2019-07-15
Il M5s va all’assalto del Carroccio e picchia sui russi, per la gioia del Pd
Il caso moscovita per i pentastellati è la chance di ridurre le distanze dalla Lega. Luigi Di Maio esce allo scoperto e invita Matteo Salvini a riferire in aula. Anche i dem si ringalluzziscono, Enrico Letta e Paolo Gentiloni chiedono le dimissioni. Dopo mesi di schiaffi presi, al Movimento 5 stelle e al Pd non par vero di tentare di restituirne almeno uno alla Lega, in una domenica di mezza estate. E così l'affaire-Savoini diventa l'occasione per un attacco concentrico a Matteo Salvini sia da parte dell'opposizione sia da parte di quello che sarebbe ancora l'alleato di governo. È stato proprio Luigi Di Maio il primo a passare all'offensiva, con un post sulla sua pagina Facebook, in cui il capo politico dei grillini, dopo aver denunciato «un po' di confusione in giro», annuncia - nientemeno - di voler spiegare «qual è l'Abc del fare politica» per M5S. Di Maio sceglie tre punti di attacco. Primo: Salvini vada in Parlamento («Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione»). Per salvare le apparenze, il vicepremier grillino mostra di suggerire questa soluzione come aiuto a Salvini: «Peraltro quando si ha la certezza di essere strumentalizzati, l'Aula diventa anche un'occasione per dire la propria, difendersi e rispondere per le rime alle accuse, se considerate ingiuste». Ma è parso evidente a tutti che il «quando» e il «se» usati da Di Maio evochino velenosamente dubbi, più che esprimere solidarietà verso l'alleato.Secondo: commissione d'inchiesta a tutto campo. Per Di Maio, «se ci sono sospetti su finanziamenti ai partiti, si fa una commissione d'inchiesta per tutti i partiti. Oggi c'è la legge “spazzacorrotti", ma negli ultimi decenni non è stato così. Soprattutto è comico che sia il Pd a parlare di finanziamenti (dopo le coop rosse, dopo “Mafia capitale" e dopo le indagini della magistratura che ancora coinvolgono i loro vertici). La commissione d'inchiesta sui finanziamenti ai partiti serve, va fatta subito e deve riguardare tutti, anche il Movimento. Nessuno escluso. I cittadini quando votano devono sapere se la forza politica a cui stanno dando il loro consenso fa i loro interessi o quelli di qualcun altro». Qui vanno segnalati i toni aspri verso il Pd: Di Maio, di tutta evidenza, vuole pararsi dall'accusa di convergenza con Nicola Zingaretti. Terzo: pubblicità di ciò che si riceve. Di Maio ribadisce che è «doveroso garantire la tracciabilità dei soldi che un partito incassa durante una campagna elettorale. M5s, sempre con la “spazzacorrotti", ha obbligato tutti a rendere pubbliche le donazioni che ricevono e su questo non ci si può tirare indietro».Insomma, com'era prevedibile, dopo i rovesci elettorali, dopo il caos e le divisioni interne, dopo le prove non brillanti dei loro ministri, i grillini tornano a scegliere una postura aggressiva verso il partner di governo, a maggior ragione con l'ormai pressoché certa chiusura della finestra elettorale. Anche il Pd usa questa vicenda come un balsamo per provare a occultare la sua balcanizzazione interna. Ieri l'entourage di Nicola Zingaretti ha fatto sapere che il segretario ha contattato al telefono i presidenti delle due Camere, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, per chiedere che il governo sia al più presto convocato in Aula. Richiesta ribadita anche da altri parlamentari dem (Simona Malpezzi, Franco Mirabelli e Dario Stefano: vicepresidenti del gruppo Pd al Senato): «Ormai è evidente che il ministro Salvini non ha raccontato la verità sui suoi rapporti con Savoini, e sul ruolo dello stesso nella trattativa con la Russia. Insieme al presidente Marcucci, chiediamo formalmente alla presidente Casellati di convocare in Aula il ministro dell'Interno nel più breve tempo possibile».Toni barricaderi anche da parte dell'ex premier Paolo Gentiloni, insolitamente fiammeggiante, al punto da scavalcare Zingaretti e avanzare una richiesta di dimissioni: «Palazzo Chigi smentisce Salvini su Savoini. A questo punto non basta riferire in Parlamento. Chi dice falsità per coprire truffe e truffatori non può fare il ministro dell'Interno di un grande paese democratico». Stesse parole e stessa musica anche da parte di un altro ex presidente del Consiglio, Enrico Letta: «Un ministro degli Interni, responsabile della sicurezza del paese, che dice e ripete il falso sul ruolo del suo collaboratore Savoini in “moscopoli", dovrebbe essersi per questo già dimesso in un paese democratico come l'Italia». Ruggiti di una domenica di luglio, nella speranza - finora delusa - di recuperare qualche decimale nei sondaggi e di fermare la corsa di Salvini.
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