2024-03-09
Il problema non sono solo le talpe. Ecco i rapporti (spericolati) dei pm
Striano bersaglio dei giornali, più cauti coi magistrati. Ma l’uomo che inquisì l’ex Anm indagò solo alla vigilia della pensione il presunto corruttore, con cui aveva rapporti. E Catiuscia Marini (Pd): «Cortocircuito stampa-toghe».I media italiani stanno dedicandosi a reti unificate alla storia del tenente Pasquale Striano e ai suoi presunti dossieraggi. Un suo ex collega del finanziere scuote la testa: «Ogni giorno alzano il livello. Ora dietro avrebbe i servizi esteri, domani gli ufo». In effetti l’ex investigatore della Direzione nazionale antimafia è un bersaglio facile. Mica come certi pm intoccabili. Che hanno fatto il bello e il cattivo tempo e che, con la complicità di certi giornalisti, hanno impallinato questo o quel collega, colpevole solo di non essere allineato. Per tre giorni vi abbiamo raccontato quanto è accaduto a Perugia durante l’inchiesta su Luca Palamara, dove gli inquirenti, con accuse mai dimostrate, sono riusciti a far saltare la nomina a procuratore di Roma di Marcello Viola. Per capire che cosa sia successo davvero bisogna aprire il capitolo dei rapporti dell’allora procuratore di Perugia Luigi De Ficchy (a partire dal gennaio del 2015) con il suo «amico», il lobbista Fabrizio Centofanti. Quest’ultimo è il personaggio da cui è partita l’inchiesta per corruzione nei confronti di Palamara. Peccato che sino a fine maggio 2019 non sia mai stato iscritto sul registro degli indagati, né infettato con il trojan, per poter captare le sue conversazioni. Il presunto corruttore è rimasto ai margini del fascicolo sino a quando l’1 giugno 2019 De Ficchy non è andato in pensione. Ma intanto la microspia inserita nel cellulare di Palamara aveva già fatto il suo sporco lavoro, captando conversazioni relative alle nomine del Csm, che nulla c’entravano con la corruzione, ma che sono servite a far saltare la promozione di Viola, esponente di punta della corrente moderata di Magistratura indipendente.Il Gico della Guardia di finanza, in un’annotazione di 13 pagine consegnata a Firenze l’8 febbraio del 2022, ricostruisce, sulla base dell’analisi del materiale informatico sequestrato a Centofanti nel 2018 dalla Procura di Roma, il legame tra i due. Il nominativo di De Ficchy compare, ad esempio, in un file Excel, tra le persone invitate a una festa nel settembre del 2015, così come in quello dei nominativi a cui mandare l’invito per la presentazione del libro Grassi dentro, di Nicola Sorrentino, prevista per il 18 febbraio 2016. Il procuratore risulta anche «tra gli occupanti» di un tavolo, chiamato «Lex Hadriana», a una cena «non meglio specificata». Va detto che chi ricopre cariche importanti riceve spesso inviti non richiesti per eventi di ogni genere, ma nel caso dei rapporti tra il lobbista e il magistrato, emerge qualcosa di più personale. In un altro file, contenente l’elenco delle persone a cui inviare le tradizionali strenne natalizie, gli investigatori trovano, «in corrispondenza del nominativo “Luigi De Ficchy”, presente all'interno del foglio “Panettoni 5 kg” […] oltre al suo indirizzo di residenza, il recapito telefonico accostato alla specifica “NON CHIAMARE (maiuscolo, ndr)”». Non è finita: il procuratore, in una «listacena», risulta «accostato alla specifica “magistrato - accompagna Paradiso». Quest’ultimo è, verosimilmente, Filippo Paradiso, ovvero l’ex poliziotto collegato al faccendiere Piero Amara e con lui imputato in alcuni procedimenti. Nel testo di una mail inviata da una collaboratrice del lobbista al procuratore, quest’ultimo, «come da accordi con il dottor Centofanti», veniva invitato alla cena di gala di «giovedì 5 novembre (2015, ndr) presso il Roof dell’Hotel Valadier, ubicato a Roma». Nella lista dei regali del 2016, De Ficchy è di nuovo associato ai panettoni da 5 chili, da consegnare con le stesse modalità. Ma in più gli investigatori annotano che, «all’interno del foglio “SET ASCIUG 2015”» si trovano «le iniziali del suo nome, “L.D.F.”» insieme a quelle «del nome della moglie» della toga. Lo stesso nominativo è presente, anche «sul foglio elettronico denominato “SETENERGIENUOVE”», probabilmente una lista di nominativi a cui inviare una serie di prodotti brandizzati «Energie nuove», la società di Centofanti. Dai dispositivi di quest’ultimo gli uomini del Gico estraggono anche tre file dell’agenda, contenenti data e orario di altrettanti appuntamenti con De Ficchy: 22 settembre 2015, dalle 8.45 alle 9.00; 11 novembre 2015, dalle 8.30 alle 8.45 e uno dell’1 aprile 2016, dalle 21 alle 22, accompagnato dalla descrizione «festa di laurea De Ficchy». Il party per il figlio del magistrato. Nell’iPad di Centofanti, oltre ai recapiti telefonici e le mail del magistrato, gli investigatori trovano anche una chat tra i due, che, però, non contiene nessun messaggio. Per mesi De Ficchy si era occupato di Centofanti come inquirente, senza astenersi. Anche perché nell’inchiesta romana che aveva portato all’arresto del lobbista nel 2018, nessuno aveva evidenziato i rapporti telefonici tra i due. Solo un’annotazione del 29 ottobre 2021, sempre del Gico e sempre depositata a Firenze, elenca 26 contatti, «intercorsi, nel periodo dal 31 dicembre 2014 al 18 dicembre 2015». Sino ad allora erano clamorosamente sfuggiti. I tabulati analizzati dai finanzieri riportano nove sms e 17 telefonate, di cui 13 effettuate dal magistrato (che ha inviato anche tre sms) verso l’utenza del lobbista. Nella chiamata più lunga, avvenuta il 5 dicembre 2015 alle 10.46 ed effettuata da Centofanti, i due parlano per 4 minuti e 51 secondi.Le Fiamme gialle evidenziano in particolare una conversazione risalente al 3 novembre 2015. La telefonata parte dal cellulare del magistrato alle 13.40 e dura poco meno di due minuti. Quello stesso giorno, annotano gli investigatori, la pm della Procura di Perugia Anna Duchini iscrive sul registro degli indagati, per il reato di riciclaggio, Massimiliana Battagliese, magistrato in servizio presso il Tribunale di Roma. Quel reato verrà, poi, sostituito con quello di corruzione per i rapporti della donna con Centofanti, a sua volta iscritto solo dopo l’arrivo a Perugia del nuovo procuratore Raffaele Cantone.Ieri l’ex presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini, che è stata sentita come persona offesa in un procedimento poi archiviato, è rimasta colpita dalla ricostruzione che abbiamo fatto del lavoro del cancelliere Raffaele Guadagno e dei suoi amici giornalisti. Infatti il funzionario avrebbe scaricato illecitamente anche atti riguardanti il procedimento in cui la Marini è tuttora imputata. «Oggi il quotidiano nazionale La Verità dedica un lungo articolo alle vicende di Perugia sui file “acquisiti” e resi noti alla stampa in barba alla tutela delle persone. Ovviamente ben 282 documenti sono stati acquisiti dal mio fascicolo e trasmessi almeno a una decina di giornalisti, molti dei quali umbri… Di alcuni di loro ho avuto sempre chiaro gli anomali rapporti con alcuni Palazzi di giustizia, di altri sono davvero turbata. È giunto il tempo davvero della Verità» e del disvelamento di «come un corto circuito tra uffici del Palazzo di giustizia, giornalisti, esponenti politici di vari partiti abbiano agito in maniera a dir poco equivoca!». E conclude che «ovviamente» non si ha notizia di chi sia stato indagato tra i cronisti. Poi, con persone a lei vicine, ha chiosato il suo post, mostrando di apprezzare l’editoriale di ieri di Maurizio Belpietro: «La libertà di stampa e il diritto di cronaca non sono lo sputtanamento degli indagati e il processo fuori dalle aule di giustizia». L’ex governatrice ha anche ricordato che una delle pm d’assalto della Procura, Gemma Miliani, è sposata con un giornalista che fa la cronaca giudiziaria a Perugia, in una piccola Procura di provincia. «È normale? Non esiste conflitto di interessi? Ha seguito il nostro processo esaltando sempre le posizioni dei pm e nascondendo gli atti delle difese». E a proposito di quanto sta emergendo, ha ricordato di quando ricevette l’avviso di garanzia e un cronista del Corriere della Sera molto addentro ai segreti delle Procure e portavoce ufficiale dei principali magistrati volle incontrarla a quattr’occhi: «Era venerdì. Io non avevo potuto leggere nessun atto del mio fascicolo, tranne l’avviso. Ma il cronista disse di aver visto il fascicolo e di aver incontrato De Ficchy. Io rimasi sbalordita». Il ministro Carlo Nordio prenda appunti. E si ricordi che certe storie rischiano di restare nell’ombra, solo perché non convengono ai grandi giornali.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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