Col calo della coltivazione e l'incetta fatta da Pechino, il costo medio del frumento è salito del 35%. Senza provvedimenti si rischiano la crisi del settore (da cinque miliardi), e rincari al consumo fino a un euro al kg.
Col calo della coltivazione e l'incetta fatta da Pechino, il costo medio del frumento è salito del 35%. Senza provvedimenti si rischiano la crisi del settore (da cinque miliardi), e rincari al consumo fino a un euro al kg.Dopo la pandemia, la carestia. Se gli italiani non si mettono a dieta il piatto quotidiano di spaghetti non è garantito e potrebbe costare un occhio. A non occuparsi mai di agricoltura succede che d'improvviso si scopre che il grano duro si vende a peso d'oro, che non ne abbiamo abbastanza - da decenni la cerealicoltura è totalmente dimenticata - e che mettiamo in crisi i pastifici: 5 miliardi di fatturato. La pasta rischia aumenti che potrebbero arrivare a 50 centesimi al chilo per quella industriale, oltre l'euro per l'altissima gamma. L'impatto sull'inflazione sarà pesante. Gli aumenti medi del grano stanno attorno al 35% rispetto allo scorso anno, il grano canadese è rincarato di 123 euro a tonnellata. Le cause? Minore produzione (a livello mondiale si è perso il 2,1%) e aumento esponenziale della domanda. Il ministro per le risorse agricole forestali e alimentari Stefano Patuanelli, troppo occupato con Giuseppe Conte per dedicarsi ai contadini, sulla crisi del grano non ha accusato ricevuta. E peraltro rischiamo anche di mangiarla scondita quel po' di pasta perché anche la filiera del pomodoro è in ginocchio, ma dal Mipaaf per ora nessun cenno. Resta il fatto che dai pastifici ai molini - Italmopa, la Confindustria delle macine presieduta da Silvio Grassi nell'ultimo «durum day», le giornate del grano duro, ha lanciato un serio allarme - tutti hanno alzato il livello di attenzione. Tranne il governo. Come al solito di questi tempi si cita la siccità che ha colpito Usa e Canada (gli Stati Uniti in effetti hanno perso metà della produzione) come causa della crisi del grano duro, nessuno però che si occupi del fatto che la superficie coltivata a grano in Italia si è erosa, che la Cina ha fatto incetta sul mercato mondiale, che la Turchia ci fa concorrenza sulla pasta (ha aumentato in 5 anni la sua produzione del 77%) e compra sempre più semola, che tutto il Magreb devastato dalle crisi politiche è ormai un compratore e non un produttore di cus-cus e che la Russia, con la quale teniamo embarghi non più comprensibili, non ci vende più il grano perché lo dà a Pechino. Questo tiraggio ha prosciugato le scorte mondiali: ridotte sotto i 7 milioni di tonnellate, un livello mai raggiunto negli ultimi vent'anni con un consumo mondiale che è schizzato sopra i 37 milioni di tonnellate. In questo scenario l'Italia potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo fondamentale ma guai a parlarne: evidentemente la battaglia del grano di autarchica memoria spaventa gli antifa. E pensare che il mondo si sfama ancora con i grani di Nazzareno Strampelli, il genio della genetica cerealicola vissuto a cavallo tra 800 e 900 che dalle montagne marchigiane, era di Crispiero, fornì spighe a mezzo pianeta senza peraltro guadagnarci un soldo. Ma oggi preferiamo dire che la colpa è del clima. E anche un po' del virus cinese. Perché lo scorso anno i consumi di pasta hanno fatto boom. Siamo saliti oltre i 23,5 chili pro capite. Ma siamo anche i primi produttori. Su 15 milioni di tonnellate di pasta confezionata nel mondo noi ne facciamo 4 milioni, un piatto su 3 consumato in America è italiano, 2 su tre di quelli che si mangia l'Europa è tricolore per un fatturato di quasi 5,3 miliardi di cui il 56% viene dall'export. A raccontare che dovremmo avere maggiore attenzione alla nostra cerealicoltura è che oggi i consumatori scelgono la pasta 100 per cento italiana, cioè prodotta con i nostri grani. Lo scorso anno vendita e incasso di questo tipo di pasta sono aumentati del 18% (il fatturato degli spaghetti nella Gdo è di circa 760 milioni). Il prezzo medio è stato 1,39 euro al chilo, ma quest'inverno si arriverà vicino ai 2 euro. Una soluzione come da tempo sta dicendo Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola d'Italia che detiene la produzione del grano duro Cappelli, creato da Strampelli, e fa pasta con le Stagioni d'Italia 100 per cento tricolore: «Va aumentata la produzione nazionale, vanno rilanciati i grani italiani». Quest'anno abbiamo prodotto secondo le ultime stime 3,9 milioni di tonnellate di grano duro e ce ne servono altri 1,6 milioni che compreremo a caro prezzo. Il future sul grano canadese a tre mesi sta a 873 punti, record assoluto con aumenti di 48 punti a settimana. Dice Dino Martelli, pastificio di altissima qualità a Lari in Toscana: «Noi facciamo in un anno quello che l'industria fa in un giorno, lavoriamo solo grano toscano ed è sempre più difficile trovarlo». Un altro grandissimo della pasta, Massimo Mancini, marchigiano di Monte San Pietrangeli, ha scelto una via del tutto autonoma: «Facciamo pasta solo col nostro grano; siamo un pastificio agricolo, è il solo modo per controllare qualità e approvvigionamento». Diversamente si è esposti alle tempeste del mercato che già annunciano truffe. A Bari sono state sequestrate tre navi con grano contaminato, ma dalla Sicilia sono partite verso la Tunisia, che ha fame di semola, 500.000 tonnellate di grano italiano. È il caso che qualcuno se ne occupi, altrimenti dopo la «peste», ci mancherà la pasta.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.