
L'epidemia mostra che l'Ue non è una comunità di destino. E smaschera i politici affascinati dai vantaggi personali del vincolo esterno. Inutile piangere sulla Germania cattiva: bisogna pensare l'uscita dall'incubo.Una misteriosa tempesta virale ha scoperto per la seconda volta in meno di un decennio il vaso di Pandora dell'eurozona, rivelando l'inconsistenza della punta avanzata del processo d'integrazione. L'inconcludente susseguirsi di summit europei, da cui, «nell'ora più buia», larghi settori della classe dirigente italiana si attendevano la soluzione ai dilemmi del Paese, ha fotografato ancora una volta le fratture e i conflitti che agitano l'arcipelago Europa. Confermando l'impossibilità geopolitica di pensare l'Unione come una comunità di destino.Europa, al di là di ogni fumosa utopia, rimane il nome di uno spazio eterogeneo e inquieto, animato da interessi, visioni e ambizioni divergenti, quando non apertamente contrapposti. […] Lacerazioni e divisioni che, come prevedibile, sono emerse di fronte al problema di come finanziare le misure di contrasto al crollo economico generato dal contenimento del virus, che in Italia molto più che in Germania ha comportato un crollo simultaneo dell'offerta e della domanda. Tutti concordano - a differenza di dieci anni fa - sulla necessità di iniettare forti dosi di liquidità nell'economia reale. Ma pochi nell'eurozona dispongono delle risorse per farlo. […] Sprovvisti di una propria Banca centrale, i Paesi con alti tassi di indebitamento e minori spazi di manovra fiscale, capitanati da Francia e Italia, hanno quindi fatto appello alla «solidarietà europea», auspicando a gran voce l'emissione di titoli di debito europei, esprimendo di fatto l'attesa che l'Europa, cioè la Germania, risolva lo stallo dell'eurozona «dimostrandosi solidale» - varcando, cioè, sotto l'immensa pressione delle circostanze, la soglia dell'unione fiscale.[…] Considerata l'arcinota e legittima indisponibilità tedesca a garantire il debito altrui, pensare di risolvere i problemi strutturali dell'Ue mettendo uno dei suoi membri con le spalle al muro non solo è indice di velleitaria mancanza di rispetto per gli altri popoli (e dunque espressione di autentico antieuropeismo); è anche un esercizio destinato a magnificare le incomprensioni reciproche. Rigurgiti di un europeismo donchisciottesco, che prima trasfigura la realtà a immagine del proprio sogno, e poi - sperimentando d'improvviso lo iato tra sogni e realtà - attribuisce alla slealtà dei partner europei la responsabilità della propria inconsistenza. La verità è che un'unione fiscale e politica imposta con il ricatto può solo essere un'unione in cui uno o l'altro dei popoli europei è sottomesso e tenuto prigioniero contro la propria volontà.spalle al muroLa Germania ha il pieno e legittimo diritto di rifiutare la condivisione dei debiti fra gli Stati della eurozona se tale decisione corrisponde alla volontà essenziale del popolo tedesco, riflessa nella sua legge fondamentale. Allo stesso modo, la Germania dovrà riconoscere agli altri popoli il medesimo diritto di autonomia per quanto concerne le decisioni fondamentali che attengono l'organizzazione sociale e politica dei loro Stati, instaurando con essi un nuovo rapporto basato sul riconoscimento di interessi (in molti casi) legittimamente divergenti. Il nostro Paese ha il diritto - oltre che il dovere - di decidere sovranamente sul proprio futuro e, nello specifico, su come fuoriuscire da una situazione che, aggravata dagli anni di permanenza nella moneta unica, è diventata vieppiù critica e si è ora fatta insostenibile. Portandoci pericolosamente vicini a un punto di rottura che minaccia il fondamento stesso dello Stato e i diritti fondamentali dei cittadini italiani.Il baratro economico e sociale in cui rischia di sprofondare l'Italia, già economicamente prosciugata da anni di «consolidamento fiscale» e «deflazione competitiva», richiede il coraggio di varcare i cancelli di un nuovo realismo. Abbandonando l'infantile e pericolosa illusione che qualcun altro possa - e soprattutto debba - assicurare i nostri interessi e il nostro benessere. […] In questo senso, l'ideologia del vincolo esterno - ovvero l'idea secondo cui l'Italia avrebbe bisogno di un «ancoraggio in Europa» e di una disciplina imposta dall'esterno - non solo è espressione di una radicale sfiducia verso il proprio Paese, e come tale implicita ammissione di inadeguatezza della sua classe politica; essa è anche l'esito ultimo di un europeismo distorto, frutto di un radicale fraintendimento del senso e del significato autentico del processo d'integrazione: quello per cui esso tenderebbe all'unione politica. La spoliticizzazione, intesa come cessione di specifiche e limitate competenze a organismi tecnici sovranazionali, serviva anzitutto gli interessi politici degli Stati che vi prendevano parte, e non rappresentava affatto un loro superamento in un presunto «interesse europeo». Il mix tossico di sfiducia verso il proprio Paese, fascino per l'asservimento e incapacità strategica di comprendere il significato geopolitico del processo d'integrazione ha contribuito a risolvere pressoché integralmente l'europeismo italiano nell'ideologia antidemocratica e illiberale del vincolo esterno. […] Occorre prendere atto dell'insolubilità politica dello stallo economico a cui l'unione monetaria ci ha condotto. Non c'è infatti via d'uscita dal vicolo cieco in cui un'integrazione europea fondata sull'equivoco e su latenti conflitti di potere ci ha sospinti. Le aporie dell'eurozona sono strutturali e gli strumenti che potrebbero in teoria evitare la sua implosione politicamente irraggiungibili. Lo choc virale non farà che accelerare l'inevitabile smantellamento dell'unione monetaria, come il crollo del 1929 segnò l'inizio della fine della parità aurea, ripristinando la necessaria flessibilità del sistema.peccato originaleLa trama della tragedia è stata introdotta nel tessuto dell'unione monetaria sin dal suo concepimento. […] Un rapporto recentemente declassificato del Dipartimento di Stato racconta che ai primi di novembre del 1978, nel corso di un lungo pranzo a Villa Taverna, l'ambasciatore americano chiese all'allora governatore della Banca d'Italia, Paolo Baffi, quale fosse, in tutta franchezza, la sua opinione sul Sistema monetario europeo (Sme, antesignano dell'euro), l'accordo franco-tedesco firmato ad Aachen due mesi prima volto a creare un regime monetario con tassi di cambio fissi tra i Paesi europei. L'Italia vi avrebbe aderito? Baffi confidò di essere «fortemente contrario» all'entrata del Paese nel Sistema monetario, e anzi chiese agli americani, vista la loro influenza su Giulio Andreotti (presidente del Consiglio), «di dirgli di essere prudente, di spiegargli che l'Italia non può entrare nello Sme nei termini attuali», perché farlo avrebbe significato condannare l'Italia alla deflazione. […] L'avvio della partecipazione italiana alla preistoria dell'euro ha così luogo nonostante il parere negativo della Banca d'Italia e del suo governatore, estromesso dal suo ruolo nel 1979 con oscure manovre che colpirono i vertici dell'istituto di emissione (oltre Baffi, Mario Sarcinelli, vicedirettore con delega alla vigilanza) architettate da una potente coalizione di «instruments of darkness» che coinvolgeva «giornalisti, finanzieri vaticani, dirigenti di istituti centrali di credito, uomini politici e loro caudatari, alti funzionari dello Stato, magistrati» riconducibili alla loggia massonica P2. Fu un anno in cui - come le streghe del Macbeth - si poteva dire «bello è il brutto, e brutto il bello. Voliamo nella nebbia e nell'aria sozza». Baffi, travolto da una campagna denigratoria, venne sostituito con Ciampi che invece legherà, con la complicità di Andreatta, i destini italiani a quelli dello Sme e poi dell'euro, completando l'elaborazione concettuale del vincolismo come filosofia di governo. […] Lo scopo ultimo della rimozione del controllo politico della moneta non fu soltanto il controllo dell'inflazione, ma più subdolamente della politica fiscale, favorendo una contrazione del ruolo dello Stato nell'economia, ottenuto sovraordinando il potere dei mercati a quello degli Stati.visione antidemocraticaNel caso italiano, un piccolo gruppo di tecnocrati, distribuiti tra Tesoro, Banca d'Italia, presidenza del Consiglio e ministero degli Esteri, «orientò il mandato negoziale accettando un paradigma che avrebbe rafforzato il proprio potere rispetto al potere politico». […] La moneta unica è figlia di questa visione radicalmente antidemocratica, che vorrebbe far passare come tecniche scelte che sono in realtà essenzialmente politiche. […] Per ironia (e nemesi) della storia, l'indipendenza della Banca centrale è oggi uno dei problemi strutturali dell'eurozona. La Bce è infatti impossibilitata de iure ad acquistare direttamente il debito dei Paesi dell'Eurozona, e non può essere quindi obbligata - a differenza di quanto avviene nel resto del mondo - a fornire supporto finanziario ai governi nei momenti di crisi. I Paesi europei sono così appesi alla buona volontà di tecnici non eletti, che nei limiti dei trattati possono creativamente tentare di salvare il salvabile ed evitare l'implosione dell'eurozona. […] Nei prossimi anni una nuova classe dirigente sarà chiamata a tracciare in modo responsabile una traiettoria di uscita ordinata dal purgatorio dell'eurozona, spezzando la spirale infernale di deflazione, disoccupazione e desertificazione industriale. Senza recuperare piena sovranità politica e pieno controllo sulla politica economica non solo non sarà possibile garantire un futuro di prosperità e benessere per l'Italia; non sarà neanche possibile immaginare, reinventandolo, un diverso legame fra le nazioni europee, in particolare con la Germania, con cui condividiamo un immenso patrimonio storico, filosofico e culturale. Legame che dovrà essere fondato sul rispetto della diversità e sulla libertà di ciascun popolo di decidere del proprio destino. Nel frattempo, infatti, i crescenti dissidi politici derivanti dall'innaturale tentativo di imporre un'unione fiscale tra democrazie diverse avrà fatto lievitare il risentimento, il sospetto e le diffidenze reciproche, acuendo, in una paradossale ma prevedibile eterogenesi dei fini, quella conflittualità tra le nazioni d'Europa che il processo d'integrazione aspirava a superare.
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