2019-02-11
Il salotto Vip ribalta il voto popolare. E così regala il trionfo a Mahmood
Il rapper con padre egiziano arriva ultimo al televoto ma il giudizio del pubblico viene annullato dalla sala stampa e dalla giuria di qualità, di cui fanno parte esperti come Beppe Severgnini, Serena Dandini e Claudia Pandolfi.Perché non applicare il meccanismo anche alla politica? I «competenti» si riuniscono e correggono gli «errori» degli elettori che si ostinano a scegliere Donald Trump, Brexit e Lega.Lo speciale contiene due articoli.Ah, gli esperti. I giurati di qualità. I critici specializzati. Studiati e competenti. Appollaiati nelle poltroncine dell'Ariston. Asserragliati nella sala stampa a insultare i concorrenti sgraditi. Se un brano di Marocco pop ha vinto il 69° Festival della canzone italiana lo dobbiamo a loro. Ai sacerdoti delle sette note. Agli esperti del salottino colto. I telespettatori, la gente che canticchia i ritornelli, avevano scelto diversamente. Ora apriti cielo. Putiferio sui social. Mitragliate di giudizi. Articolesse schierate per giorni, c'è da giurarci. Sotto accusa il regolamento, i vertici Rai e il direttore artistico. E probabilmente pietra tombale sul Claudio Baglioni ter. Il quale, non a caso, a risultato ancora caldo, si è pronunciato in favore del ritorno al televoto puro: «Penso che se il Festival vuole essere veramente una manifestazione popolare deve essere giudicata solo dal televoto», ha scandito. Si vedrà. Sanremo è lo specchio del «Bipaese». Del Paese diviso in due. Élite da una parte, popolo dall'altra. Una rappresentazione plastica di due mondi che non comunicano, non si integrano. Anzi, confliggono. Certo, non tutta la kermesse riproduce la divisione, ma l'esito finale sì. Ha vinto Alessandro Mahmoud, nato a Milano da madre sarda e padre egiziano, in arte Mahmood. Marocco pop è la definizione che lui stesso ha dato di Soldi, il brano trionfatore. Non è questo il problema, può vincere uno o l'altro, si possono avere gusti differenti. La cosa che fa sorridere è la genesi del verdetto finale. Come ci si è arrivati. Niente crociate, sono solo canzonette. Ma a un giorno di distanza dal risultato c'è di che divertirsi. Tra i tre finalisti le preferenze del televoto, che pesa per il 50%, avevano premiato la canzone di Ultimo (I tuoi particolari) con il 46,5%. Il Volo (Musica che resta) era secondo con il 39,4% e Mahmood terzo con il 14,1%. Sono state la giuria dei giornalisti (che pesa per il 30%) e quella di qualità (20%) a capovolgere il risultato scaricando su Mahmood il 63,7% dei loro voti. Risultato finale: 38,9% per Mahmood, 35,6% per Ultimo e 25,5% per Il Volo. Già prima, al momento dell'esclusione di Loredana Bertè, la classifica era stata contestata dalla platea. Subito dopo ha suscitato la reazione scomposta di Ultimo, sconfitto sul filo di lana. La notte non ha smorzato i toni: ieri, sia la Bertè sia Ultimo hanno disertato Domenica In, probabilmente in segno di protesta.Adesso è una corsa affannosa a ridimensionare il ribaltone: non bisogna offrire nuovi argomenti a Matteo Salvini. Se non è così, offrissero una chiave di lettura alternativa e attendibile. Basta un giro su Twitter per capire il tenore dell'imbarazzo. Già ieri mattina Stefania Carini aveva anticipato l'andazzo: «Oggi per spiegare Sanremo 2019 sarà “voto popolare/gialloverde vs élite giuriagiornalisti/piddini"? Nel dubbio torno a dormire». Flavia Amabile della Stampa invece era sicura: «Quest'Italia in cui l'opposizione è il Festival di Sanremo», twittava sopra il link di un pezzo senza la notizia del vincitore. La sintesi sembrava buona, anche se non si capiva se approvava o ce l'aveva con il Pd e Fi. Chissà; forse sarebbe stato più corretto: «Quest'Italia in cui l'opposizione sono le giurie dell'Ariston». Comunque, ecco Tommaso Labate del Corriere fare un passo avanti e dare la linea: «Chiunque butti in politica la vittoria di Mahmood regala a Salvini l'occasione di posizionarsi ancora una volta dalla parte del popolo (il televoto che aveva premiato Ultimo) contro l'élite (che han fatto vincere Mahmood). Facciamo che sono solo canzonette?». Tagliava corto Boris Sollazzo: «Mahmood vince. Salvini chiuderà il porto di Sanremo…».Fino a prima del colpo di mano delle giurie era un festival filato liscio, nella sua modestia. Qualche monologo non riuscito, qualche altro sì e senza autocensure (Pio e Amedeo). Serata dopo serata, soprattutto Virginia Raffaele era riuscita a trovare il dosaggio giusto tra i compiti di conduttrice e il talento di comica poliedrica, erede di Anna Marchesini (superlativo il medley di imitazioni dell'ultima sera). Certo, qualche canzone era borderline, qualche altra superflua. Ma ci sta, «nessuno è perfetto», aveva chiosato il direttore artistico. I superospiti italiani avevano compensato uno show zavorrato dall'overdose di rap e trap. E svecchiare pubblico e partecipazioni era un altro dei meriti del Festivalone che, ha enfatizzato qualcuno, aveva annullato anche l'idea che potesse sbucare da un momento all'altro gente come Al Bano o Toto Cutugno. Una grande svolta, sembrava; volendo dimenticarsi Pippo Baudo, Ornella Vanoni e Patty Pravo atterrata dal bar di Guerre stellari (copyright Renato Franco). Poi l'impennata del politicamente corretto...Qualche anno fa il televoto determinava da solo il verdetto e le community dei talent show facevano vincere i concorrenti usciti da Amici come Marco Carta, Valerio Scanu ed Emma Marrone. Fu Fabio Fazio a reintrodurre le giurie di esperti e giornalisti come correttivo della troppa democrazia attribuendo loro il 50% del giudizio. Con Carlo Conti, nella serata finale i giornalisti venivano sostituiti dalla giuria demoscopica che affiancava quella di qualità. Con Baglioni sono tornati i giornalisti.Scorrere i nomi dei componenti la giuria di qualità, alcuni dei quali hanno anche sorprendentemente presentato i cantanti, è istruttivo. Insieme al presidente Mauro Pagani, curriculum indiscutibile, ci sono Serena Dandini, Claudia Pandolfi, Beppe Severgnini, Elena Sofia Ricci, Ferzan Özpetek, Camila Raznovich e Joe Bastianich la cui competenza musicale, a differenza della inclinazione politica, risulta piuttosto vaga. Quanto al ruolo dei giornalisti specializzati, bastava leggere la solita Stefania Carini in tempo reale: «Tutto il cucuzzaro sui Soldi!!!! riassunto del clima in sala stampa». Oppure guardarsi i video postati da Cosmopolitan («Sala stampa pazza di Mahmood») per vedere il tifo sfrenato e il battito a tempo con il ritornello di Soldi, oppure gli insulti al Volo al momento della comunicazione del terzo posto. Sia chiaro: nessuno ha niente contro Mahmood, il suo timbro inconfondibile e il sound urban della canzone. È solo che il Marocco pop con il narghilè e il ramadan stona un filino come vincitore del Festival della canzone italiana.Quello che maggiormente disturba è il fatto che pochissime persone, competenti ma politicamente orientate, pesino quanto masse di telespettatori. E, agendo da squadra, riescano a capovolgerne il pronunciamento. L'ha capito anche Baglioni: «Questa mescolanza, il fatto di avere tre o quattro giurie spezzettate rischia di essere discutibile». Viene il sospetto che più che votare la canzone, i membri del salottino colto abbiano votato il cantante.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-salotto-vip-ribalta-il-voto-popolare-e-cosi-regala-il-trionfo-a-mahmood-2628563250.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="modello-ariston-il-sogno-dellelite" data-post-id="2628563250" data-published-at="1758125419" data-use-pagination="False"> Modello Ariston, il sogno dell’élite Modello Sanremo. Adesso non resta che applicare il meccanismo di voto del Festival ai prossimi appuntamenti politici. È semplice, no? Si fanno votare i cittadini, come d'abitudine. Poi però una piccola conventicola di eletti si raduna nel salotto buono e, fra una tartina di caviale e un sorso di champagne, decide se il voto è giusto o sbagliato. Nel secondo caso lo ribalta, perché è chiaro: la democrazia va bene, ma solo quando si allinea al pensiero di Beppe Severgnini. Non è fantastico? Pensate a quanti errori si sarebbero potuti evitare nel recente passato applicando il metodo elettorale Sanremo. Dalla Brexit a Donald Trump, fino ad arrivare alla vittoria in Italia di Lega e 5 stelle: tutte scelte del popolo che vanno chiaramente contro i gusti della giuria di qualità. Che ne dice Ferzan Özpetek? Che dicono Serena Dandini e la sedicente «lesbica dentro» Claudia Pandolfi? Ovvio: non condividono. E dunque sovvertono. Vorrete mica che a decidere siano quei puzzoni dei cittadini che non hanno nemmeno mai partecipato a una David di Donatello o a una trasmissione su Raitre? L'idea è vincente, credetemi. E non va fermata al campo musicale. Bisogna pensare una nuova riforma costituzionale che prenda spunto proprio dall'innovazione del teatro Ariston. Se la gente vota in modo che non si confà ai palati fini, i palati fini hanno il diritto di ribaltarlo. Gli elettori vogliono la Brexit? La giuria di qualità dice no. Vogliono Trump? La giuria di qualità dice no. Bocciano Emmanuel Macron? La giuria di qualità dice no. Scelgono Matteo Salvini? La giuria di qualità dice no. La giuria di qualità applicata alla politica permetterebbe di evitare quelle ripetute follie del popolo che, inspiegabilmente, non sempre si assoggetta al volere della élite. Razza di screanzati: bisogna pur correre ai ripari, no? Ecco, il meccanismo sanremese è semplicissimo: se Mahmood vince con il 14% dei voti popolari, forse anche Emma Bonino potrebbe diventare presidente del Consiglio con il 2%. Non vi pare? Funziona così: si ritrovano il presidente Sergio Mattarella, il direttore del Corriere della Sera, il governatore di Bankitalia, qualche intellettuale scelto con il consenso dell'Espresso-Repubblica, si autoproclamano Detentori assoluti della qualità e decidono chi vince e chi perde, fregandosene allegramente dei voti popolari, che proprio in quanto popolari fanno schifo assai. Ci si potrebbe chiedere: ma perché allora chiedere ancora alla gente di esprimersi? Non si potrebbe evitare? Eh, no amici: bisogna dare la possibilità alla gente di scegliere, perché così Camila Raznovich e Beppe Severgnini possono cancellare la scelta della gente con un tratto della loro penna, ovviamente d'oro. È il bello della nuova democrazia. La democrazia dei miei Baglioni.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
L'ad di Cassa Depositi e Prestiti: «Intesa con Confindustria per far crescere le imprese italiane, anche le più piccole e anche all'estero». Presentato il roadshow per illustrare le opportunità di sostegno.
Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)