2018-05-17
Il settore agricolo è in difficoltà ma è in arrivo un’iniezione di capitali
Il calo delle materie prime ha danneggiato i produttori di pesticidi e sementi, che ora puntano sulle fusioni. Meglio le macchine agricole. Buone però le prospettive: la domanda di cibo aumenterà del 70% entro il 2050.!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");Di solito non se ne sente molto parlare, eppure l'agribusiness, il settore legato ai colossi del mondo dell'agricoltura, può offrire delle opportunità per chi vi vuole investire. Si tratta di un mondo fatto da un numero relativamente piccolo di aziende, spesso frutto di aggregazioni che si sono succedute negli anni. Il motivo è intuibile: il prezzo delle commodity agricole da tempo è molto volatile e in difficoltà, per cui numerose aziende hanno deciso di fondersi. «I prezzi delle commodity agricole in calo da anni (salvo rari momenti) si sono ripercossi su tutto ciò che ruota attorno al settore, dai fertilizzanti ai pesticidi, dalle sementi alle macchine agricole», sottolinea Roberto Rossi, analista finanziario esperto che da tempo segue questo mondo. «Il settore cerca quindi di recuperare marginalità attraverso un processo di concentrazione che vede il mercato sempre più nelle mani di grandi multinazionali».Non è un caso che l'anno scorso abbiamo assistito a grandi operazioni di fusione. «Nel solo corso del 2017», sottolinea Rossi, «si possono citare l'acquisizione del gigante Monsanto, leader nella produzione di sementi, da parte della tedesca Bayer, l'acquisizione del colosso svizzero di fertilizzanti Syngenta (e la sua successiva uscita dal mercato borsistico) da parte di ChemChina, la fusione della canadese Potash of Saskatchewan con la statunitense Mosaic in Nutrien, leader nella produzione di fosfati, la mega fusione delle due americane Dow e Dupont nel settore dei fertilizzanti». Se dunque chi punta sulle materie prime agricole ha avuto non poche difficoltà, chi si sposta nel settore dei produttori delle macchine agricole forse può sperare in un po' più di fortuna. «Va meglio il settore delle macchine agricole che ha visto una battuta d'arresto delle quotazioni da gennaio a oggi, ma un buon recupero negli ultimi anni». Si tratta di un «mercato difficile e la riduzione del numero di aziende in questo campo è alla base della sostanziale assenza di fondi di investimento dedicati, anche a gestione passiva (Etf, cioè quelli che replicano un indice, ndr)», sottolinea Rossi.Ma ora tutto questo potrebbe cambiare. Anche se negli ultimi 50 anni la produzione di cibo è aumentata vertiginosamente, nei prossimi decenni il problema della carenza di alimentazione potrebbe tornare alla ribalta. Se la dinamica demografica proseguirà ai ritmi attuali, infatti, si stima che entro il 2050 la domanda calorica aumenterà del 70% e quella di grano per il consumo umano e animale salirà di almeno il 100%. Allo stesso tempo le risorse stanno diminuendo. Per fermare la crisi, gli investimenti nel settore sono cresciuti molto negli ultimi anni e le aziende ne trarranno beneficio. Dal 2004 ad oggi, scrive McKinsey, gli investimenti globali in questo campo sono più che triplicati, arrivando a toccare quota 100 miliardi di dollari nel 2013. Come spiega Rossi, ci sono titoli che sono cresciuti molto. È il caso, ad esempio di Deere, che in tre anni ha avuto rendimenti di oltre il 60%. È andato bene anche il titolo di Israel chemicals, produttore di fertilizzanti, che in un anno ha reso il 12%. Attenzione, però, trovare l'investimento giusto può essere molto difficile. Per una buona occasione ce ne possono essere molte cattive. Il consiglio, per chi vuole avventurarsi nell'agribusiness, è di affidarsi a un consulente esperto. Si risparmieranno noie e notti insonni.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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