2022-03-11
«Il mio Nuovo Paradiso ora lo vedo al buio»
Salvatore "Totò" Cascio (Getty Images)
Protagonista da bambino nel 1988 del film Oscar di Giuseppe Tornatore, è affetto da una rara patologia che determina la progressiva perdita della vista: «La fede non è ragione, ma certezza. L’ultima parola prima di dormire e la prima quando mi sveglio è un grazie a Dio». Salvatore Cascio, detto Totò, l’attore bambino protagonista, con Philippe Noiret, di Nuovo Cinema Paradiso, acclamato film di Francesco Tornatore del 1988 premiato con l’Oscar, oggi non può più rivedere la scena di 1 minuto e 20 secondi che anticipa il futuro della sua esistenza fuori dal set, ma soltanto riascoltarla. Nella sequenza, Alfredo, il proiezionista diventato cieco nell’incendio del cinema di un immaginario paesino siciliano, divampato da una pellicola infiammabile, sfiora, con una mano, gli occhi del bambino Salvatore, dicendogli: «Oggi che ho perso la vista, ci vedo di più». All’epoca, né Totò, né il regista e gli altri attori, sapevano che quei fotogrammi contenevano l’inconsapevole preveggenza di un destino. Ma già allora il bambino, che aveva 8 anni e oggi 42, accusava l’annebbiamento della vista senza confessarlo a nessuno, se non ai suoi familiari, un problema da cui, in seguito, dopo una visita specialistica a Losanna, sarebbe sortita una diagnosi inappellabile: «retinite pigmentosa con edema maculare», patologia che determina la progressiva perdita della vista.Dopo numerosi premi e un’intensa attività artistica (8 film fino al 1996), a 21 anni, dopo le riprese di Padre Speranza, film Rai con Bud Spencer, prendendo atto che il suo problema si stava aggravando, decise di congedarsi dalle cineprese. A ciò fecero seguito lunghi anni alla ricerca di sé stesso, passando per l’inferno degli psicofarmaci, per la psicoterapia, fino alla riscoperta di una fede mai abbandonata ma prima vissuta come «una tiepida religiosità che puntava sostanzialmente al miracolo, alla guarigione», ricorda nel suo libro, redatto con Giorgio De Martino, La gloria e la prova, appena uscito da Baldini&Castoldi, prefazione di Tornatore e postfazione di Andrea Bocelli. Totò Cascio, che oggi vive a Chiusa Sclafani (Palermo), è riapparso al cinematografo nel 2015 in Protagonisti per sempre di Mimmo Verdesca, ritratto sul destino di noti attori bambini e, nel 2021, in un cortometraggio. Il padre, Giuseppe, ex-autotrasportatore, e la madre, Calogera, gestiscono un supermercato e un b&b. Ha 2 fratelli, Carmelo, 45 anni, e Giampiero, 36. Carmelo è stato colpito dalla sua stessa malattia. Come ha vissuto, da bambino, l’incipiente problema alla vista? «L’ho vissuto come un dramma, è stato difficile. Non accettavo di integrarmi con altri ragazzini con il mio stesso problema, perché temevo di essere considerato come una persona con un handicap. C’è voluto molto tempo per riacquistare serenità. Nel 2021 ho avuto la possibilità di realizzare il cortometraggio A occhi aperti con Telethon. Mi sono arrivati tanti messaggi, proposte. Direi che è partita una nuova avventura». Le è accaduto di arrabbiarsi con Dio?«Arrabbiarmi no, ma a volte chiedermi “perché proprio a me?”, questo sì. Insomma, ero un po’ arrabbiato, ma il mio rapporto con Dio c’è sempre stato. Prima cercavo i gruppi di preghiera per ottenere un miracolo. Da quando sono andato a Medjugorje, nel 2008, qualcosa è cambiato. Mi risuonavano queste due parole in testa, la gloria e la prova e poi, accettando ciò che mi è accaduto, penso sempre che Gesù non dice “prendi la tua croce e nasconditi”, ma “prendi la tua croce e seguimi”. Ora l’ultima parola prima di dormire e la prima quando mi sveglio è un grazie a Dio».Ci sono stati momenti in cui avrebbe voluto essere un bambino qualsiasi e non una celebrità?«Sì, perché ero timido e le lenti degli occhiali diventavano sempre più spesse. E non volevo deludere le aspettative. Ora invece dico che nella mia sfortuna sono stato fortunato, ho ricevuto un dono. E Nuovo Cinema Paradiso è il mio biglietto da visita. Amo la vita e ringrazio per ciò che ho, anziché lamentarmi per ciò che mi manca». Lei desiderava un futuro da attore?«All’epoca no. Non ero sereno e avevo bisogno di ritrovarmi. Ora invece dico: “Se capitasse l’occasione, perché no?”».Berlusconi le disse: «Tu troverai la mia porta sempre aperta. O ci sarò io o ci saranno i miei figli». Tuttavia a quella porta non bussò mai. Se non fosse intercorso il problema agli occhi, ci avrebbe bussato?«Non lo so. Ho un bel ricordo del Cavaliere, che mi fece pervenire 16 completini per la squadra di calcio del mio paese. Forse ebbe un’illuminazione vedendo i miei occhiali spessi… ».Con il successo le capitò di montarsi la testa?«No, vivevo questa cosa con naturalezza e sapevo distinguere quando mi trovavo fuori e quando tornavo al paese con gli amici a giocare. La questione di fare l’attore non è mai stata un’ossessione, né allora né adesso». Attraversò anni di forte scoramento, si sentiva «un bambino invecchiato di cent’anni», affrontò la psicoterapia, assunse psicofarmaci e poi smise. Che ricordo ha di questa fase?«Dovevo fare ordine. Ciò non è in contrapposizione con la fede. Del fatto di mettersi in analisi e chiedere aiuto non ci si deve vergognare. L’esperienza all’istituto Cavazza di Bologna è stata fondamentale. È durata 9 mesi, dal maggio 2018 al febbraio 2019, come un parto. All’inizio non mi sono fatto riconoscere. Poi, con questi 30 ragazzi non vedenti, mi sono integrato e ho condiviso tante cose».Lei scrive che «quando sogna vede, vede bene». Le è capitato di immaginare cosa si potrà vedere oltre la morte?«La vita eterna, direi. Prima avevo paura della morte, a causa del lutto, che mi sono portato per anni appresso, per un mio compagno di giochi. Adesso so che ha un senso nascere e anche morire. La fede non è ragione, ma certezza».Qual è, allo stato attuale, la condizione della sua vista?«Riesco a vedere solo luci. Al centro dei miei occhi vedo un fascio di luce che mi abbaglia. I volti non posso distinguerli. È una situazione invalidante, ma mi sento valido al cento per cento».Da un punto di vista medico, esistono possibilità di rimedio?«No, perché la retina è collegata al cervello. C’è un’equipe di Verona e Genova che sta lavorando sulla retina liquida, mediante nanoparticelle. Tuttavia, pur sperando nella ricerca, non voglio illudere nessuno». Parla anche della «separazione turbolenta» con la sua compagna. Anche in quei casi può capitare di arrabbiarsi con Dio…«Con Dio mi sono arrabbiato, ma non completamente. Certo, ci sono rimasto male. Ma anche questa esperienza mi ha fatto crescere. Con la mia ex fidanzata ci sentiamo spesso, tranquillamente e, nel frattempo, c’è stata anche un’altra storia. Mi dicono anche che sono vanitoso».Ha mai contemplato di innamorarsi di una ragazza non vedente? «Me lo sono chiesto e mi sono risposto: “Perché no?”. Ho conosciuto parecchie coppie di non vedenti, alcune con figli, felici e da ammirare. Penso che ciò potrebbe succedere, perché come nel film di Pupi Avati Il cuore altrove, l’amore va oltre».Quale messaggio comunica a chi ha una disabilità?«Che la disabilità non è una condanna, ma una condizione, da vivere anche con leggerezza».