
Ad Assisi, Stalingrado dei bergogliani, Donatella Tesei ha doppiato il suo avversario. Uno choc per le gerarchie ecclesiastiche che sognavano di fermare Satana Salvini. A cominciare dal presidente della Cei, Gualtiero Bassetti. Qualcuno era arrivato a definirla la Stalingrado dei cattolici bergogliani. Ebbene: Stalingrado è caduta. Ad Assisi, infatti, la candidata del centrodestra, Donatella Tesei, ha preso 8.708 voti contro i 4.484 del suo avversario, Vincenzo Bianconi. Praticamente il doppio. La Lega è salita al 42,97 per cento, più della media regionale. Fratelli d'Italia all'11,5 per cento. Così la città di San Francesco s'è risvegliata sovranista: laudato si' o mio Matteo. Fratello sole e sorella Meloni. Uno choc per le gerarchie ecclesiastiche, che pensavano di aver scavato qui la trincea per fermare l'avanzata del nuovo Satana. E invece hanno scavato soltanto un'altra voragine fra loro e i fedeli. Che sono sempre più lontani. E sempre più disorientati da una Chiesa ormai più in sintonia con le statuette magiche dell'Amazzonia che con il suo popolo.Con l'Umbria, infatti, non è caduta solo una storica roccaforte rossa. È caduta anche una storica roccaforte del cattolicesimo vicino a Bergoglio. Il quale, non a caso, quando è stato eletto ha preso il nome di Francesco. Da qui parte la sottile linea rossa del suo Pontificato. E qui, non a caso, la Chiesa è entrata nella competizione elettorale, come forse non aveva mai fatto prima. Ha parteggiato, se l'è giocata a viso aperto, ha buttato senza timore storia, fede e tradizione dentro la riffa dell'urna. A cominciare dal presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, che pochi giorni prima del voto, ha invitato i concittadini ad andare ai seggi e subito dopo ha incontrato a Perugia, il premier, Giuseppe Conte. Visita privata, si capisce. Ma durante il tour elettorale del leader giallorosso, quello concluso con la famosa e sfortunata foto di Narni. E con tanto di comunicato finale (della diocesi) e di conferenza stampa (di Conte), per ribadire reciproca vicinanza, comunità d'intenti, attenzione vicendevole. Pappa e ciccia, insomma. E così sia. «Potrei dirle una bugia, e sarebbe comunque un peccato veniale. Invece voglio dirle la verità: noi preghiamo affinché Salvini perda queste elezioni regionali». Così diceva un frate di Assisi a Fabrizio Roncone del Corriere della Sera, pochi giorni prima del voto. Il custode del sacro convento è stato costretto a intervenire con comunicato ufficiale per metterci una pezza: «Non siamo faziosi», ha messo nero su bianco, con una tipica excusatio non petita apparsa subito accusatio manifesta. Del resto, come stupirsi? La Chiesa si era immischiata fin dall'inizio nelle elezioni, a cominciare dalla scelta del candidato: avrebbe voluto il cattolicissimo Andrea Fora (Pd) o Francesca Di Maolo (presidente dell'Istituto Serafico). Si sono poi accontentati di benedire Vincenzo Bianconi, che infatti non ha perso occasione per citare, in ogni comizio, San Francesco. Persino il segretario Pd, Nicola Zingaretti, appena arrivato in Umbria per la campagna elettorale, si è sentito in dovere di esordire così: «Questa è la terra della pace e di San Francesco e non sarà mai la terra dell'odio e della Lega». Si sbagliava, evidentemente. La terra di San Francesco, che poi è anche la terra di Santa Chiara, di San Benedetto e di Santa Rita, la mistica Umbria, la terra religiosa, la regione intrisa di valori cristiani profondi come la sua storia, ebbene, ha scelto il centrodestra. Ha scelto Salvini e la Meloni. E in un colpo ha sconfitto il decennale regime di sinistra e, insieme, il partito della Chiesa di Bergoglio, mai così uniti, mai così vicini. E disposti evidentemente a barattare, il sì all'eutanasia e alle adozioni gay, in cambio del via libera all'immigrazione senza se e senza ma. Un compromesso, questo, che forse può avere una certa presa negli incontri privati in arcivescovado di Perugia. Ma di certo è un po' più difficile da spiegare ai fedeli delle parrocchie di periferia. E anche a quelli delle parrocchie del centro, per la verità. «Il mio parroco dice che Salvini è un demonio», diceva una delle voci riportate dal Messaggero durante la campagna elettorale. Una delle tante testimonianze dell'impegno diffuso e capillare della Chiesa in Umbria per fermare l'avanzata del nemico numero uno. Vade retro Satana, come da famosa copertina. Con padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del convento di Assisi, che non perdeva occasione di affacciarsi in tv per predicare umanità, accoglienza, porti aperti, i principi sacri dell'antisalvinismo militante, insomma. Tutto inutile. La crociata, per quanto organizzata senza risparmio, con impegno e grande dedizione, non ha funzionato. La Stalingrado di papa Bergoglio è caduta. E la sconfitta così clamorosa lascia una ferita ancor più profonda dentro il corpo sempre più fragile dei cattolici. I quali ora si chiedono se sia proprio necessario trascinare la Chiesa in competizioni elettorali, una dopo l'altra, con dichiarazioni sempre più spinte, con partecipazioni sempre più evidenti, come se l'istituzione millenaria, la pietra posata da Gesù, si potesse davvero confondere con una sezione di Leu o di +Europa. E senza capire che in questo modo si offende la fede sincera di tanti preti e suore che soffrono in silenzio. Oltre che quella di tanti fedeli che rischiano di perdersi per sempre.
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
La confessione di un ex imprenditore getta altre ombre sul «Sistema Pavia»: «Il business serviva agli operatori per coprire attività illecite come il traffico di droga e armi. Mi hanno fatto fuori usando la magistratura. Il mio avversario? Forse un parente di Sempio».
Nel cuore della Lomellina, dove sono maturate le indagini sull’omicidio di Garlasco e dove sono ora concentrate quelle sul «Sistema Pavia», si sarebbe consumata anche una guerra del riso. Uno scontro tra titani europei della produzione, che da sempre viaggia sotto traccia ma che, ora che i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi si sono riaccesi, viene riportata alla luce. A stanare uno dei protagonisti della contesa è stato Andrea Tosatto, scrittore con due lauree (una in Psicologia e una in Filosofia) e una lunghissima serie di ironiche produzioni musicali (e non solo) sul caso Garlasco. Venerdì ha incontrato Fabio Aschei, che definisce «uno con tante cose da raccontare su ciò che succedeva nella Garlasco di Chiara Poggi».
Outlook IEA aumenta la domanda di petrolio. Dominio green cinese con il carbone. CATL porta in Spagna 2.000 lavoratori cinesi. Sanzioni USA sui chip, Pechino in difficoltà. Nord stream, scontro Polonia-Germania.
Non solo i water d’oro: dettagli choc nell’inchiesta che scuote i vertici del Paese. I media locali: la gente è senza luce e quelli se la spassano. La Corte dei Conti Ue già nel 2021 parlava di corruzione insanabile.
Con lo scandalo nel settore energetico è iniziato il momento più buio per il presidente Zelensky. I vertici di Kiev tentano di prendere le distanze dai protagonisti dell’inchiesta sulla corruzione. Ma con scarsi risultati. Il popolo è ben consapevole che chi conduceva una vita agiata faceva parte della cerchia ristretta del leader.
Toghe (Ansa)
Invece di preoccuparsi delle separazioni delle carriere, l’Associazione magistrati farebbe bene a porsi il problema dei tanti, troppi, errori giudiziari che affliggono la macchina della giustizia.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.
Non penso a quel pastore sardo che ha trascorso più di 30 anni dietro le sbarre prima di essere dichiarato innocente. Né alludo al giallo di Garlasco, dove a 18 anni di distanza dall’omicidio e a dieci di carcerazione del presunto colpevole, la parola fine sull’assassinio di Chiara Poggi non è ancora stata pronunciata. No, se invito l’Anm a mettere da parte la battaglia sul referendum e a pensare di più a come le decisioni di un magistrato incidono sulla vita delle persone che non hanno colpe è perché mi ha molto impressionato la vicenda di quel bambino di nove anni che la magistratura ha consegnato alla sua assassina.





