2021-06-28
Il prof anti Meloni fustiga gli intellò: «Conformisti». Ma lui ne è il principe
Simon Sullam, ancora al suo posto nella commissione Bianchi nonostante il «raid» contro la leader di Fdi, ha scritto un libro su Alberto Moravia e Piero Calamandrei: «Organici al potere». Esattamente il suo stesso atteggiamento.Per Simon Levis Sullam, professore associato dell'Università Ca' Foscari di Venezia, è un anno davvero straordinario. Non solo è diventato famoso (seppure per motivi decisamente discutibili), ma ha pure pubblicato un libro per un grande editore, che non mancherà di avere ottime recensioni. Il nome dell'insigne docente di Storia contemporanea, fino a qualche settimana fa, era sconosciuto ai più. Si è guadagnato l'onore delle cronache per un gesto di estremo coraggio: Sullam, come ormai noto, condivise su Facebook una foto (scattata all'interno di una libreria Feltrinelli) che mostrava i libri di Giorgia Meloni «a testa in giù», con evidente riferimento a piazzale Loreto. Quando i giornali si sono interessati alla sua mirabile trovata, Sullam ha gagliardamente rimosso il post, ha accuratamente evitato di scusarsi e anzi ha dichiarato al mondo di essere stato «aggredito».Per il suo eroico comportamento, il professore non ha avuto alcuna conseguenza. Non ci risulta che l'università l'abbia sospeso o sanzionato in qualche modo. Soprattutto, non ci risulta che gli sia stato levato il prestigioso incarico conferitogli del ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi: fare parte di una commissione di storici «anti odio», ideata dal fu ministro Lucia Azzolina e resa operativa dal successore Bianchi. Il quale, con decreto del primo aprile 2021, ha fatto partire la «Commissione ministeriale per la conoscenza e lo studio della storia nella scuola». Compito di tale commissione è quello di «supportare la formazione dei docenti e dei metodi di insegnamento relativi alla storia nel sistema scolastico, con particolare riferimento alla diversità di genere, di cultura e di appartenenza».Già è curioso il fatto che un professore che si diverte a diffondere foto del libro della Meloni a testa in giù si ritrovi in una commissione che deve prendere decisioni riguardanti i programmi di storia per le scuole. Ma ancor più curiosità suscita ciò che Sullam scrive nel suo nuovo libro appena sfornato dall'editore Feltrinelli (pensa tu le coincidenze). Il volume si intitola I fantasmi del fascismo, ed è dedicato al ruolo degli intellettuali. Sullam esamina le vicende di quattro illustri uomini di cultura: Federico Chabod, Piero Calamandrei, Luigi Russo e Alberto Moravia. Egli analizza il comportamento che tennero durante il Ventennio fascista e quello che assunsero subito dopo, soprattutto al momento di commentare quanto avevano vissuto. Ebbene, secondo lo storico questi intellettuali, ovviamente assieme ad altri, «contribuirono a rimuovere il fascismo dalla coscienza storica degli italiani, a sminuirne le responsabilità collettive, a censurarne o idealizzarne i comportamenti». Per andare con l'accetta potremmo riassumere così: i quattro intellettuali presi in esame furono decisamente tiepidi, sotto il regime, nella condanna del fascismo. Poi, però, quando il regime cadde presero - chi più e chi meno - ad autoassolversi, a mettere in risalto i pur deboli gesti di opposizione al Duce. Costoro, insomma, contribuirono a una sorta di «rimozione italiana ed europea delle responsabilità collettive». In fondo, sulle posizioni diciamo «ondeggianti» degli intellettuali nel Dopoguerra Sullam ha perfino ragione. Caduto il Duce, praticamente tutti gli italiani divennero improvvisamente antifascisti. Anche su un'altra questione Sullam è nel giusto. E cioè quando considera gli intellettuali «innanzitutto nella loro attitudine a schierarsi con l'ordine, a sostenere il potere e ad assumere e promuovere le tendenze della maggioranza». Egli, deprecando il «tradimento dei chierici», sostiene che gli uomini di cultura abbiano la «predisposizione a rafforzare piuttosto che a mettere in discussione le strutture esistenti dell'autorità». Insomma, gli intellettuali sono per lo più servi del potere. Sante parole. Sullam, però, a sostegno di questa giustissima tesi non porta un esempio fondamentale: il suo. Egli è, infatti, un perfetto rappresentante della classe intellettuale che si prostra al discorso dominante. Ai calciatori viene chiesto di mettersi in ginocchio (e talvolta rifiutano), con l'intellettuale non c'è bisogno: egli lo fa da solo per la causa, e che si tratti delle ossessioni Lgbt, dell'antirazzismo militante o dell'antifascismo in assenza di fascismo, poco cambia. Credendo appunto di aver compiuto una mirabile operazione antifascista (la pubblicazione di una foto su Facebook), Sullam non ha fatto altro che uniformarsi, da vero conformista, alla paccottiglia ideologica della sinistra (miserevole foglia di fico per ben altri potentati economici). Proprio come gli intellettuali di regime che bacchetta nel suo saggio, Sullam si è accanito contro una voce ostinata e contraria, ha alimentato l'odio contro il «nemico politico», ha addirittura preso di mira un libro come nella migliore tradizione. Non lo ha letto: lo ha irriso nella speranza che nessuno lo acquistasse, così che la censura del pensiero difforme fosse completa. Il caro professore, che grazie alle sue posizioni ottiene importanti incarichi, nel bel tomo appena uscito esamina «le metamorfosi degli intellettuali italiani nel dopoguerra». Ma a giudicare da come lui stesso si comporta, di metamorfosi ce ne sono state davvero poche. Gli intellettuali di oggi, quasi più di quelli di un tempo, si comportano sempre alla stessa maniera: come servi.