2018-09-19
Il Pd dalle cene allo sciopero della fame
Dopo la sfida a colpi di banchetti mancati fra i big del partito, Roberto Giachetti annuncia che digiunerà finché non sarà convocato il congresso. Intanto, Carlo Calenda continua a sparare su Matteo Renzi e propone di sciogliere i dem. Potrebbe essere vicina la creazione del suo movimento.È stato scritto che nulla come un'agonia rende autorevoli e rispettabili. Ma ogni regola ha la sua eccezione: si tratta del Pd.Più il partito affonda, più si ride. Più si aggrava la tragedia politica, più sembra una commedia, anzi un cinepanettone, roba da far rischiare il posto a Massimo Boldi e Christian De Sica.Ci eravamo lasciati con le due cene, salotto contro trattoria: da una parte l'ex ministro Carlo Calenda che aveva provato ad «attovagliare» Matteo Renzi, Marco Minniti e Paolo Gentiloni, e dall'altra lo sfidante Nicola Zingaretti che aveva provocatoriamente immaginato una contro cena con i rappresentanti della mitica società civile. L'altra sera, a tarda ora, Carlo Calenda si è accorto del clima generale da farsa, e ha annullato tutto.Per dare un altro contributo alla «pacificazione», però, ieri mattina l'ex ministro (in una mano una tanica di benzina, nell'altra un fiammifero acceso) ha pensato bene di farsi intervistare via radio da Massimo Giannini, e di far ulteriormente divampare l'incendio: il Pd «sta diventando un posto in cui l'unico segretario che si dovrebbe candidare è il presidente dell'associazione di psichiatria», ha esordito. E ancora: «A loro non importerà di perdere le prossime elezioni. Quello che importa a loro è il congresso. Sono convinto che alle Europee il Pd non ci debba essere: serve un fronte repubblicano che spazzi via un partito che ha come unico obiettivo quello di spartirsi una torta sempre più piccola tra dirigenti che sono usurati».Ricapitoliamo: da pochi mesi Calenda si è iscritto a un partito, e adesso dice che va spazzato via. Poi, 36 ore fa, ha rivolto un soave e flautato invito a cena, e ora dice che sono tutti pazzi da ricovero. Tranne lui, ovviamente.Ma Calenda, dopo aver sparato nel mucchio, punta il mirino verso il Bullo: «Con Gentiloni e Minniti parlo continuamente. Ma nel Pd c'è un'entità, che si chiama Renzi, che non si capisce cosa voglia fare e che va avanti per conto suo».E a chi gli chiede se non si sia pentito della sua iscrizione, Calenda risponde in modo sibillino: «È l'unico modo, finché non ci sarà qualcos'altro, per dare un contributo. Mi sono iscritto, ho fatto proposte, e non è servito a nulla». Attenzione alle parole chiave: «Finché non ci sarà qualcos'altro». Torna alla mente quello che La Verità aveva raccontato questa estate, e cioè incessanti manovre verso le Europee di un'area di cosiddetti «competenti». Calenda reagì sdegnato, e però i suoi toni di queste ore - se esiste ancora una razionalità - non sembrano volti a ricucire dentro il Pd, ma a precostituire e giustificare altre operazioni fuori dal partito.Intanto, come al Bagaglino, esce di scena un personaggio e ne sale sul palco un altro: il più tenero, per tanti versi, e cioè Maurizio Martina, il segretario pro tempore, con il consueto brio da impiegato di pompe funebri. Martina, come si sa, ha perfino organizzato una manifestazione a Roma: in un primo momento, non si era nemmeno accorto di averla convocata alla stessa ora e nello stesso giorno del derby Roma-Lazio. Ieri, mentre gli altri si azzuffavano selvaggiamente, si è abbandonato a una specie di supplica per muoverli a compassione: «È possibile chiedere a tutti i dirigenti del mio partito una mano perché la manifestazione del 30 settembre a Roma sia bella e partecipata? Perché sia un segnale collettivo di ripartenza e sfida a Lega e M5s che vogliono dissolvere l'Europa?».Per il momento, a onor del vero, l'unica dissoluzione nell'aria è quella del Pd: e incredibilmente è lo stesso Martina (una strategia sofisticatissima per galvanizzare i militanti?) a parlare di «estinzione»: «Chi pensa che il Pd si debba estinguere non capisce che oggi questa comunità è l'unico argine al pericolo di questa destra. Dobbiamo cambiare, aprirci, rilanciare, ma non certo estinguerci».Requiem. Anzi, no: entra in scena il terzo protagonista della giornata, Roberto Giachetti, con un'agitata diretta Facebook. Barba lunga, occhi spiritati, tesissimo, camicia bianca spiegazzata: se non fosse per il bandierone alle spalle, lo si potrebbe prendere per il video appello di un sequestrato. Ma Giachetti dissipa il dubbio e spara subito a palle incatenate: «Sono incazzato nero, le ho provate tutte e invece traccheggiamo». Poi la bomba (o il petardo): «A questo scenario indecoroso reagisco tornando alle mie origini: dalla mezzanotte ho iniziato lo sciopero della fame perché sia immediatamente fissata la data del congresso. Visto che voi vi dedicate alle cene, io smetto di mangiare».Premessa numero uno: Roberto Giachetti è una persona perbene. Premessa numero due: lo sciopero della fame è stato tante volte un nobile strumento di battaglie civili dei radicali (chi scrive ne sa qualcosa, diciamo). Ma, al di là di ogni considerazione politica, lascia letteralmente sgomenti l'incapacità di vedere che la soglia del ridicolo è stata superata, e che - anche in termini di «drammaturgia» - un gesto che in altri casi è stato solenne in questo caso rischia di essere tragicomico. Non un do di petto alla Luciano Pavarotti, ma una pernacchia alla Alvaro Vitali.E qui si smette di ridere. Una democrazia sana avrebbe bisogno di un'opposizione credibile, di un'alternativa a disposizione degli elettori. Non solo il Pd è lontanissimo da tutto questo, ma finirà per regalare un aspetto istituzionalmente rispettabile a non pochi ministri che di per sé sembrerebbero degli scappati da casa. Eppure, nel confronto, rischiano di passare da statisti. Un altro miracolo del Pd.
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Charlie Kirk (Getty Images)