2020-10-13
        Il sindaco militarizza gli aperitivi ma lascia spalancati i suk abusivi
    
 
        Beppe Sala (Pier Marco Tacca/Getty Images)
    
Mercatini etnici e trasporti pubblici fuori controllo a Milano: assembramenti e zero mascherine. I vigili sono tutti sui Navigli. Giuseppe Sala ora pensa solo alla ricandidatura con l'appoggio del M5s e di Beppe Grillo.«Siamo preoccupati per Milano». È il ritornello in voga fra i virologi televisivi per rilanciare il tema Covid e spaventare i cittadini, così da indurli a rimanere in casa pur senza nuovi lockdown governativi. A non essere per nulla preoccupato sembra il sindaco Giuseppe Sala, che anche domenica si è attirato parecchie critiche per la gestione allegra dei numerosi mercatini etnici aperti in vari punti della città. Sono riferimenti classici, anche pittoreschi, frequentati da un'umanità eterogenea e da extracomunitari in cerca di merce (taroccata) a basso costo. Un video girato in viale Puglie e postato da Rosa Pozzani (Forza Italia) mostra assembramenti impenetrabili e ressa alle fermate degli autobus, con scontato imbuto al momento di salire sui mezzi pubblici. Non pervenute le mascherine, non pervenuto un vigile, non un tecnico, men che meno l'assessore alla Sicurezza, il vicesindaco Anna Scavuzzo.Nella metropoli destinata a diventare il santuario laico del monopattino a motore vige il doppio binario: l'amministrazione controlla rigidamente i giovani sui Navigli, mostra i muscoli fuori dai bar e dai ristoranti, ma non ha alcuna intenzione di disturbare il sereno tran tran del virus cinese in altri luoghi potenzialmente esplosivi come i suk abusivi e i trasporti. Il Comune aveva quattro mesi di tempo per adeguare le corse di Atm e più in generale per organizzare il flusso di quel milione di persone che ogni giorno entra in città per lavorare; non ha fatto nulla, se non usare la vernice gialla per rendere caotici alcuni quartieri con piste ciclabili inutili da qui a Pasqua per banali questioni climatiche. Dopo aver constatato che i volumi di traffico sono tornati ad essere quelli pre-Covid (impatto delle ciclabili zero), Sala ha preso una decisione napoleonica: dal 15 ottobre riaccende le 187 telecamere dell'Area B, che riparte in pieno. Di fatto, dopo aver filosofeggiato di aiuti per agevolare la ripresa, rimette una tassa d'ingresso sulla testa di lavoratori, artigiani, commercianti dei comuni limitrofi e di mezza Lombardia per fare cassa. C'è da capirlo, deve finanziare quelli che lui non vuole chiamare stati generali. Si tratta di una serie di incontri sui grandi temi metropolitani (mobilità, scuola, sanità, cultura, infrastrutture) con ospiti internazionali ed esperti. «È un brainstorming in cui si discute di tutto come se si partisse da zero», ha spiegato su Facebook. «È un processo serio, strutturato e molto esteso che metterà tutte le rappresentanze, le competenze e le volontà pubbliche e private a confronto».Si tratta della panna montata che sempre precede le campagne elettorali, e di fatto è il lancio di quella del centrosinistra. Al termine dei non stati generali, presumibilmente ai primi di novembre, Sala lancerà la sua ricandidatura. Ha valutato che il governo è destinato a galleggiare sulla palude ancora per parecchio tempo e che per lui è difficile un rapido e trionfale passaggio del Rubicone. La cena con Beppe Grillo a fine agosto aveva lo scopo di capire le aperture del Movimento 5Stelle ad un'eventuale alleanza strategica per tentare una riconferma non scontata: in centro i suoi cachemire fanno presa mentre nelle periferie della grande Milano, in cinque anni, non è mai entrato. Sull'accordo con i grillini è invece scettico il Pd milanese, che preferirebbe cementare l'alleanza con i centristi - i renziani, gli azionisti di Carlo Calenda, gli europeisti random - piuttosto che perderli per imbarcare i pentastellati, che in Lombardia arrancano dalla nascita.Naviga a vista il sindaco, nell'autunno della resa dei conti. Il bilancio piange, i progetti del primo mandato non si vedono (scali ferroviari al giorno zero, stadio San Siro al giorno zero, città ecologica in modalità propaganda), i monopattini creano solo caos, il piano trasporti è un disastro, i motivi per rimbalzare le polemiche sulla Regione sono sempre più futili. E continuare a intestarsi i successi di Gabriele Albertini e Letizia Moratti - City Life, Metro 4, grattacieli dell'Isola contro i quali la sinistra aveva fatto fuoco e fiamme - significa prendere per il naso i milanesi. C'è peraltro il rischio che lui passi alla storia per aver concesso agli islamici la moschea di via Novara. In tutto questo il virus cinese è di nuovo alle porte, ma per Sala il problema numero uno è l'uso che Donald Trump fa della parola «paura». In un video di qualche giorno fa, il sindaco ha duramente criticato il presidente americano (aveva detto «Non dovete avere paura del virus»), discettando sulla declinazione sociale del termine. Praticamente la paura è nobile e protettiva quando ce l'ha lui ma è fastidiosa quando la stemperano gli altri. Sala è un uomo francescanamente sensibile, non a tal punto - lui primo cittadino della città più inclusiva e femminista del sistema solare - da trovare una parola di solidarietà per Silvia Sardone minacciata di morte. La più votata del centrodestra meneghino è anche consigliera comunale di Milano, quindi fa parte dell'istituzione cittadina presieduta da Sala. Ma è della Lega, quindi la gestione della paura è affar suo.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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