2022-02-27
Il Pd vuole le «bombe democratiche» ma sulla Russia esplode la sinistra
I partigiani dell’Anpi condannano l’allargamento a Est della Nato. Matteo Renzi: una vergogna. Enrico Letta evoca il soccorso armato a Kiev. Romano Prodi e Massimo D’Alema aprono alle ragioni di Mosca strizzando l’occhio al Dragone. Non c’è dubbio - e i più si divertono a farlo notare - che le zaffate sulfuree provenienti dall’Ucraina abbiano prodotto nell’area di centrodestra qualche accenno di acidità di stomaco, presto curata con robuste dosi di filoatlantismo. A contare davvero, tuttavia, non sono le punzecchiature politiche di basso livello ma le mosse che l’Italia compirà nelle prossime ore, ed è per questo che vale la pena di scavare un poco anche a sinistra, cioè nello schieramento che tanto influisce (spesso in modo deleterio) sugli orientamenti del governo. Apparentemente - attirati dai comici come dalle calamite - i progressisti sono schierati a coorte attorno all’ucraino Zelensky, ma basta incrinare appena il guscio per far emergere con prepotenza le tensioni addominali che in questo momento li affliggono. Potremmo dire che esistano correnti e visioni diverse, ciascuna delle quali espressione di un gruppo di interesse diverso. I legionari francesi devono per forza seguire la codina di Macron; i filocinesi non possono esporsi troppo ma qualcosa a Mosca devono pur concederlo; ai peduncoli dei democratici Usa tocca sventolare la bandiera della libertà e della democrazia da esportare; a quelli che un tempo tifano per il Cremlino rimane un fondo di Ostalgie. E gli psicodrammi esplodono come bombe a grappolo.Prendiamo, per dire, il putiferio scoppiato attorno all’Anpi. I partigiani in assenza di fascismo, per una volta in vita loro, l’hanno detta quasi giusta. Hanno diffuso un comunicato in cui, certo, condannavano l’invasione russa ai danni dell’Ucraina, ma la presentavano pure come «l’ultimo, drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della Nato ad Est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia». Tra gli ex comunisti si è diffuso il panico, anche se l’unico ad esprimersi con chiarezza è stato Matteo Renzi: «Le parole di ieri sera dell’Anpi sul conflitto ucraino sono vergognose», ha detto. Viene da pensare che il Pd condivida il pensiero del leader di Italia viva, ma un attacco diretto ai partigiani non ha il fegato di farlo. Intanto, ieri a Roma si è presentato in piazza un fronte pacifista in leggera crisi d’identità. A manifestare contro la guerra c’erano Arci, Emergency, Rifondazione comunista, Sinistra italiana, Cgil, Cisl e Uil. Accompagnate, ovviamente, dall’Anpi sospettata di intelligenza col nemico Putin. Un bel guazzabuglio, non c’è che dire. A manifestare in piazza per la pace, a Bologna, si è presentato addirittura Romano Prodi. Uno che in queste ore non si è schierato esattamente al fianco della Nato. «Sia le sanzioni in generale che quelle eventuali sul settore dell’energia colpirebbero particolarmente il nostro Paese», ha detto in un’intervista. «Certo per noi la perdita non sarebbe solo temporanea, per la durata delle sanzioni, perché i nostri clienti russi ci sostituirebbero con prodotti cinesi che poi sarebbe molto difficile scalzare». Non è difficile immaginare come i buoni rapporti del professore con Pechino possano aver contribuito a frenarlo sulla demonizzazione di Putin. Ed è altrettanto facile supporre che lo stesso fenomeno si sia verificato nella mente di Massimo D’Alema, che ieri alla Stampa si è mostrato particolarmente ragionevole. Baffino ha descritto l’attacco russo come «un crimine e anche un errore». Ma non ha trascurato di ricordare che «se si vuole costruire una soluzione stabile e sostenibile, non si può non tener conto, malgrado Putin, che ci sono anche le ragioni della Russia». Da un lato dunque ci sono i pacifisti desiderosi di ritrovare le emozioni dei bei tempi afghani. Un po’ più in là c’è qualcuno a cui la Russia tutto sommato non sembra così cattiva. Appena accanto ecco i vecchi volponi con simpatie cinesi che si mostrano prudenti. Intrigante. Infine, c’è lui: il segretario del Pd. Enrico Letta è rimasto ancora una volta vittima della sindrome dell’incendiario. Gli piace, nelle interviste, spararla grossa e annunciare battaglie di civiltà destinate in partenza a finir male (vedi ius soli e ddl Zan). Nello specifico della questione ucraina, il geniale stratega imparentato con i francesi non ha perso tempo e si è infilato la mimetica. Ha tirato in ballo l’11 settembre e si è spinto fino a invocare l’uso delle armi: «Dovremmo aiutare l’Ucraina a difendersi, fornendo materiale e attrezzature militari che li aiutino concretamente a respingere gli invasori». La sua posizione ricorda molto quella di Bernard-Henry Lévy, uno che quando sente fischiare le «bombe democratiche» fatica a tenersi addosso le mutande. I progressisti alla francese di questo genere fanno molto furore nei salotti, ma tendono a dimenticare che poi i conflitti li combattono i poveri cristi che crepano sul campo, e li pagano altri poveri cristi investiti dalle conseguenze geopolitiche. L’esempio della Libia (BHL fu tra i primi a suonare la carica) dovremmo averlo tutti ben fissato nella memoria, ma questi partigiani col culo degli altri sembrano averlo dimenticato.Dunque Letta ha dettato la linea: bisogna difendere la democrazia, armiamo gli ucraini e mandiamoli a morire mentre noi ci battiamo vigorose pacche sulle spalle. Si tratta, va detto, di un atteggiamento molto diffuso, specie fra gli editorialisti con baionetta tipo il duo Riotta&Severgnini. «C’è da fermare il dittatore!», tuonano, ma se a sparare ci vanno gli altri son più contenti.Vedremo che bei frutti partorirà questo bellicoso circo equestre. Per ora, Letta un risultato l’ha ottenuto: è riuscito a far sembrare Prodi e D’Alema degli statisti di genio. Non era facile.