2019-06-05
Il Pd si schiera compatto per l’utero in affitto e i figli alle coppie omosex
La maggioranza progressista in consiglio comunale a Milano affossa la mozione contro la maternità surrogata. Anche se la legge la vieta e la Cassazione la condanna.Il Pd e il centrosinistra vogliono l'utero in affitto. A tutti i costi: nonostante la pratica sia espressamente vietata dalla legge italiana, nonostante secondo la Corte costituzionale essa «mini le relazioni umane» (sentenza 272/2017) e benché, con la recente sentenza numero 12193 dell'8 maggio scorso, pure la Corte di cassazione, peraltro a sezioni unite, abbia sottolineato la propria contrarietà. L'inquietante messaggio politico arriva da Milano, dove nel pomeriggio di lunedì il Consiglio comunale ha bocciato un documento che, alla luce di quanto poc'anzi ricordato, avrebbe dovuto essere inattaccabile. Stiamo parlando della mozione dei consiglieri Matteo Forte di Milano Popolare e Luigi Amicone di Forza Italia avente ad oggetto la trascrizione al registro dell'anagrafe del comune di Milano di atti di nascita di bambine e bambini, e finalizzata in buona sostanza a condannare e osteggiare la pratica dell'utero in affitto. In che modo? Da un lato impegnando la giunta «a trascrivere gli atti di nascita, formati all'estero, attestanti la nascita di neonati a seguito di surrogazione di maternità, indicando esclusivamente il padre biologico e rinviando a eventuali altre procedure legali di adozione il riconoscimento di un secondo padre adottivo» e, dall'altro, chiedendo a Beppe Sala di «assumere tutte le iniziative opportune per indirizzare l'azione politica ed amministrativa del Comune di Milano in favore della tutela della dignità della donna, affinché sia condannata e contrastata la maternità surrogata quale pratica che offende la dignità della donna».Due impegni chiari, semplici e soprattutto in linea con i più recenti e autorevoli pronunciamenti della magistratura italiana oltre che, ça va sans dire, con la vituperata legge 40 del 2004, il cui articolo 12, al comma 5, tutt'ora stabilisce che «chiunque, in qualsiasi forma» realizzi, promuova o semplicemente pubblicizzi «la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità» sia «punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». C'erano insomma tutte le premesse affinché il documento di Forte e Amicone avesse la strada spianata. E invece, come si è detto, nulla: chiusura totale, con l'eccezione di due soli voti favorevoli, quelli dei consiglieri Enrico Marcora ed Elisabetta Strada, entrambi della Lista Sala.Una bocciatura doppiamente sorprendente se si considera che esisteva la possibilità, per i consiglieri, di votare in modo separato i vari passaggi del testo della mozione. L'apice del surreale, però, si è toccato con l'intervento di Roberta Cocco, assessore dalla Trasformazione digitale e servizi civici del Comune di Milano, la quale da una parte ha riconosciuto come la Corte di cassazione, con la già ricordata sentenza di maggio, abbia opposto il proprio diniego all'utero in affitto e alle trascrizioni anagrafiche di figli nati all'estero tramite tale pratica, ma dall'altra ha fatto capire che tale pronunciamento, tutto sommato, lascia il tempo che trova.«Questa pronuncia della Corte di Cassazione emessa a sezioni unite», ha spiegato la Cocco, «rappresenta un canone interpretativo molto forte, ma non vincolante per il giudice». «Ciò significa», ha continuato l'assessore, «che i singoli casi che potranno essere presentati al tribunale di Milano potranno avere esiti diversi, dipendenti dal singolo magistrato. In caso di sentenza favorevole al riconoscimento di filiazione ottenuta tramite gestazione per altri, il Comune sarà costretto, per quel singolo caso, a trascrivere anche il secondo genitore, come già successo in passato».In parole povere, per i politici progressisti non importa quanto affermano la legge dello Stato, la Corte costituzionale e neppure la Cassazione, no: conta solo quel che stabilisce il «singolo magistrato»; di conseguenza, se un «singolo magistrato» si pronunciasse in favore delle trascrizioni genitoriali conseguenti all'utero in affitto effettuato all'estero, che trascrizione sia. Una presa di posizione rispetto alla quale Matteo Forte non ha potuto che manifestare la propria incredulità. «I Comuni», ha infatti osservato il consigliere di Milano Popolare, «esercitano funzioni civili per conto dello Stato e del legislatore, ma non dispongono essi stessi di funzioni civili e certamente non è ammesso loro di piegarsi al diritto creativo».«Siamo pertanto di fronte a una scelta politica», ha continuato Forte, «che come tale è sempre legittima laddove essa si gioca, appunto, sul piano politico, mentre non lo è affatto laddove essa vuole forzare le norme esistenti». Un richiamo al buon senso e allo stato di diritto che purtroppo non ha sortito gli effetti sperati, con la bocciatura di una mozione estremamente che risulta indicativa di uno strabismo che in casa progressista è ormai consolidato.Alludiamo ad un atteggiamento di grande ossequio nei confronti della magistratura che però, attenzione, vale solo nei casi di pronunciamenti favorevoli al pensiero dominante. Quando invece arrivano sentenze contrarie alla legalizzazione della cannabis, come avvenuto in questi giorni, o alle trascrizioni di figli ottenuti con l'utero in affitto, ecco che fioccano i distinguo, i commenti cauti e i malcelati auspici che un «singolo magistrato», prima o poi, possa rimettere le cose al loro posto. D'altronde, come ricordato dall'assessore Cocco, è già accaduto. E l'auspicio, naturalmente, è che accada ancora. E tanti saluti alla legalità, alla separazione dei poteri e al diritto di un figlio ad avere un padre e una madre.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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