2022-01-19
Il primo anno da incubo di «Sleepy Joe»
Celebrato 12 mesi fa come il rifondatore della democrazia dopo Trump, Joe Biden ha finito per copiare il predecessore su tutti i dossier caldi. Ma con risultati pessimi. Vedi immigrazione, Cina, Afghanistan. Bilancio di un leader debole in balìa del partito balcanizzato.Avrebbe dovuto ripristinare la democrazia americana e rilanciare il ruolo internazionale degli Stati Uniti. Questo preconizzò enfaticamente gran parte della stampa quando, il 20 gennaio scorso, Joe Biden si insediò alla Casa Bianca. Dopo un anno è quindi lecito chiedersi se le cose siano andate realmente così. Non esattamente. L’attuale presidente è infatti precipitato in un pantano politico sempre più profondo. E le ragioni di questa incresciosa situazione sono molteplici. Innanzitutto, la leadership di Biden si è rivelata decisamente irresoluta. E attenzione, non ci riferiamo soltanto agli aspetti più evidenti e chiari di questa inadeguatezza: il pisolino schiacciato durante il summit di Glasgow sul clima, i capitomboli sulla scaletta dell’Air force one, le conferenze stampa spesso preconfezionate, i lapsus imbarazzanti o i discorsi meccanicamente letti con aria assente davanti al gobbo elettronico. No, il problema è molto più grave e chiama in causa due aspetti non trascurabili: l’effettivo stato di salute del presidente e la sua incapacità di fungere realmente da sintesi in seno a un’amministrazione profondamente spaccata. Non ci sono infatti solo le fronde contro la sua vice Kamala Harris, ma anche delle tensioni tra Pentagono e Dipartimento di Stato: tensioni che sono emerse esplicitamente a settembre, quando i due ministeri si sono assai poco decorosamente rimpallati le responsabilità del disastro afghano. Ebbene: l’assenza di una leadership risoluta non fa che aggravare questi dissidi. Ma, del resto, si tratta di un problema essenzialmente irrisolvibile. Barack Obama, che - come riferito da The Hill e Nbc News - fu il grande kingmaker delle ultime primarie democratiche, puntò su Biden non in quanto suo ex vice (Politico rivelò ad agosto 2020 che l’ex presidente non nutre in realtà troppa stima di lui in privato), ma proprio in virtù del suo scarso carisma e della sua debole fibra fisica. Un profilo fiacco come quello di Biden (non per niente ribattezzato da Trump «Sleepy Joe») era, in altre parole, l’ideale per cercare di tenere insieme un Partito democratico già all’epoca attraversato da micidiali divisioni correntizie. Il problema è che, una volta conquistata la Casa Bianca, il collante è venuto meno, con il risultato che l’Asinello si è ritrovato paralizzato dalle lotte intestine tra le aree centriste e quelle di sinistra. Assenza di leadership e partito balcanizzato: sono quindi questi i due peccati originali alla base dell’attuale presidenza. Queste le cause ultime dei conclamati fallimenti fin qui registrati. Pur di accattivarsi le simpatie della sinistra, Biden aveva promesso di invertire la rotta di Donald Trump sull’immigrazione clandestina. Quello che invece si è verificato è una crisi alla frontiera che ha sopraffatto la Casa Bianca, spingendola in alcuni casi addirittura a confermare (e a rafforzare) le misure adottate dal predecessore. Sempre in ossequio alla sinistra, Biden aveva inoltre promesso di avviare una svolta green: un impegno fondamentalmente naufragato. Non solo ad agosto il presidente ha chiesto all’Opec di aumentare la produzione di petrolio per far fronte al caro benzina (attirandosi così le critiche degli ambientalisti), ma il suo mega pacchetto da quasi 2.000 miliardi di dollari con misure sociali e green è colato a picco in Senato il mese scorso a causa delle divisioni tra gli stessi dem. In tutto ciò, il contrasto alla pandemia - che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello di questa presidenza - si è arenato da luglio, mentre la Casa Bianca cerca incessantemente capri espiatori (un giorno è Facebook, un altro i governatori repubblicani, un altro ancora la Corte suprema). La stessa riforma infrastrutturale, che qualcuno considera una vittoria di Biden, in realtà tale non è: quel provvedimento è stato infatti pesantemente ridisegnato dai repubblicani. Stendiamo poi un velo pietoso sulla gestione del ritiro dall’Afghanistan: un’evacuazione che ha avuto effetti internazionali devastanti per Washington. Quella débâcle non solo ha indirettamente rinvigorito Russia e Cina (che sono guarda caso tornate ad alzare il tiro rispettivamente su Kiev e Taipei), ma ha anche rappresentato forse il punto più basso toccato dalle relazioni transatlantiche. Tutto questo, con buona pace dello slogan «America is back». Insomma, parafrasando Ronald Reagan, c’è da chiedersi se gli Stati Uniti stanno meglio oggi o un anno fa. Un anno fa, in America l’inflazione era all’1,4%. Oggi è invece al 7%: un record imbattuto dal 1982. Un anno fa, Trump lasciava in eredità un Medio Oriente molto più stabile di come lo aveva trovato, grazie agli accordi di Abramo e alla pressione sull’Iran. In 12 mesi, Biden ha compromesso la situazione, aprendo a Teheran senza adeguate garanzie e innescando così una nuova fase di instabilità regionale. Un anno fa, Trump aveva lasciato pesanti sanzioni al gasdotto Nord stream 2, nella convinzione che il dialogo con la Russia non potesse avvenire a tutti i costi e senza contropartite oggettive. In 12 mesi, Biden ha invece assunto una posizione arrendevole e contraddittoria nei confronti del Cremlino: una posizione che ha spinto Mosca ad approfittarne, ammassando truppe al confine ucraino e mettendo l’Occidente sotto pressione. Un anno fa, Trump aveva impostato una linea compatta per sfidare la Cina sul piano commerciale e geopolitico. Dopo 12 mesi, Biden sta portando avanti una strategia confusa che, pur non distaccandosi in toto da quella del predecessore, dà talvolta l’idea che la cooperazione ambientale venga anteposta alla questione dei diritti umani (si pensi soltanto alle ambiguità di John Kerry sul tema). Tra l’altro, oggi si parla molto meno di decoupling. Un concetto, questo, che d’altronde non è mai andato troppo a genio a Wall Street e alla Silicon Valley: potentati che, nel 2020, sono stati guarda caso significativi sponsor dell’allora candidato dem. Ad aprile scorso, la Cnn paragonò Biden a Franklin D. Roosevelt. Oggi, dopo 12 mesi di fallimenti, possiamo invece dire che la somiglianza è più con Jimmy Carter.