2020-04-07
«Il Trivulzio non ha mai insabbiato i decessi da Covid-19»
Pierluigi Rossi e il Pio Albergo Trivulzio (Ansa)
Il direttore dell'ospizio milanese Pierluigi Rossi nega le accuse di Repubblica sulla presunta strage di anziani: «Non temiamo gli ispettori».«Siamo in trincea da un mese e mezzo, non abbiamo occultato nulla e meritiamo rispetto». Pierluigi Rossi conosce il Pio Albergo Trivulzio come le sue tasche. Lavora nella struttura dal 1985, ha vissuto la stagione di Mario Chiesa e la rinascita, sino all'affermazione del polo geriatrico dei milanesi, come eccellenza italiana destinata a suscitare ammirazione e invidie. Medico fisiatra, è il direttore sociosanitario dell'istituto, impegnato ad arginare il Covid-19 e anche le polemiche. «La strage silenziosa», titolava domenica La Repubblica, ipotizzando un'epidemia insabbiata con 70 morti. Un pugno nello stomaco a Milano, al quale si aggiunge l'invio degli ispettori del ministero. Il gesto più sollecito del governo Conte dall'inizio dell'epidemia.Direttore Rossi, cosa direte agli ispettori?«Spiegheremo con trasparenza l'attività svolta, non abbiamo niente da nascondere. È tutto scritto. Ogni caso è spiegato in modo fedele in un bollettino interno, con tutte le misure prese. Abbiamo seguito in maniera scrupolosa le direttive di Organizzazione mondiale della sanità, Istituto superiore di sanità e Agenzia di tutela della salute. In più ci avvaliamo degli infettivologi che lavorano nell'istituto».Ci sono accuse mediatiche nei confronti della gestione del Pat.«Sono fuori luogo. Abbiamo cominciato a preoccuparci per i nostri ospiti il 22, 23 febbraio, quando fu definita la zona rossa di Codogno. Allora, pure in assenza di indicazioni specifiche, abbiamo limitato l'ingresso dei parenti, stabilito un decalogo di comportamento, intensificato i controlli, mandato in smartworking il personale amministrativo, bloccato gli accessi ambulatoriali». Quando avete blindato la casa di riposo?«Qualche giorno dopo abbiamo isolato i pazienti che presentavano sintomatologia febbrile e respiratoria. E al personale abbiamo fornito dispositivi di protezione individuale. Contestualmente abbiamo chiuso del tutto gli accessi ai parenti. Per favorire comunque i contatti e i colloqui in remoto, abbiamo attivato un servizio di smartphone e tablet per le videochiamate. Fin dall'inizio la nostra preoccupazione è stata quella di limitare il contagio all'interno della struttura».Che però è arrivato, si parla di 70 morti.«La storia dei decessi tutti imputati a coronavirus è scandalosa. Solo al Trivulzio abbiamo 1.013 ospiti, tutti molto anziani. L'anno scorso in marzo ne sono deceduti 52, non zero. In più 18 pazienti sono morti nell'hospice, dove ci sono malati con neoplasie all'ultimo stadio; purtroppo quello è il percorso finale. Nel primo trimestre 2019 avevamo avuto 170 decessi, quest'anno 165».Quanti decessi sono riconducibili al coronavirus? «Ci sono polmoniti batteriche che rispondono in modo differente. Possiamo dire che 8-9 pazienti sono morti con sintomi simili al Covid-19, ma senza tampone non si può avere l'ufficialità. Come molte case di riposo lombarde». È vero che avete vietato a medici e infermieri di usare le mascherine?«Proprio no, tanto è vero che nei reparti in prima linea, per esempio la pneumologia, fin dall'inizio tutti erano dotati di dispositivi di protezione ai massimi livelli. In altri settori abbiamo dovuto razionare le mascherine. Fino al 21 marzo, come tutti, abbiamo dovuto sopravvivere con le scorte e con 5.000 mascherine che siamo andati a prendere in autonomia a Padova. Dal 24 marzo la Protezione civile ci ha mandato altre mascherine. Anche il razionamento, se così possiamo chiamarlo, è stato fatto in base alle linee guida dell'Oms e dell'Iss».Sicuro di avere fatto tutto per tenere lontano il virus?«Abbiamo bloccato i ricoveri per evitare che il Covid arrivasse da fuori. Il rischio c'era fino all'8 marzo, giorno del decreto governativo. Ma anche prima chiedevamo la documentazione di non positività per accettare il paziente».E gli ambulatori?«Chiusi. Abbiamo attivato un servizio di telemedicina per i pazienti ambulatoriali; è una consulenza a casa per evitare rischi. Un punto debole però ce l'abbiamo, come tutti. È il personale, che deve per forza essere in servizio. Ma anche qui, dall'inizio dell'emergenza ogni giorno viene presa la temperatura a tutti. E chi ha 37,3 è rimandato a casa in isolamento volontario».È vero che è vietato mandare al pronto soccorso i pazienti?«No, anche deontologicamente non potremmo vietarlo. Abbiamo solo raccomandato ai medici di valutare se il pronto soccorso, per l'assistito, fosse un valore aggiunto in quel momento. Per evitargli eventualmente ore di attesa».Il grande accusatore del Pat è il professor Luigi Bergamaschini, vostro geriatra. «Il professor Bergamaschini era a rischio per l'età, quasi 70 anni. Essendo primario aveva modo di girare in ogni area della struttura. Poiché abbiamo alcuni dipendenti in autoquarantena, quella di proteggerlo non era certo un'idea bizzarra. L'abbiamo esonerato per questo. Diciamo che non l'ha presa bene e ha chiesto di essere reintegrato; lo abbiamo fatto tornare sotto la sua responsabilità».Avete accettato pazienti da fuori per la quarantena?«Mai accettati».In che condizioni state operando, dottor Rossi?«Emergenza continua. Niente di ciò che facevamo prima del 22 febbraio è lontanamente assimilabile. Sono qui dal 1985, ho visto di tutto nel bene e nel male. Ogni tanto escono queste storie. Le problematiche sono le stesse degli altri istituti, chissà perché il Trivulzio è sempre nei premi».