2019-02-15
Il piccolo clown che usa la matita dell’odio
Comunista a dispetto della storia e fan dei peggiori dittatori, Vauro Senesi oggi disegna agli ordini di Marco Travaglio. Mette Matteo Salvini nei panni del porco ma sui grillini non può fiatare. Le persone che ha insultato non si contano più. E si è attirato anche alcune accuse di antisemitismo.Ha litigato più o meno con tutti, Vauro Senesi, in arte Vauro, il vignettista che sproloquia di tette e c..li come un altro dice buongiorno e buonasera. Si proclama comunista, né pentito, né resipiscente, ma fiero e orgoglioso. Osanna il despota venezuelano, Nicolás Maduro, la Cuba castrista, la Corea del Nord. Più si cerca di farlo ragionare e più Vauro si sbraccia in difesa dei suoi mostriciattoli bocciati dalla storia. Cinque anni fa, con altri 100 mattoidi firmò un appello per recuperare falce e martello e ridargli l'onore del mondo. Insomma, un caposcarico.È facilissimo vederlo in tv perché ci passa ore urlando su un canale o l'altro. Le sue vignette compaiono invece sul Fatto quotidiano da una dozzina d'anni. Ne azzecca una su mille. L'ultima che mi è piaciuta è di un biennio fa. Matteo Renzi era ormai nel pallone e il Pd gli faceva il vuoto attorno. Vauro riassunse il dramma disegnando il Fiorentino che spalanca la porta di casa e annuncia mogio alla moglie: «Agnese mi hanno abbandonato tutti… Agnese, Agnesee! Agneseee?!». Ora, col governo gialloblù, il direttore, Marco Travaglio, gli dà disco verde sui leghisti e frena sui pentastellati. Vauro, che ha un fondo anarchico, si scaglia con voluttà sul ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Lo aveva adocchiato da anni, dandogli a più riprese del «razzista, fascista, istigatore di odio». Vauro, infatti, gli preferisce di gran lunga Kim Jong Un. Ora, che Salvini è al Viminale non gli perdona sgomberi e respingimenti in mare. Vauro è un appassionato immigrazionista. Da anni, è sodale del medico terzomondista Gino Strada e cura la comunicazione della sua Onlus, Emergency. Nelle vignette recenti, Salvini è raffigurato come un maiale. Non lo nomina ma se vedi un maiale, è lui. Il giornale lascia fare. Quando invece ha azzardato una caricatura del grillino Danilo Toninelli, il sor Tentenna che guida il ministero delle Infrastrutture, Travaglio gliel'ha cassata. Vauro ha inghiottito la censura, limitandosi a denunciarla. Non ha però tirato la corda come è nel suo temperamento. Travaglio è infatti la sua ciambella di salvataggio, appartenendo alla sua stessa camarilla. Quindici anni fa, nacque un sodalizio oggi in dissoluzione tra Michele Santoro, Travaglio e Vauro. Michele era il pivot per il suo enorme potere tv. Prese Vauro come ospite fisso ad Annozero (2006) poi a Servizio pubblico (2011) sulla Rai. Infine, su La7 con Announo (2014). Mille euro di compenso a puntata, quattro volte al mese. Un gruzzoletto. Nelle stesse trasmissioni, il dott. Travaglio pronunciava pistolotti sferzanti ispirati all'Antonio di William Shakespeare. Vauro si serviva del clan per promuovere anche i propri libri. Ne ha scritti una quarantina, quasi tutti pubblicati da editori del circo travagliesco-santoriano. La maggiore parte stampati da Francesco Aliberti e Chiarelettere, due finanziatori del Fatto. Gli altri ce li ha sulla coscienza il Cav, che li ha editi tramite la sua Mondadori. Con l'annebbiamento di Santoro, questo mondo è scomparso. Vauro è ormai uno zingaro. Va dove può in tv e offre le sue vignette qua e là, al Fatto, Left, fogli vari. Tanto più solo che lo ha pure lasciato, per miglior vita, don Andrea Gallo, il prete di strada genovese. Avevano scritto alcuni libri a quattro mani ed erano spiriti affini. Entrambi comunisti, vicini ai picchiatori, teneri coi vizi proletari, sprezzanti delle virtù borghesi. Celebre il richiamo di don Gallo, mezzo toscano tra i denti e Borsalino sul capo, alle sue truppe di no global fronteggiate dalla polizia: «Non lasciatevi provocare da questi figli di puttana: se non ci aiutiamo tra noi, qui non ci aiuta una c..zo di nessuno». Inutile fare l'elenco delle persone offese da Vauro, che hanno abbandonato trasmissioni tv per causa sua o lo hanno querelato. Ma poiché di quegli scontri è intessuta la sua vita, se ne taccio resta poco. Mi limito all'essenziale. Nel 2004, firmò un appello alla Francia per la liberazione del terrorista rosso, Cesare Battisti. Poi fece retromarcia, dicendo: «Non l'ho firmato. Un amico appose la firma e io non la ritirai per rispetto dell'amico». Perdendo così quello per sé stesso. Sbeffeggiò la giornalista italoisraeliana Fiamma Nirenstein, disegnandola col naso adunco, il distintivo del fascio e la stella di Davide. Voleva così punirla per il suo passaggio a Silvio Berlusconi, dopo una lunga storia nella sinistra. Fu tacciato di antisemitismo e scoppiò una polemica. Renato Brunetta lo querelò per essere stato ritratto dentro un barattolo (allusione alle piccole dimensioni dell'ex ministro del Cav) e con le sembianze di Dudù, il cane da grembo di Arcore. In una lite tv, l'ex missino Francesco Storace, gli disse: «A me hanno sparato. Per fortuna i tuoi compagni non m'hanno ammazzato». Vauro replicò, spiritoso: «La prossima volta gli dirò di sparare meglio». A tutto questo, reagì Rita Pavone, twittando: «Vauro è un mostro di cattiveria, ma anche fisicamente. Quelli come lui basta si guardino allo specchio per sentirsi incazzati per quel che vedono».Il mostro tuttavia ha un cuore o almeno lo aveva in quel luglio 1998. Trinariciuto com'è, detestava Bettino Craxi. Un anno e mezzo prima che morisse (2000), andò però ad Hammamet a intervistarlo per Boxer, giornale satirico che aveva da poco fondato. Davanti a Craxi malato ed esule, si sciolse. «Mi sono commosso e ho pianto», raccontò. Era una notizia: l'uomo che morde il cane. Munito di taccuino, andai da lui per chiedergli cosa gli molse il cuore. Vidi un simil legionario che parlava pistoiese, in camicia cachi e pantaloni pluritasche per armi, bombe eccetera. «Segga!», ingiunse. «Diamoci del tu», proposi. «Allora acculati!», disse per accettazione. «Fa caldo», feci banalmente. «Lo dici per rompere il ghiaccio?», mi rimbeccò sarcastico. «Perché uno come te è andato da Craxi?», chiesi. «Ho una specie di amore per i perdenti», rispose. «Hai addirittura pianto». «Lui era seduto su un muretto e dietro c'era il tramonto. Il tramonto sul Mediterraneo, più il tramonto di Craxi… Si fa presto a commuoversi…», rispose.Da piccolo, a Pistoia, Vauro era un asino a scuola. Distratto e ribelle tanto che i prof lo sistemarono in corridoio in un banco tutto per sé. Fu libero così di disegnare invece di studiare. Suo primo idolo fu il grande Jacovitti che Vauro, dall'alto del suo magistero marxista, ha definito: «L'ultimo di destra intelligente e creativo». Nel 1969, a 14 anni, si iscrisse a Lotta continua. Poco più grande, partì per Milano cercando di entrare nel mondo della satira. Incontrò Pino Zac che divenne il suo maestro. Nel 1978 fondarono insieme la rivista Il Male, e insieme l'affossarono in quattro anni. Poi, Vauro entrò al Manifesto, disegnò per il Corsera e, insomma, divenne quello che è. Da Lotta continua, passò al Pci. Frequentò le Frattocchie, la scuola di partito, e s'innamorò di Mirella, militante pura e dura. La sposò e nacque Fiaba, oggi sulla quarantina. Anni dopo, si risposò con la cilena Vianela in cui si imbatté sempre in ambiente rigorosamente comunista: Italia Radio, trasmittente proletaria della capitale. Ebbe un secondo figlio, a cui andò peggio che alla sorellastra. Lo chiamò, infatti, Rosso. Si ignora se glielo abbia perdonato.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)