Rimandato a gennaio il giorno del giudizio. Per l’Ilva si avvicina il commissariamento

Ieri doveva essere il D-Day dell’ex Ilva, il giorno in cui sarebbero state decise le sorti dell’impianto tarantino. Invece, la seduta di ieri si è conclusa con un nulla di fatto perché il cda è , nei fatti, superato dalla decisione di un nuovo incontro fra governo e Arcelor Mittal previsto per l’8 gennaio.
Va detto che due giorni fa si era già tenuto un incontro sulla stessa falsa riga di quello di gennaio a Palazzo Chigi con i tre ministri coinvolti nel dossier Adolfo Urso, Giancarlo Giorgetti, Raffaele Fitto, insieme ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, alla presenza di Franco Bernabè, presidente Acciaierie d’Italia e di Bernardo Mattarella, ad di Invitalia. Avrebbe dovuto essere presente anche un top manager del socio franco indiano ma all’ultimo avrebbe disertato per impegni pregressi.
Intanto, nell’attesa dell’incontro in cui si dovrebbe trovare la quadra per il futuro dell’impianto che fa capo ad Acciaierie d’Italia, oggi è previsto un incontro del governo con le sigle sindacali per capire il futuro dei circa 7.000 lavoratori impegnati nell’acciaieria più nota d’Italia.
Del resto, non stupisce che non sia stato trovato un accordo tra i due azionisti di riferimento, gli indiani di Arcelor Mittal con il 62% delle quote e lo Stato, attraverso Invitalia, con il 38%. Questo non è infatti il primo cda che si conclude con un nulla di fatto. Già il 20 dicembre scorso i rappresentanti di Invitalia non si erano presentati alla riunione del cda di Acciaierie d’Italia con i soci di maggioranza che tuttora traccheggiano, forse nella speranza di cedere allo Stato le quote di maggioranza.
L’ultima possibilità per gli operai dell’Ilva è insomma tutta da riporre nell’incontro dei primi di gennaio tra i vertici aziendali di Invitalia e Arcelor Mittal. Il problema ruota tutto intorno all’aumento di capitale necessario per salvare lo stabilimento pugliese. Arcelor Mittal aveva proposto che gli azionisti mettessero mani al portafogli per 320 milioni di euro per le spese urgenti. Ma si tratta di bazzecole rispetto a quanto servirebbe davvero per rimettere l’impianto in sesto. Senza considerare che i soci stranieri hanno proposto l’aumento di capitale ma non hanno mai ufficializzato la reale intenzione di pagare.
Fatto sta che l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, aveva previsto un finanziamento da parte dei soci per 1,32 miliardi di euro per un piano di rilancio della durata di cinque anni. Ma, anche in quella occasione, i vertici di Arcelor Mittal hanno rispedito la richiesta al mittente.
A questo punto le ipotesi sono tre: se non si troverà una soluzione il rischio è che si vada verso il commissariamento dell’impianto. In alternativa, lo Stato potrebbe prendersi alcune quote in mano ai franco-indiani e diventare così azionista di maggioranza (con il rischio di un vero e proprio dissanguamento finanziario per le casse pubbliche). Oppure, ma al momento appare davvero poco probabile come ipotesi, il socio estero di maggioranza metterà mano al portafogli.
Di certo il tempo stringe. Il prossimo 31 maggio scadrà il contratto di affitto degli impianti ex Ilva con i commissari straordinari. Se dunque entro quella data Acciaierie d’Italia non rileverà gli impianti, questi rientreranno nella disponibilità dei commissari. E si tornerà al punto di partenza.
«Come Ugl Metalmeccanici vorremmo capire fino a quando durerà il macabro balletto dei soci su ciò che resta dell’ex Ilva, che a nostro parere ormai non saprebbero dirlo neanche gli aruspisci, ci fossero ancora», ha commentato ieri il segretario nazionale dell’Ugl Metalmeccanici, Antonio Spera. «Di fumata nera in fumata nera, l’accordo tra Invitalia e ArcelorMittal che, secondo l’UglM è la responsabile delle colpe, per salvare la più grande acciaieria del Paese dalla crisi di liquidità, deve continuare a essere non più lontano poiché si avvicina il momento in cui il siderurgico di Taranto rischia di ritrovarsi senza una fornitura di gas e per noi si tratterebbe di morte sicura. Che lo Stato garantisca per una delle fabbriche dalla quale, un tempo, dipendeva e in parte ancora è così».
«Ci chiediamo come mai il confronto con i vertici del governo e i Mittal a livello mondiale non sia stato tenuto in questi mesi ma sia stato programmato per le prossime giornate di gennaio», dicono il segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia e il segretario nazionale Fim Cisl Valerio D’Alò. «Pensiamo che sia il momento delle scelte e non dei rinvii, perché non c’è più tempo. L’incontro di oggi del sindacato, con il governo, sia quindi non una perdita di tempo, ma concreto nel programmare scelte che permettano al di là del confronto con i Mittal, di salvare l’azienda e di evitare un «bagno di sangue» industriale e occupazionale».






