2019-07-25
Conte si salva da Salvini ma non dai grillini
Non so che cosa si aspettasse la sinistra quando a gran voce aveva richiesto l'audizione del presidente del Consiglio sul Russiagate. Forse nutriva speranze che Giuseppe Conte processasse in diretta il ministro dell'Interno o che per lo meno prendesse in Parlamento le distanze dal leader leghista. Ma l'avvocato del popolo, forse conscio delle tensioni cui è già sottoposta la sua maggioranza, si è ben guardato dall'aggiungerne altre, evitando ogni accusa a Salvini e preferendo una difesa d'ufficio, formale nei fatti ma netta nei contenuti. Il premier ha assicurato che Gianluca Savoini, l'ex redattore della Padania registrato nella hall di un albergo di Mosca mentre discuteva di petrolio e milioni, non ricopre alcun ruolo ufficiale negli uffici di governo. Ma allo stesso tempo ha tenuto a precisare che agli incontri ufficiali il travet leghista era presente su richiesta del Viminale. Un colpo al cerchio e uno alla botte quello di Conte, per dire che se da un lato le parole e le frequentazioni di Savoini impegnano solo lui stesso e non l'esecutivo, dall'altro a portarselo in gita dalle parti del Cremlino è stato Salvini e non certo lui. Tuttavia, per scongiurare che quest'ultima frase potesse apparire un attacco al vicepremier azionista di peso dell'esecutivo, il presidente del Consiglio ha aggiunto che la fiducia nei suoi ministri non è venuta meno, riconfermando nei fatti anche quella al capitano leghista. Al quale però non ha mancato di tirare le orecchie, dicendo che d'ora in poi inviterà tutti a portare negli incontri ufficiali solo persone che abbiano incarichi ufficiali e non amici o parenti. L'intervento del capo del governo è stato accompagnato da una salva di fischi e contestazioni dai banchi dell'opposizione. Fin qui niente di sorprendente, visto che ciò è quanto resta al Pd per dimostrare di essere vivo. L'audizione del resto era stata richiesta non per ascoltare l'informativa, ma per contestarla ed è per tale ragione che al rito si è sottratto Salvini, il quale di riferire a una platea organizzata per insultarlo non aveva alcuna voglia e perciò ha preferito girare al largo, lasciando volentieri al premier il compito di sostituirlo. Credo che anche il presidente del Consiglio avesse messo in conto i fischi e le interruzioni, infatti si era preparato un'arringa asciutta, senza troppi voli pindarici, così da poter esaurire in fretta l'intervento e passare ad altro. E però, ciò che Conte non aveva probabilmente previsto non era la protesta del Pd, ma quella dei 5 stelle, che non hanno fatto gazzarra al pari di quella della sinistra, ma hanno lasciato il segno e marcato una distanza che mai si era vista fra grillini e capo del governo.I seguaci di Di Maio (ma il vicepremier e ministro del Lavoro ha ancora dei seguaci?), quando l'avvocato del popolo ha iniziato la sua arringa a difesa dell'operato del governo, sono usciti ordinatamente dall'aula, abbandonando il presidente del Consiglio agli attacchi e alle interruzioni dei senatori del Pd. Il gruppo parlamentare ha poi fatto filtrare che i pentastellati hanno lasciato l'aula per rimarcare il dissenso sulle decisioni prese da Conte a proposito della Tav, aggiungendo però che al Senato non avrebbe dovuto esserci Conte ma Salvini. Insomma, uno strappo vero e proprio e anche uno sgarbo grave al premier. Formalmente non si è aperta una crisi, perché i 5 stelle non hanno votato contro il capo del governo, ma una crisi di fiducia, di rappresentanza, esiste e non può certo essere sottovalutata. A causa della Tav i grillini sono in sofferenza e dunque riverberano il loro disagio su Conte, il quale appare sempre di più un presidente in balìa delle onde, sbatacchiato dall'alta marea leghista e dalla bassa marea grillina. L'ultimo sondaggio della Swg dice che Salvini può contare quasi sul 38 per cento e Di Maio e compagni sul 18,5 e ciò non può che scatenare una concorrenza all'ultimo voto, con il rischio per Conte di lasciarci le penne. Quanto ciò sia probabile, lo vedremo presto, forse già nelle prossime ore.Una cosa però ci preme segnalare. Non più tardi di qualche giorno fa qualcuno rivelava l'esistenza di una doppia maggioranza parlamentare. Secondo questi fini analisti il premier era il vero vincitore dello scontro politico, perché poteva contare su due forni, ossia su una base pentaleghista, ma anche su una alternativa, composta da grillini, piddini e pezzi di Forza Italia. A guardare ciò che è accaduto ieri si capisce invece che Giuseppe Conte non ha nessuna maggioranza: né quella con Lega e 5 stelle, né un'altra. Presentandosi a Palazzo Madama il premier ha detto che in caso di crisi tornerebbe in Parlamento per sottoporsi al giudizio delle Camere. Quando ha cominciato, la sua sembrava una frase retorica, per sottolineare il ruolo di Montecitorio e Palazzo Madama e lisciare il pelo ai senatori. Ma quando ha finito si è capito che non era così. Forse semplicemente quel passaggio denunciava una paura: quella di avere i giorni contati.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)