True
2023-01-07
Il Messico arresta il figlio del Chapo e i narcos scatenano l’inferno in città
Immagini degli scontri in Messico. Nel riquadro, Ovidio Guzman (Ansa)
Duro colpo ai cartelli della droga messicana. Nel corso di un’operazione, giovedì mattina le forze militari messicane hanno arrestato Ovidio Guzman Lopez. Soprannominato El Raton, il figlio trentaduenne del famigerato signore dei narcos, Joaquin Guzman, detto El Chapo. I fatti si sono verificati nella città di Culiacan: capoluogo di una vera e propria roccaforte dei narcotrafficanti, che è lo Stato di Sinaloa.
In particolare, la Guardia nazionale messicana ha circondato il quartiere cittadino Jesus Maria, dov’era stato individuato Guzman. Stando a quanto riferito dal segretario alla Difesa messicano Luis Cresencio Sandoval, l’arresto è avvenuto dopo un serrato scontro a fuoco tra militari e narcos. È anche per questo che giovedì le autorità avevano esortato i cittadini a rimanere nelle proprie abitazioni. Sempre secondo Sandoval, i narcotrafficanti avevano anche istituito diciannove posti di blocco all’aeroporto di Culiacan e nei vari punti di accesso della città. Ciononostante l’aviazione militare messicana è riuscita a trasportare Guzman a Città del Messico, dove è stato condotto negli uffici del procuratore speciale per la criminalità organizzata. Nel corso dell’operazione di arresto, secondo la Bbc, hanno perso la vita dieci militari e 19 sospetti.
I narcos hanno compiuto atti di vera e propria guerriglia: oltre ai posti di blocco, si sono mossi armati fino ai denti in colonne di suv. Vari quartieri della città sono stati messi a ferro e fuoco, mentre gli scontri con le forze messicane sono proseguiti. I trafficanti hanno anche sparato contro aerei militari e velivoli civili (due dei quali hanno dovuto interrompereil decollo, mentre i passeggeri si buttavano a terra in preda al panico). Non solo: violenti disordini sono scoppiati nelle ore successive all’arresto di Guzman. Secondo il governatore di Sinaloa, Ruben Rocha Moya, sarebbero morti almeno sette membri delle forze di sicurezza. In questo caos, sono oltre 100 i voli cancellati in tre aeroporti di Sinaloa. Sarebbe stato anche effettuato un tentativo di evasione dal penitenziario statale, mentre gli episodi di violenza si sarebbero estesi anche ad alcuni comuni limitrofi.
L’operazione che ha portato alla cattura di Guzman è l’esito di un lavoro durato circa sei mesi. Ricordiamo che il figlio di El Chapo era già stato catturato dalle forze messicane nell’ottobre 2019. Era tuttavia stato rilasciato quasi immediatamente, dopo che i narcos - pesantemente armati - avevano preso di fatto il controllo di Culiacan, minacciando di compiere delle stragi. Una circostanza che gettò il governo messicano nell’imbarazzo. I media d’oltreatlantico hanno sottolineato che l’arresto di giovedì scorso è avvenuto a pochi giorni dall’arrivo in Messico - previsto per lunedì - del presidente americano, Joe Biden, che prenderà parte al decimo vertice dei leader dell’America settentrionale, insieme all’omologo messicano, Manuel Lopez Obrador, e al premier canadese, Justin Trudeau.
Vale a tal proposito la pena ricordare che gli Stati Uniti erano alla ricerca di Ovidio Guzman almeno dal 2008. Inoltre, nel dicembre 2021, il Dipartimento di Stato americano aveva messo su di lui una taglia da 5 milioni di dollari, sostenendo che «i fratelli Guzman Lopez stanno attualmente supervisionando circa undici laboratori di metanfetamine nello Stato di Sinaloa, producendo circa 3.000-5.000 libbre di metanfetamine al mese».
«Questo è un duro colpo per il cartello di Sinaloa e una grande vittoria per lo Stato di diritto. Tuttavia, non ostacolerà il flusso di droga negli Usa», ha detto l’ex capo delle operazioni internazionali della Dea, Mike Vigil, auspicando che Washington richieda celermente l’estradizione di Guzman. Era gennaio 2017, quando suo padre fu estradato negli Stati Uniti, dove è poi stato condannato all’ergastolo nel 2019: attualmente è rinchiuso nell’Adx Florence, penitenziario di massima sicurezza situato in Colorado. Non è d’altronde un mistero che la frontiera meridionale degli Usa sia ogni anno letteralmente inondata dalla droga dei cartelli messicani.
Nbc News ha riferito che la pressione su El Raton è aumentata ultimamente a causa dell’incremento del traffico di fentanil: oppioide sintetico che ha prodotto un record di overdose negli Usa negli ultimi anni. La stessa testata giornalistica ha riportato che, secondo la Dea, proprio il cartello di Sinaloa risulterebbe il principale responsabile dei fiumi di fentanil entrati in territorio americano. È in questo quadro che Washington aveva esercitato pressioni su Città del Messico, affinché si impegnasse maggiormente nel contrasto ai signori della droga. Senza dimenticare gli aspetti internazionali. Alcuni componenti usati dai narcos per il fentanil sono infatti provenienti dalla Repubblica popolare cinese: un fattore che ha contribuito, già ai tempi dell’amministrazione Trump, a peggiorare i rapporti tra Washington e Pechino.
McCarthy speaker: meta più vicina
Stati Uniti: è possibile che lo stallo alla Camera dei rappresentanti sia in via di superamento? Ieri sera, quando La Verità è andata in stampa, il deputato repubblicano, Kevin McCarthy, non era ancora riuscito, dopo ben 12 votazioni complessive, a conquistare la poltrona di Speaker. Tuttavia, rispetto ai giorni precedenti, la pattuglia dei suoi oppositori interni si era notevolmente assottigliata (i riottosi erano infatti passati da 21 a sette): segno che le trattative in corso potrebbero essere in procinto di sbloccare la situazione. In particolare, al primo scrutinio di ieri, McCarthy si era fermato a 213 voti: non poi così lontano dalla fatidica soglia dei 218 necessari per ottenere la presidenza.
Al momento in cui scriviamo, l’osso più duro rimasto in campo è il deputato repubblicano Matt Gaetz: capofila dei frondisti e mosso da sentimenti energicamente antiestablishment, si tratta di un profilo che, nonostante la sua conclamata fede trumpista, non si è lasciato smuovere neppure dallo stesso Donald Trump che, tre giorni fa, aveva rinnovato il proprio endorsement a McCarthy. La scommessa dell’establishment repubblicano è che Gaetz veda progressivamente affievolire la propria influenza sulla pattuglia dei ribelli. Bisognerà tuttavia capire se l’ala più dura di questo gruppo alla fine cederà, decidendosi a sostenere McCarthy: un McCarthy che, se votano tutti i deputati, può permettersi un massimo di quattro defezioni repubblicane, per arrivare ad essere eletto Speaker. Il suo problema continua quindi a rivelarsi la maggioranza eccessivamente risicata, conquistata dall’Elefantino alle ultime elezioni di metà mandato.
Indipendentemente da come si concluderà lo stallo alla Camera, quanto accaduto sta già pesando negativamente sul Partito repubblicano, rafforzando indirettamente Joe Biden: d’altronde, erano 164 anni che l’elezione di uno Speaker non si trascinava così a lungo. Un autentico regalo al presidente americano, a cui tuttavia i grattacapi non mancano: a partire dalla spinosissima questione migratoria. La pressione alla frontiera meridionale degli Stati Uniti continua a rivelarsi significativa. In questo quadro, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato giovedì un piano per accogliere fino a 30.000 immigrati al mese da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela: un piano che, secondo la Cnn, si accompagnerebbe a una strategia «per espellere quanti più migranti provenienti da quei Paesi che eludono le leggi statunitensi».
«No, non limitatevi a presentarvi al confine. Restate dove siete e fate domanda legalmente da lì», ha detto Biden, rivolgendosi ai migranti: un Biden che visiterà domani, per la prima volta da quando è in carica, la frontiera meridionale. Insomma, il presidente americano si è improvvisamente accorto della crisi migratoria al confine. Una crisi che ha sempre rappresentato la sua principale spina nel fianco. Senza dimenticare il fallimento di Kamala Harris che, a marzo 2021, era stata incaricata dall’inquilino della Casa Bianca di risolvere la questione per via diplomatica con i Paesi dell’America centrale. E invece non solo la crisi è peggiorata (lo scorso anno fiscale si è chiuso col record di arrivi di immigrati clandestini), ma negli ultimi mesi Washington ha anche perso influenza sull’America latina a vantaggio di Cina e Russia. Eppure, nonostante questi oggettivi problemi, Biden sta riuscendo politicamente a destreggiarsi proprio in forza del caos politico, scatenato dai repubblicani alla Camera. O l’Elefantino si affretta quindi a sbloccare lo stallo oppure continuerà a dare assist alla Casa Bianca, compromettendo così le proprie chance di vincere le elezioni presidenziali del prossimo anno. E così i democratici, divisi e con poche idee, puntano tutto sul testacoda di un Gop sempre più vicino al suicidio politico.
Continua a leggere
Riduci
Scene di guerra a Culiacan. Dopo la cattura di Ovidio Guzman il cartello della droga blocca le vie e circonda l’aeroporto: oltre 30 morti negli scontri e 100 voli cancellati. Il blitz sembra un regalo a Joe Biden, in arrivo lunedì.Kevin McCarthy speaker: meta più vicina. Dopo 12 votazioni, il candidato repubblicano non riesce a conquistare la poltrona. La distanza però si riduce: mancano cinque voti. Lo stallo comunque favorisce i dem. Lo speciale comprende due articoli.Duro colpo ai cartelli della droga messicana. Nel corso di un’operazione, giovedì mattina le forze militari messicane hanno arrestato Ovidio Guzman Lopez. Soprannominato El Raton, il figlio trentaduenne del famigerato signore dei narcos, Joaquin Guzman, detto El Chapo. I fatti si sono verificati nella città di Culiacan: capoluogo di una vera e propria roccaforte dei narcotrafficanti, che è lo Stato di Sinaloa. In particolare, la Guardia nazionale messicana ha circondato il quartiere cittadino Jesus Maria, dov’era stato individuato Guzman. Stando a quanto riferito dal segretario alla Difesa messicano Luis Cresencio Sandoval, l’arresto è avvenuto dopo un serrato scontro a fuoco tra militari e narcos. È anche per questo che giovedì le autorità avevano esortato i cittadini a rimanere nelle proprie abitazioni. Sempre secondo Sandoval, i narcotrafficanti avevano anche istituito diciannove posti di blocco all’aeroporto di Culiacan e nei vari punti di accesso della città. Ciononostante l’aviazione militare messicana è riuscita a trasportare Guzman a Città del Messico, dove è stato condotto negli uffici del procuratore speciale per la criminalità organizzata. Nel corso dell’operazione di arresto, secondo la Bbc, hanno perso la vita dieci militari e 19 sospetti.I narcos hanno compiuto atti di vera e propria guerriglia: oltre ai posti di blocco, si sono mossi armati fino ai denti in colonne di suv. Vari quartieri della città sono stati messi a ferro e fuoco, mentre gli scontri con le forze messicane sono proseguiti. I trafficanti hanno anche sparato contro aerei militari e velivoli civili (due dei quali hanno dovuto interrompereil decollo, mentre i passeggeri si buttavano a terra in preda al panico). Non solo: violenti disordini sono scoppiati nelle ore successive all’arresto di Guzman. Secondo il governatore di Sinaloa, Ruben Rocha Moya, sarebbero morti almeno sette membri delle forze di sicurezza. In questo caos, sono oltre 100 i voli cancellati in tre aeroporti di Sinaloa. Sarebbe stato anche effettuato un tentativo di evasione dal penitenziario statale, mentre gli episodi di violenza si sarebbero estesi anche ad alcuni comuni limitrofi. L’operazione che ha portato alla cattura di Guzman è l’esito di un lavoro durato circa sei mesi. Ricordiamo che il figlio di El Chapo era già stato catturato dalle forze messicane nell’ottobre 2019. Era tuttavia stato rilasciato quasi immediatamente, dopo che i narcos - pesantemente armati - avevano preso di fatto il controllo di Culiacan, minacciando di compiere delle stragi. Una circostanza che gettò il governo messicano nell’imbarazzo. I media d’oltreatlantico hanno sottolineato che l’arresto di giovedì scorso è avvenuto a pochi giorni dall’arrivo in Messico - previsto per lunedì - del presidente americano, Joe Biden, che prenderà parte al decimo vertice dei leader dell’America settentrionale, insieme all’omologo messicano, Manuel Lopez Obrador, e al premier canadese, Justin Trudeau. Vale a tal proposito la pena ricordare che gli Stati Uniti erano alla ricerca di Ovidio Guzman almeno dal 2008. Inoltre, nel dicembre 2021, il Dipartimento di Stato americano aveva messo su di lui una taglia da 5 milioni di dollari, sostenendo che «i fratelli Guzman Lopez stanno attualmente supervisionando circa undici laboratori di metanfetamine nello Stato di Sinaloa, producendo circa 3.000-5.000 libbre di metanfetamine al mese».«Questo è un duro colpo per il cartello di Sinaloa e una grande vittoria per lo Stato di diritto. Tuttavia, non ostacolerà il flusso di droga negli Usa», ha detto l’ex capo delle operazioni internazionali della Dea, Mike Vigil, auspicando che Washington richieda celermente l’estradizione di Guzman. Era gennaio 2017, quando suo padre fu estradato negli Stati Uniti, dove è poi stato condannato all’ergastolo nel 2019: attualmente è rinchiuso nell’Adx Florence, penitenziario di massima sicurezza situato in Colorado. Non è d’altronde un mistero che la frontiera meridionale degli Usa sia ogni anno letteralmente inondata dalla droga dei cartelli messicani. Nbc News ha riferito che la pressione su El Raton è aumentata ultimamente a causa dell’incremento del traffico di fentanil: oppioide sintetico che ha prodotto un record di overdose negli Usa negli ultimi anni. La stessa testata giornalistica ha riportato che, secondo la Dea, proprio il cartello di Sinaloa risulterebbe il principale responsabile dei fiumi di fentanil entrati in territorio americano. È in questo quadro che Washington aveva esercitato pressioni su Città del Messico, affinché si impegnasse maggiormente nel contrasto ai signori della droga. Senza dimenticare gli aspetti internazionali. Alcuni componenti usati dai narcos per il fentanil sono infatti provenienti dalla Repubblica popolare cinese: un fattore che ha contribuito, già ai tempi dell’amministrazione Trump, a peggiorare i rapporti tra Washington e Pechino. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-messico-arresta-il-figlio-del-chapo-e-i-narcos-scatenano-linferno-in-citta-2659081494.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mccarthy-speaker-meta-piu-vicina" data-post-id="2659081494" data-published-at="1673037133" data-use-pagination="False"> McCarthy speaker: meta più vicina Stati Uniti: è possibile che lo stallo alla Camera dei rappresentanti sia in via di superamento? Ieri sera, quando La Verità è andata in stampa, il deputato repubblicano, Kevin McCarthy, non era ancora riuscito, dopo ben 12 votazioni complessive, a conquistare la poltrona di Speaker. Tuttavia, rispetto ai giorni precedenti, la pattuglia dei suoi oppositori interni si era notevolmente assottigliata (i riottosi erano infatti passati da 21 a sette): segno che le trattative in corso potrebbero essere in procinto di sbloccare la situazione. In particolare, al primo scrutinio di ieri, McCarthy si era fermato a 213 voti: non poi così lontano dalla fatidica soglia dei 218 necessari per ottenere la presidenza. Al momento in cui scriviamo, l’osso più duro rimasto in campo è il deputato repubblicano Matt Gaetz: capofila dei frondisti e mosso da sentimenti energicamente antiestablishment, si tratta di un profilo che, nonostante la sua conclamata fede trumpista, non si è lasciato smuovere neppure dallo stesso Donald Trump che, tre giorni fa, aveva rinnovato il proprio endorsement a McCarthy. La scommessa dell’establishment repubblicano è che Gaetz veda progressivamente affievolire la propria influenza sulla pattuglia dei ribelli. Bisognerà tuttavia capire se l’ala più dura di questo gruppo alla fine cederà, decidendosi a sostenere McCarthy: un McCarthy che, se votano tutti i deputati, può permettersi un massimo di quattro defezioni repubblicane, per arrivare ad essere eletto Speaker. Il suo problema continua quindi a rivelarsi la maggioranza eccessivamente risicata, conquistata dall’Elefantino alle ultime elezioni di metà mandato. Indipendentemente da come si concluderà lo stallo alla Camera, quanto accaduto sta già pesando negativamente sul Partito repubblicano, rafforzando indirettamente Joe Biden: d’altronde, erano 164 anni che l’elezione di uno Speaker non si trascinava così a lungo. Un autentico regalo al presidente americano, a cui tuttavia i grattacapi non mancano: a partire dalla spinosissima questione migratoria. La pressione alla frontiera meridionale degli Stati Uniti continua a rivelarsi significativa. In questo quadro, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato giovedì un piano per accogliere fino a 30.000 immigrati al mese da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela: un piano che, secondo la Cnn, si accompagnerebbe a una strategia «per espellere quanti più migranti provenienti da quei Paesi che eludono le leggi statunitensi». «No, non limitatevi a presentarvi al confine. Restate dove siete e fate domanda legalmente da lì», ha detto Biden, rivolgendosi ai migranti: un Biden che visiterà domani, per la prima volta da quando è in carica, la frontiera meridionale. Insomma, il presidente americano si è improvvisamente accorto della crisi migratoria al confine. Una crisi che ha sempre rappresentato la sua principale spina nel fianco. Senza dimenticare il fallimento di Kamala Harris che, a marzo 2021, era stata incaricata dall’inquilino della Casa Bianca di risolvere la questione per via diplomatica con i Paesi dell’America centrale. E invece non solo la crisi è peggiorata (lo scorso anno fiscale si è chiuso col record di arrivi di immigrati clandestini), ma negli ultimi mesi Washington ha anche perso influenza sull’America latina a vantaggio di Cina e Russia. Eppure, nonostante questi oggettivi problemi, Biden sta riuscendo politicamente a destreggiarsi proprio in forza del caos politico, scatenato dai repubblicani alla Camera. O l’Elefantino si affretta quindi a sbloccare lo stallo oppure continuerà a dare assist alla Casa Bianca, compromettendo così le proprie chance di vincere le elezioni presidenziali del prossimo anno. E così i democratici, divisi e con poche idee, puntano tutto sul testacoda di un Gop sempre più vicino al suicidio politico.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggere
Riduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggere
Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggere
Riduci