2020-01-18
Il Pd vuole cancellare Salvini solo dopo il 26
Lunedì 20 la giunta per le immunità prenderà una decisione sul fascicolo nei confronti del leader leghista per il caso Gregoretti. Il voto di Maria Elisabetta Alberti Casellati, determinante per fissare la data, fa imbestialire la sinistra, che teme un effetto boomerang sulle regionali.Prima un rompicapo procedurale, poi una cacofonica guerra di parole, e infine una specie di assalto scomposto – da sinistra – contro la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Solo perché nel frattempo è fallito il blitz giallorosso per rinviare il voto sul processo a Matteo Salvini per il caso Gregoretti.Non ci si faccia distrarre dalle cortine fumogene. La verità è piuttosto semplice e chiara: i giallorossi da un lato vogliono impallinare Salvini, e hanno un buon grado di certezza di riuscire a farlo nel voto finale che si terrà nell'Aula di Palazzo Madama (realisticamente, intorno a metà febbraio); ma dall'altro, non avrebbero voluto che il voto preliminare, che invece si terrà nella giunta per le immunità, avvenisse prima del 26 gennaio, cioè delle elezioni in Emilia Romagna. Insomma, fucilare Salvini, sì: ma possibilmente, solo dopo il voto regionale, per non irritare gli elettori indecisi. Così, tutta la giornata di ieri è stata scandita da uno psicodramma regolamentare, concluso (per il momento) in senso sfavorevole alla sinistra. Contrariamente ai desideri di Pd-M5s-Iv, la giunta per le immunità dovrà infatti riunirsi e votare lunedì 20, alle 16.30. Attenzione, però, e qui la faccenda si complica: a decidere in questo senso è stata un'altra giunta del Senato, quella per il regolamento, con il voto decisivo proprio della presidente Casellati. Procediamo con ordine. Ieri mattina, la Casellati, per prima cosa, aveva integrato i componenti della giunta per il regolamento, inserendo le senatrici De Petris e Unterberger, e creando una situazione di teorico equilibrio numerico (sei membri di maggioranza e sei di opposizione, più la presidente Casellati). Poi c'è stato un primo voto unanime: quello per considerare «perentorio» il termine di 30 giorni per far pronunciare l'altra giunta, quella per le immunità (presieduta da Maurizio Gasparri), chiamata alla votazione preliminare sul caso Salvini, e quindi a formulare la proposta (autorizzazione a procedere concessa o negata) che in un secondo momento andrà in Aula. Occhio, però. Perché già in questa fase è maturata una differenza di opinioni, solo apparentemente marginale: i giallorossi sostenevano che questi 30 giorni scadessero ieri. Ma a questo punto, con due elementi oggettivi a favore della propria tesi, le opposizioni hanno chiesto di arrivare comunque a lunedì: «Visto che due senatori, Grasso e Giarrusso, sono all'estero, chiediamo di arrivare a posticipare fino a lunedì», ha detto tra l'altro l'esponente di Fdi Francesco Zaffini. A giocare a favore del breve differimento non c'era solo l'assenza forzata di due senatori (in missione negli Usa e di rientro proprio lunedì), ma pure il fatto che la convocazione di una Giunta richiede un termine di preavviso di almeno 24 ore, e quindi, secondo le opposizioni, sarebbe stato scorretto convocare ieri. Ma - inutile girarci intorno - c'era anche un elemento di aritmetica politica: mancando due senatori giallorossi, un eventuale voto ieri avrebbe momentaneamente (e inutilmente, in attesa del voto decisivo dell'Aula) salvato Salvini. Una specie di beffa per il leghista, che sarebbe stato apparentemente salvo prima del voto in Emilia, salvo essere massacrato subito dopo. Per questo il centrodestra ha insistito per lunedì, quando non ci saranno assenze forzate e si registrerà il plenum. Lo stallo è stato sbloccato dalla Casellati, che ha fatto propria questa tesi con il suo voto decisivo, fissando la data di lunedì. Apriti cielo! Il capogruppo del Pd Andrea Marcucci ha urlato contro un «fatto gravissimo», parlando di una presidente che «ha gettato la maschera». «Non è più super partes», è stato il grido contro la Casellati del renziano rimasto nel Pd, seguito a ruota dal suo segretario Nicola Zingaretti. Minacce politiche assortite e reazioni inviperite contro la Casellati pure da altri esponenti della sinistra, da Loredana De Petris al capogruppo grillino Perilli («voto della Casellati decisivo: avrà delle conseguenze»).L'interessata, cioè la presidente del Senato, ha replicato così: «Si respinge con forza ogni ricostruzione che possa mettere in discussione la terzietà della mia azione ovvero connotarla politicamente». La Casellati ha sottolineato di non aver votato né «per la maggioranza, né per l'opposizione», ma di essersi «espressa a favore di una proposta avanzata da un singolo componente della giunta, al fine di garantire la mera funzionalità degli organi del Senato».Ma perché tutta questa canea? Elementare, Watson. Perché la sinistra lunedì sarà al completo e non avrà scuse: in teoria, dovrebbe assumersi davanti al Paese la responsabilità di un primo esplicito voto per processare Salvini. Esattamente quello che voleva evitare nell'ultima settimana di campagna elettorale. E allora ecco un ipotetico colpo di scena, un'ultima capriola giallorossa, che la maggioranza potrebbe decidere nel corso del weekend: disertare i lavori della giunta presieduta da Gasparri, lunedì pomeriggio. Obiettivo dell'eventuale sceneggiata? Costringere la minoranza a rimanere da sola, e quindi a votare per Salvini, o comunque rinviare tutto, togliendo così al leghista - pensano gli «strateghi» del Nazareno - l'argomento del martirio, almeno per qualche giorno. Come se gli elettori fossero ciechi e sordi, e non sapessero che i giallorossi si riservano comunque di fucilare Salvini in Aula, a urne emiliano-romagnole chiuse. La realtà è che la maggioranza si è infilata da sola in un vicolo cieco: fino a pochi giorni fa, credeva che accelerare su questa procedura contro Salvini le convenisse, e invece non si è resa conto dell'effetto boomerang. Ora l'ha capito, ma è troppo tardi.
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