gruppi antinatalisti, a Cambridge la proiezione prevista a maggio è stata cancellata in seguito alla minacciata protesta di una novantina di studenti che hanno definito il film “misogeno” e il sottoscritto “razzista” e “fascista”. Peccato che non lo abbiano neppure visto, anche perché la versione integrale non è stata ancora pubblicata».
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