2018-10-16
Il Vietnam un tempo comunista si apre al libero mercato
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Il governo di Hanoi si prepara a rimuovere il limite del 49% imposto alle partecipazioni straniere di società nazionali quotate in Borsa. Nel 2017 il commercio vietnamita vale oltre il 200% sul Pil: è il livello più alto per qualsiasi Paese con oltre 50 milioni di abitanti. Adesso con le nuove leggi si attende un ulteriore boom.Finisce che in un mondo in cui gli Usa di Donald Trump vivono una fase nuova di populismo nazionalista e jacksoniano, fatta di dazi e protezionismo, i campioni del libero mercato si trovano a Est. Non soltanto la Cina di Xi Jinping che, forse più per riempire il vuoto di Washington che per convinzione, si erge a difesa della globalizzazione dando l'impressione di voler difendere il Paese globale per eccellente nonostante le sue contraddizioni politiche. Ma soprattutto il Vietnam e la Thailandia, due Paesi che, pur affrontare strade diverse, stanno aprendo il loro sistema socialista alla globalizzazione incassando grazie alla forza delle loro esportazioni. Il governo del Vietnam si prepara a rimuovere il limite del 49 per cento imposto alle partecipazioni straniere di società nazionali quotate in Borsa. Nel 2017, il commercio vietnamita vale oltre il 200% sul PIL: è il livello più alto per qualsiasi Paese con oltre 50 milioni di persone nei dati della Banca mondiale.Mentre le due superpotenze si sfidano, l'Occidente, a partire dal Regno Unito della Brexit, sembra voltar le spalle all'idea di un'economia globale sempre più interconnessa. Che la globalizzazione stia vivendo un periodo difficile lo raccontano i terremoti politici in Europa e l'ascesa della destra nazionalista un po' in tutto il mondo. Ma lo dimostrano anche i numeri: basti pensare che il dato degli scambi internazionali rispetto al Pil (cioè la somma di importazioni ed esportazioni divisa prodotto interno lordo) è passato dal 60% del 2011 al 56% del 2016, cioè in soli cinque anni.In questo mondo in cui tutto sembra rovesciarsi, a questo punto potrebbe anche non stupire più di tanto che a primeggiare, tra i Paesi più popolati al mondo, sia uno Stato, che fu comunista prima e socialista poi, come il Vietnam. Sulla scia della modernizzazione cinese di Den Xiaoping, che aveva come obiettivo la lenta apertura del socialismo al mercato, lo Stato del Sudest asiatico oggi può vantare un rapporto tra scambi commerciali e Pil pari al 200%. Si tratta del dato più alto di sempre per un Paese con oltre 50 milioni di persone secondo i numeri della Banca mondiale, che iniziò nel 1960 a registrarli.Si tratta di una percentuale molto alta, soprattutto se si pensa che generalmente numeri simili li fanno registrare stati molto ricchi quanto piccoli, come Hong Kong, Singapore e Lussemburgo, che hanno tutti tassi oltre il 300%, essendo troppo piccoli per consumare tutta la loro produzione. Al secondo posto della classifica dei Paesi con più di 50 milioni di abitanti, con un tasso pari al 122%, c'è la Thailandia, un altro Paese in cui l'antiamericanismo - e quindi l'opposizione al libero mercato - fu accesissimo durante la Guerra fredda. Al governo tailandese, appoggiato dal Stati Uniti, servirono 18 anni, dal 1965 al 1983, per sedare l'insurrezione del Partito comunista.Vietnam e Thailandia oggi vivono situazioni politiche diverse: il primo, ufficialmente Repubblica socialista del Vietnam, ha una forma di governo monopartitica sullo stile cinese; la seconda, invece, è da ormai quattro anni e mezzo sotto un regime militare. Tuttavia, entrambi sono Paesi socialisti che pian piano si stanno aprendo al mercato puntando sulle esportazioni per spingere la loro crescita economica. Quello del Vietnam, in particolare, è un percorso assai simili a quello intrapreso precedentemente dalla Cina: aprire il mercato del lavoro a basso costo agli investitori stranieri e diventare un centro per la produzione a basso costo. Per il Vietnam elettronica e abbigliamento sono i settori principali di esportazione, mentre per la Thailandia sono il greggio (il petrolio non raffinato invece è in cima alla lista dei prodotti importati) e l'elettronica. Per entrambi i Paesi gli Stati Uniti e la Cina sono le destinazioni principali dei beni. Guardiamo alla variazione del Pil pro capite: in Vietnam nel 1990 era inferiore a 95 dollari, mentre nel 2017 ha superato i 2.300; in Thailandia, invece, era attorno ai 1.500 nel 1990, mentre nel 2016 sfiorava i 6.600. In entrambi i Paesi a ciò è corrisposto, come dimostrano i dati della Banca mondiale e le indagine del Per research center, un crollo della percentuale di persone in condizioni di estrema povertà e un approccio positivo al libero mercato. Basti pensare che il 95% dei vietnamiti ha dichiarato che «il mercato è buono» in un sondaggio del Pew nel 2014.Ma c'è un grosso rischio per questi due Paesi, proprio vista la loro alta dipendenza dalle esportazioni. Infatti, se la guerra commerciale tra Usa e Cina, che sono come detto i principali acquirenti di merci vietnamite e tailandesi, dovesse precipitar, allora Vietnam e Thailandia vedrebbero la loro economia collassare nel giro di poche settimane.