2022-05-26
Il reddito di cittadinanza infinito piace all’Ue
Basta uno stop di un mese ogni 18 per tenersi il sussidio anche tutta la vita. Un esborso per lo Stato di 11 miliardi all’anno che però non disturba i falchi europei. Il motivo? È una misura coerente con la creazione di un habitat salariale schiacciato verso il basso.Inutile farsi illusioni: non solo non sarà facile smontare il reddito di cittadinanza, ma - al contrario - è assai più probabile che il sussidio grillino resti imbullonato, perpetuato, protratto come misura ormai tendenzialmente strutturale e permanente. E tutto questo per almeno quattro ragioni.La prima l’ha meritoriamente valorizzata in modo assai critico ieri Il Tempo. Di fatto, nonostante i modesti correttivi introdotti, le regole vigenti consentono la ripetibilità all’infinito della misura dal punto di vista del percettore. Basta infatti un simbolico stop di un mese tra un periodo di 18 mesi e l’altro, e il gioco è fatto. In altre parole, le norme non fissano un limite temporale definitivo, e l’Inps, in coincidenza con quelle scadenze (e sempre tenendo conto della «pausa» di 30 giorni), si vede recapitare a valanga richieste di reiterazione del sussidio. Secondo la reportistica Inps di febbraio, ad esempio, risultava beneficiario del sussidio il 70% dei nuclei familiari che già lo incassavano all’inizio, cioè nel 2019. Di tutta evidenza, questo è un potente disincentivo a cercare occasioni vere di lavoro: se c’è la ragionevole garanzia di mantenere il proprio sussidio (e se magari lo si somma a un lavoretto in nero e a un po’ di aiuto dei genitori), è scontato che molti giovani continueranno a optare per la «soluzione-divano». Né può rappresentare un serio disincentivo la minidecurtazione di 5 euro mensili a causa dell’eventuale rifiuto della prima opportunità «congrua» di lavoro. La seconda ragione, più volte evidenziata dalla Verità, riguarda i poderosi stanziamenti confermati nell’ultima legge di bilancio, che ha addirittura irrobustito il finanziamento della misura, portandolo a oltre 10 miliardi l’anno. Peggio ancora: questa somma risulta stanziata per ben 8 anni (e 10 miliardi per 8 anni conducono alla somma monstre di 80 miliardi). E sempre nell’ultima manovra, con riferimento all’ultimo anno citato, il 2029, si usa la formula «a decorrere da»: come dire che la misura è proiettata all’infinito, a meno che prima o poi qualcuno abbia il coraggio di cancellarla. La terza ragione è legata al Pnrr e all’Ue. Lo stesso Pnrr draghiano non esclude il affatto reddito di cittadinanza. I grillini - su questo - tendono addirittura a esagerare, arrivando a sostenere che, senza sussidio, l’Ue avrebbe bocciato il nostro Recovery Plan. Quest’ultima è naturalmente una sciocchezza, però ha una pezza d’appoggio: quando a febbraio 2021 il Parlamento e le altre istituzioni Ue dissero sì al «Recovery and resilience facility», il dispositivo fece riferimento alle Raccomandazioni della Commissione Ue del 2019 e del 2020. E nelle considerazioni del 2020, sia pure nella parte delle premesse (i «considerando»), il reddito di cittadinanza fu citato come lo strumento che «può attenuare gli effetti della crisi Covid 19». Poi, nella parte più incisiva e politicamente rilevante del documento, non c’era molto altro, però i grillini possono indubbiamente aggrapparsi a quel riferimento iniziale. E qui scatta la quarta ragione: la logica statalista e assistenzialista europea non è certo contraria a misure di questo tipo. In questo senso, chi osteggia il reddito alla grillina deve prepararsi a nuotare controcorrente, nell’ottica europea. Come la Verità ha denunciato in questi giorni, con riferimento alle ultimissime Raccomandazioni Ue, il sistema del reddito di cittadinanza a Bruxelles va più che bene, anzi è il naturale pendant di quanto la Commissione ha messo nero su bianco in termini di compressione salariale tramite inserimento di manodopera straniera a basso costo. E la controprova sta proprio nel fatto che l’Ue (da anni) ha contestato tutto all’Italia: le scelte annuali sul deficit, quota 100, la mancata riforma del catasto (per stangare ulteriormente il mattone), e così via, ma non ha mai eccepito nulla contro il reddito e i megastanziamenti che abbiamo ricordato poco fa a favore del sussidio. Del resto, lo stesso Mario Draghi non ha mai mosso un dito in direzione contraria. Anzi: ha potentemente rifinanziato la misura, come abbiamo visto. Non solo, ad agosto scorso, nel suo saluto estivo informale ai cronisti, buttò lì una considerazione culturalmente simpatetica verso il provvedimento: «È troppo presto per dire se verrà riformato, ma il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno». Alcuni mesi dopo, seguì la pioggia di denaro pubblico aggiuntivo che abbiamo ricordato. Resta sullo sfondo l’annuncio referendario di Italia Viva: solo il tempo ci dirà se la proposta abrogativa verrà effettivamente incardinata, o se si tratta di un’ipotesi velleitaria. Certo, si richiederebbe un’iniziativa al centrodestra: quegli 80 miliardi andrebbero riconvertiti in larga misura in tagli di tasse (per tutti, autonomi e dipendenti). Il che non vuol dire essere pregiudizialmente contro strumenti di sostegno a favore di chi abbia davvero bisogno. È ad esempio celebre l’antica proposta di Milton Friedman relativa all’»imposta negativa sul reddito»: sotto una certa soglia di reddito, non dovrebbe scattare una tassa ma un aiuto. Ma per far questo non servono 80 miliardi, né il megacatafalco burocratico a base di navigator, centri per l’impiego, e strutture (ovviamente inefficaci) volte a creare lavoro attraverso apparati pubblici. Il lavoro lo creano le imprese: come i grillini presumibilmente non sanno.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)