2019-11-15
Il Mose poteva già salvare la città. Mancano un decreto e il coraggio...
Adesso che Venezia è allagata, l'Italia piange sull'acqua versata. Peccato che gli stessi che ora lacrimano e si indignano per i capolavori e i palazzi sommersi, siano in gran parte gli stessi che hanno ostacolato l'unica soluzione ritenuta possibile, dopo anni di studi e discussioni, per fermare l'alta marea: il Mose. Già, la grande diga che doveva evitare l'inondazione è combattuta da quasi 35 anni, cioè da quando il progetto viene presentato ad Amburgo. Dopo un dibattito senza sosta, che dura dal 1966, quando l'aqua granda invade la città, fino al 1985, Bettino Craxi dà il via libero definitivo e Gianni De Michelis, che a Venezia è nato e ha casa, assicura che entro dieci anni le paratie mobili avrebbero protetto la città.In realtà, tra polemiche e contestazioni, nel 1995 si riesce appena a costituire un comitato per valutare l'impatto ambientale dell'opera. (...)(...) Cinque super esperti sono incaricati dal governo Dini di stabilire se, come dicono gli ambientalisti, la diga sia o meno una minaccia per la flora e la fauna della laguna. Dei tecnici nominati, quattro sono stranieri e uno solo italiano, l'allora rettore di Ca' Foscari, Paolo Costa. Neanche il tempo di valutare, che il governo cambia e al posto dell'ex direttore della Banca d'Italia arriva Romano Prodi, il quale dopopoco, a causa delle dimissioni di Antonio Di Pietro da ministro dei Lavori pubblici, vuole Costa al proprio fianco, sguarnendo la commissione che doveva giudicare il Mose. Il rettore viene rimpiazzato dall'economista Ignazio Musu, ma nel frattempo si deve ricominciare da capo, così il verdetto sull'impatto ambientale arriva solo nel 1998. Secondo i professori non c'è alcuna seria preoccupazione per l'ecosistema perché, a differenza di quanto temevano gli ambientalisti, gli habitat naturali non sono minacciati (infatti anni dopo uno studio dimostrerà che, paradossalmente, le paratie avevano consentito la proliferazione di fauna e flora). Il responso della commissione però coincide con la caduta del governo Prodi, dunque la valutazione di impatto ambientale finisce nel cassetto, in attesa che il nuovo esecutivo decida il da farsi. Al professor Mortadella subentra Massimo D'Alema ed Edo Ronchi, deputato di Democrazia proletaria prima e dei Verdi poi, come ministro dell'Ambiente chiede una nuova valutazione di impatto ambientale, ritenendo che nel frattempo le leggi siano cambiate. Dunque passano altri anni e il progetto della diga che deve fermare l'acqua alta rimane fermo, intanto lievitano i costi. Mentre si discute se i pesciolini e le alghe sono minacciati dalle paratie, il governo D'Alema cade e arriva quello guidato da Giuliano Amato. Ministro dei lavori pubblici è Nerio Nesi, di Rifondazione comunista, ministro dell'Ambiente, Willer Bordon. Il primo è favorevole all'opera, forse perché viene dai socialisti, il secondo no, forse perché viene dal Pci. Sta di fatto che però alla fine il governo approva. L'opera però comincia nel 2003 con Silvio Berlusconi e il ministro Lunardi. Siamo così arrivati agli inizi degli anni 2000, quando il sindaco di Venezia è Paolo Costa, l'ex commissario cui fu affidata la prima valutazione di impatto ambientale e l'ex ministro dei Lavori pubblici, uno insomma che il Mose lo vede di buon occhio. Ma nel 2005 ritorna alla guida del municipio Massimo Cacciari, il filosofo che l'acqua alta la combatte con gli stivali di gomma. E siccome nella sua giunta rossoverde ci sono anche gli ambientalisti, la battaglia contro la diga che deve salvare la città ricomincia senza tregua. Una guerra che però non riesce a fermare il Mose, ma fino a che al governo c'è Silvio Berlusconi. Poi nel 2006 a Palazzo Chigi si cambia e arriva Romano Prodi con Alfonso Pecoraro Scanio ministro dell'Ambiente. E il verde avvocato per impedire che i lavori proseguano fa di tutto, diffidando il consorzio incaricato della costruzione. Per il ministro i nuovi cantieri in via di allestimento nella laguna sono illegittimi e denuncia alla Procura, chiedendo di fermarli. E ad ingrossare le fila dei nemici del Mose, insieme con Pecoraro Scanio ci sono Paolo Cento, i ministri Paolo Ferrero, Fabio Mussi, Alessandro Bianchi e un pezzo di Cgil. Di conseguenza, l'opera procede a singhiozzo, tra uno stop e un via libera, tra una manifestazione di protesta e la proposta di progetti alternativi.Il tempo passa e l'acqua alta anche, così si arriva al 2014, quando la Procura arresta tutti, costruttori e politici, accusando il Consorzio di aver distribuito tangenti a gogò. Sul Mose dunque piomba anche la maledizione del malaffare, che pure, stando alle risultanze dei processi, c'è, ma non c'entra nulla con l'utilità della diga. I politici rubavano e gli imprenditori pagavano, ma l'aqua granda non la si ferma con le mani pulite. Lo scandalo stoppa tutto. Sulle opere vigila l'Anac, l'autorità anticorruzione, ma la verità è che i lavori non procedono o procedono a rilento, anche se mancherebbe poco per completarli. Per di più, nel 2014, come reazione alla tangentopoli, il governo Renzi cambia le regole e a decidere sul Mose non è più il Consorzio, ma tocca alla Città metropolitana. Peccato che qualcuno si dimentichi di varare l'ultimo decreto e di nominare chi deve decidere se e quando alzare la diga, che, sebbene non conclusa, c'è e al 94 per cento l'altra sera avrebbe potuto fermare l'acqua. L'opera non è collaudata, mancano l'arredamento in cabina di regia e gli ascensori, ma in teoria è pronta, anche se ci vuole un altro anno per la conclusione definitiva dei lavori. Sarebbe bastato che qualcuno decidesse di alzare le paratie, ma nessuno ha avuto il coraggio di prendere la decisione, perché nessuno ha il potere di farlo. Forse poteva farlo il capo della protezione civile. Forse il prefetto. Di sicuro lo poteva fare il presidente del Consiglio, che per legge è a capo del comitatone per la difesa di Venezia e ha competenza sul Mose. Nessuno però ha avvisato Giuseppe Conte e nemmeno si è preso la briga di chiamare il ministro dei Lavori pubblici. Risultato, oltre all'acqua alta, siamo anche invasi dalle lacrime di coccodrillo, di chi - come Cacciari - oggi dice: ve l'avevo detto che il Mose non serviva.