2019-11-05
Il patto di Di Maio con la Cina diventa un flop
Dal punto di vista economico, le merci sulla Via della Seta corrono a senso unico: le esportazioni italiane diminuiscono mentre l'import da Pechino aumenta. Sotto l'aspetto geopolitico, l'Italia deve fare i conti anche con i timori degli Stati Uniti.Un anno fa, da vicepremier e ministero dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio aveva spiegato al presidente cinese Xi Jinping, chiamandolo per due volte nello stesso discorso «presidente Ping», che l'Italia voleva diventare il primo partner commerciale del Dragone. Passati dodici mesi, abbandonato Palazzo Piacentini e la carica di vicepremier per la Farnesina, Di Maio è tornato a Shanghai da ministro degli Esteri per il China international import expo, dove l'Italia è uno dei Paesi ospiti d'onore. Tra le due visite, la firma del memorandum d'intesa sulla Via della Seta a marzo.Un accordo che Di Maio ha rivendicato anche ieri, sottolineando come l'Italia sia stato il primo Paese del G7 e tra i Paesi fondatori dell'Unione europea a fare questo passo. A distanza di poco più di sette mesi da quella firma, però, il patto non sembra aver dato i risultati sperati da Di Maio, dal premier Giuseppe Conte e dai suoi predecessori Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, fautori dell'apertura alla Cina. Il flop è da guardare sotto due aspetti: quello economico e quello geopolitico. Il primo l'ha spiegato ieri Repubblica: tra gennaio e luglio il totale delle esportazioni italiane è diminuito dell'1,5% e l'ultima parte dell'anno minaccia di essere peggiore. Invece, le esportazioni verso lo Stivale sono in aumento del 7,8%. Di questo passo, nota Repubblica, «il nostro disavanza commerciale toccherà livelli record. Lungo la Via della Seta le merci corrono a senso unico, quello che fa felice Pechino». Certo, gli accordi di libero scambio sono di competenza europea e il memorandum è sugli investimenti in infrastrutture. Ma neppure sotto questo punto di vista l'Italia ha avuto benefici. Arriviamo così al secondo aspetto, quello geopolitico. Se lo sviluppo dei porti non sembra decollare (con le gru a Genova e Trieste bloccate) così come il fondo tra Cassa depositi e prestiti e l'omologa cinese Cic, l'Italia deve fare i conti anche con i timori degli Stati Uniti. Lo stop dei voli della compagnia aerea iraniana Mahan Air è stato apprezzato da Washington ma certo non basta dopo l'avvicinamento alla Cina. E tra Washington e Roma i dossier aperti sono tanti e pesanti: non solo Iran e Cina (quindi anche 5G), ma pure il Russiagate che vede coinvolto Donald Trump nella sua duplice veste di presidente in carica e candidato alle presidenziali 2020.Proprio nel 2020, anno del cinquantenario dei rapporti bilaterali tra Italia e Cina, «vedremo e raccoglieremo i frutti della firma» del memorandum, ha detto Di Maio definendo l'Italia «un ponte tra Occidente e Oriente». Ma forse al ministro, perso tra le tensioni nella maggioranza e varie questioni scottanti come Fca, Ilva e Conad, è sfuggita la notizia internazionale del giorno: gli Stati Uniti hanno aperto alla possibilità che i rapporti commerciali fra Huawei e le aziende americane possano ripartire «molto presto». Così, Xi Jinping ha fortemente ridimensionato due dei suoi ospiti alla cena di ieri sera: il presidente francese Emmanuel Macron, che teme che ora gli Usa possano aprire un fronte della loro guerra commerciale con l'Unione europea, e Di Maio. Invitato in via straordinaria al banchetto con i capi di Stato e di governo quasi come premio di consolazione, al nostro ministro degli Esteri non rimarrà che constatare il flop della sua visione per la Cina. Infatti, dopo aver fatto innervosire gli Usa e con un accordo tra Pechino e Washington in vista, il nostro Paese non sarà nulla più che un acquirente della tecnologia perdendo qualsiasi speranza di peso geopolitico nella contesa.Due curiosità. La prima: il capo di gabinetto alla Farnesina dal leader pentastellato è Ettore Sequi, ambasciatore italiano a Pechino ringraziato dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi. «Se il nostro presidente ha visitato l'Italia prima della Francia è merito vostro, merito suo e dell'ambasciatore Sequi». Lo stesso diplomatico che un mese fa a China media group aveva fatto gli auguri alla Cina per i suoi 70 anni parlando di «progressi incredibili». La seconda: alla nascita del governo giallorosso, l'agenzia cinese Xinhua dipingeva così Di Maio (che quando parla di Cina sembra dimenticare i diritti umani): «Non si è mai laureato, ha competenze linguistiche molto limitate e ha mostrato scarso interesse per le questioni globali nella sua vita pubblica». Ieri, invece, l'omologo Wang l'ha definito «un politico giovane molto in gamba» con «una grande visione strategica». Non sappiamo se per titillarne l'ego o per festeggiare i benefici tutti cinesi dell'apertura dell'Italia alla Via della Seta.
Julio Velasco e Alessia Orro (Ansa)
Rod Dreher (Getty Images)