2020-07-12
Il Pd e Di Maio benedicono la furbata di Giuseppi per allontanare le elezioni
Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio (Ansa)
Nicola Zingaretti e Giggino danno il loro placet alla proroga dello stato di emergenza. Malgrado le frizioni interne, tutti si compattano se c'è da salvare la poltrona.Clamorosa scissione del gruppo pentastellato nelle Marche: i «ribelli» volevano l'alleanza anti Lega.Lo speciale contiene due articoli.Lo stato di emergenza verrà prorogato fino alla fine del 2020, anche se sarà necessario l'ok del Parlamento. Il voto potrebbe esserci martedì prossimo, come ha spiegato al Tg5 la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha espresso l'auspicio che questo passaggio sia «l'inizio di una democrazia compiuta perché in Parlamento e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione». Martedì sono previste alla Camera e al Senato le comunicazioni del ministro della Salute Roberto Speranza sull'emergenza Covid, ed essendo previsto un voto su eventuali risoluzioni è probabile che i partiti colgano l'occasione sollecitare il governo ad esprimersi formalmente sul prolungamento dello stato di emergenza. L'annuncio di Giuseppe Conte aveva indispettito i parlamentari del M5s, anche stavolta tenuti all'oscuro di tutto, e il Pd, ma alla fine il Nazareno ha deciso di ingoiare l'ennesimo boccone amaro pur di non mettere a rischio governo e legislatura: «Il Pd», scrive su Twitter il segretario dei dem, Nicola Zingaretti, «è pronto a sostenere qualsiasi scelta del governo utile a contenere la pandemia. Chi nel mondo non lo ha fatto sta pagando un prezzo drammatico». Molto più drammatico, per la sbrindellata coalizione giallorossa, e per il Pd in particolare, sarebbe dire una volta per tutte a Conte quello che la maggioranza pensa di lui, ovvero che è inadeguato al ruolo che ricopre. Non si può, in nome della ragion di stato ma soprattutto dell'emergenza, quella di un partito che se si tornasse al voto si ritroverebbe all'opposizione. Identico discorso vale per il M5s: anche tra i pentastellati Conte viene considerato ormai scaduto, eppure nulla si può muovere se prima non si trova una soluzione alternativa: le elezioni anticipate sono il terrore anche e soprattutto dei grillini, che si ritroverebbero con la pattuglia di parlamentari ridotta a un terzo di quella attuale. Così anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è costretto a dare il via libera allo stato d'emergenza attraverso un post su Facebook talmente sibillino da apparire platealmente forzato, scritto controvoglia: «In questa crisi», argomenta Di Maio, «c'è un dato insindacabile: la risposta positiva degli italiani. I cittadini hanno dato il meglio, hanno rispettato le regole, le misure anti Covid. Adesso stiamo convivendo col virus, ma non dobbiamo abbassare la guardia».Già, Di Maio: l'incontro dello scorso 24 giugno con l'ex presidente della Bce, Mario Draghi, ha dimostrato che nel M5s comanda ancora lui. La Verità è in grado di rivelare dove si è svolto il summit tra i due: a Roma, in un ristorante, a cena. Due ore di colloquio, faccia a faccia, per conoscersi e «annusarsi»: nessuno dei due lo confermerà mai, ma si è discusso della possibilità che in autunno, con l'esplodere delle tensioni sociali ed economiche, a Draghi possa essere chiesto di prendere la guida di un governo che a quel punto potrebbe contare sul sostegno di tutte le forze politiche, eccezion fatta per Fratelli d'Italia e (forse) la Lega. Conte per evitare il cambio di premiership confida nella proroga dello stato di emergenza, ma trattasi di pia illusione, visto che il Pd e il M5s, per non parlare di Italia viva, non si lascerebbero certamente frenare da un atto prettamente burocratico se l'«operazione Supermario» dovesse concretizzarsi con la benedizione del Quirinale: manca solo il sì di Draghi, che ha voluto capire se il M5s sarebbe compatto a suo sostegno.Intanto, Italia viva approfitta anche dello stato di emergenza per far ballare Giuseppi: «Il premier», dice il capogruppo renziano al Senato, Davide Faraone, a Il Dubbio, «ritiene che siamo ancora in situazione d'emergenza? Allora la sfida è comportarci di conseguenza: subito sì al Mes e anno fiscale bianco. La proroga dello stato di emergenza fino a fine anno rappresenta un problema enorme per la nostra economia, che stava piano tornando a una semi normalità: se andiamo avanti con la modalità emergenziale», aggiunge Faraone, «significa che i lavoratori continueranno a stare in smart working, che molte aziende resteranno chiuse o vedranno ulteriormente ridurre i fatturati, che non ci saranno nuovi posti di lavoro e ripresa dei consumi, se non per alcuni settori specifici. Le decisioni del presidente Conte lasciano interdetti per vari motivi», argomenta Faraone, «il primo è che non si dà un annuncio simile mentre si alzano le paratoie del Mose: come troppo spesso è accaduto negli scorsi mesi, il premier confonde le conferenze stampa con le aule parlamentari. Avrebbe dovuto per prima cosa confrontarsi con le forze politiche nei luoghi delle istituzioni su una scelta così delicata. Allungare di altri 5 mesi lo stato di emergenza significa che anche psicologicamente le persone non usciranno dalla fase di lockdown. Chiederemo subito a Conte due cose: un anno fiscale bianco», ribadisce il renziano, «e nessuna incertezza sul Mes».Dall'opposizione, attacca il vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli: «Con l'emergenza Covid», sottolinea Calderoli, «il governo si è indebitamente appropriato di pieni poteri straordinari attribuibili, come previsto dall'articolo 78 della Costituzione, solo nello stato di guerra, stato che deve essere deliberato dalle Camere, quindi il governo si è mosso fuori dal solco della carta costituzionale. Volendo prolungare lo stato di emergenza si vuole continuare su questa cattiva strada perché solo così Conte e la sua maggioranza sperano, o meglio si augurano», incalza Calderoli, «di tenere in vita un governo in coma depassè».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-e-di-maio-benedicono-la-furbata-di-giuseppi-per-allontanare-le-elezioni-2646392286.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="regionali-da-soli-no-con-i-dem-e-il-m5s-marchigiano-va-in-mille-pezzi" data-post-id="2646392286" data-published-at="1594511636" data-use-pagination="False"> «Regionali da soli». «No, con i dem» E il M5s marchigiano va in mille pezzi Almeno nelle Marche siamo alla dissoluzione dei 5 stelle. Il gruppo consiliare alla Regione non esiste più dopo una clamorosa scissione determinata dai contrasti interni in vista delle prossime regionali. Forse i pentastellati non hanno considerato che ai tempi della prima Repubblica imperante Arnaldo Forlani si diceva che le Marche anticipano le tendenze nazionali. Fu indubitabilmente così ai tempi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) è stato così nella seconda Repubblica con il coalizzarsi «nel rispetto delle diversità» dei nipotini di Togliatti con i più fervidi frequentatori di sacrestie. E oggi? Oggi siamo all'implosione del Movimento 5 stelle che in riva all'Adriatico ha avuto clamorosi successi e altrettanto rovinose cadute. Basti dire che alle regionali del 2015 Gianni Maggi, allora candidato presidente e oggi commissario liquidatore dei 5 stelle, prese il 21,7% dei voti saliti alla vertiginosa percentuale del 35,5% nelle politiche di due anni fa con un risultato da fare invidia alla Dc dei tempi belli e poi precipitati al 18,43 alle europee di un anno fa. Ma stando ai sondaggi oggi nelle Marche i grillini rischiano di essere il Movimento del 5 per cento, non delle 5 stelle. Cosa è accaduto? Si è determinata una scissione in vista delle prossime elezioni. I parlamentari marchigiani hanno imposto la scelta pentastellata di correre da soli alle regionali. Una scelta per la verità maturata fin dal marzo scorso quando sulla piattaforma Rousseau sono stati scelti i candidati con l'indicazione di Gian Marco Mercorelli come candidato governatore grillino delle Marche. Quando Nicola Zingaretti ha fatto le solite avances per trasferire l'alleanza Pd-5 stelle da palazzo Chigi alle urne regionali proprio dalle Marche è arrivato il primo no con una dichiarazione dello stesso Mercorelli che non lascia adito a dubbi: »Quelle del Pd sono stupidaggini». Anche perché il Pd nelle Marche ha fatto una mossa a sorpresa: ha cambiato la legge elettorale consentendo l'ingresso in Consiglio regionale solo ai due candidati governatori con più voti. Una legge elettorale che comunque entrerà in vigore nel 2025 pensata proprio per tagliare fuori i pentastellati o costringerli ad allearsi. E questo ha scaldato gli animi. Ma ecco che a sorpresa si è arrivati alla frattura in seno al Movimento. A determinarla è il fatto che il centrodestra - i sondaggi lo danno in vantaggio i 8 punti - alla fine ha schierato Francesco Acquaroli di Fratelli d'Italia come candidato Presidente. Ebbene il leader storico dei 5 stelle Gianni Maggi è insorto: «Stiamo consegnando le Marche alla destra, non possiamo non costituire un fronte comune per arginarla. Come abbiamo fatto a Roma per fermare Salvini dobbiamo fare ad Ancona». Questo appello poteva fare un po' breccia nei pentastellati duri e puri fin quando in campo c'era la candidatura dell'ex rettore dell'Università Politecnica delle Marche Sauro Longhi che si presentava come «civico» sorretto dal Pd. Ma il Pd che ha deciso di non ricandidare il governatore uscente Luca Ceriscioli ha liquidato in fretta questa ipotesi affidandosi a un suo uomo: Maurizio Mangialardi sindaco di Senigallia. Di fronte a un «funzionario» totalmente organico al Pd che da oltre 30 anni governa le Marche la base dei 5 stelle ha detto: niente alleanze. Maggi sconfitto ha sbattuto la porta. Con lui è uscita dal gruppo consiliare anche Romina Pergolesi. Entrambi sono confluiti nel misto mentre gli altri due consiglieri pentastellati, Piergiorgio Fabbri e Peppino Giorgini hanno sciolto il gruppo grillino annunciando che daranno vita ad un nuovo gruppo in continuità con quello pentastellato. In attesa di sapere se - sempre ammesso che si voti - dopo il 20 settembre le Marche passeranno al centrodestra e se il Movimento avrà ancora un seggio in Regione.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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