2021-02-14
Il Turismo sottratto a Franceschini è uno schiaffo del premier al Pd
Dario Franceschini (Ansa)
Il capo delegazione dem dimezzato per salvare un comparto fondamentale per il Paese.Nel governo appena insediato c'è un caso: è quello di Dario Franceschini. Degradato a semplice ministro della Cultura, ha dovuto cedere la delega al Turismo al leghista Massimo Garavaglia. Per lui sono le forche caudine del potere: chinare la testa ai suoi più acerrimi avversari. A loro aveva sfilato il Turismo alla caduta del Conte uno riportando al ministero dei Beni cultuali la delega che era stata attribuita al leghista Gian Marco Centinaio, uno del settore, e ora incassa una sonora bocciatura. L'emblema è il bonus vacanze che, ingloriosamente tramontato con la legge di bilancio 2021, resta come simbolo dell'incapacità del governo Conte due di fare fronte alla crisi del virus cinese. Due miliardi e quattrocento milioni dovevano finire nelle tasche degli albergatori, non c'è arrivato che qualche spicciolo. Dario Franceschini che è stato ministro forse al Turismo ha assisto quasi annoiato al declino di un settore che vale il 13 per cento del Pil e che è il più penalizzato: 60 milioni di arrivi persi, l'80% degli alberghi chiusi, già 120.000 ristoranti falliti, agenzie di viaggio azzerate che tra l'altro hanno sulla testa la minaccia dei rimborsi in contanti ai clienti dei vaucher vacanze non usati, interi comparti in default: dai bus turistici, alle guide passando attraverso i tour operator. Di questo deserto economico al governo nessuno si è preoccupato, neppure Dario Franceschini che si è molto impegnato a fare il capo delegazione del Pd, ma assai meno ad ascoltare l'agonia degli operatori, compresi quelli della sua amata cultura: i cinema, i teatri, gli spettacoli dal vivo. Eppure Dario Franceschini da Ferrara, origini democristiane, poi nella Marherita infine attachè di Prodi e capocorrente del Pd, scrittore d'insuccesso, non ha mollato di un centimetro il suo potere. Fin quando non è arrivato Mario Draghi. Il ministro della Cultura è forse tra tutti i reduci del Conte due quello che ha avuto la più sonora sconfitta: è rimasto sulla sua austera poltra in via del Collegio Romano, più per garantire una, peraltro precaria, stabilità del Pd che per i risultati colti da responsabile di uno dei tratti più distintivi e attrattivi del Paese. Ai tempi del governo gialloblù aveva parlato di sacrilegio e di scippo del turismo finito al Mipaf, 16 mesi dopo gli tocca prendere atto che chi di delega ferisce di delega perisce. Se Mario Draghi ha deciso di sfilargli la responsabilità di un settore economico decisivo per la ripresa del Paese è perché tutte le categorie del turismo hanno chiesto politicamente la testa del ministro. Ma, per una sorta di nemesi, al capo delegazione del Pd nel governo Conte due ora tocca accettare che quella delega al turismo che lui aveva così fortemente voluto torni alla Lega, anzi si costituisce in un apposito dicastero: quello del Turismo. Era stato abolito (con improvvida proposta) nel 1993 con i referendum indotti sull'onda di Tangentopoli. Le competenze trasferite alle Regioni, era rimasta solo una direzione a Palazzo Chigi con l'Enit, l'agenzia nazionale di promozione, lasciata al suo destino. Ci si è resi conto che Turismo significa vendere il made in Italy, che turismo significa 80 miliardi di fatturato diretto, il 6% degli occupati che salgono a 200 miliardi tenendo conto degli indotti a 3,5 milioni di posti di lavoro sol che si consideri che prima del virus cinese significava 370 milioni di notti occupate. Dal ministero dei Beni culturali Dario Franceschini non è stato capace di affrontare questa emergenza, si è limitato solo a cercare di smontare la riforma dell'Enit, per distribuire qualche poltrona, fatta dal suo predecessore Gian Marco Centinaio senza successo. Ora arriva Massimo Garavaglia con un doppio impegno: far dimenticare in fretta la gestione Franceschini, rimettere in moto attraverso un'attenzione alle categorie il motore economico del turismo. Garavaglia già viceministro all'Economia con i gialloblù ha dalla sua il favore degli operatori. Quanto a Franceschini, la sua diminutio è un altro capo d'imputazione che i ribelli del Pd ascrivono alla segreteria di Nicola Zingaretti.
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