
Nel programma elettorale la liquidazione del Mes era categorica e i big grillini, da Dibba a Giulia Grillo fino a Francesca D'Uva, erano compatti. Poi è arrivato il dietrofront pro Ue. È sufficiente riavvolgere il nastro indietro ai tempi della campagna elettorale per le ultime elezioni politiche - dunque ai primi del 2018 - per rendersi conto dello straordinario burlesque politico messo in atto dal M5s sul tema della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Tutto nero su bianco, basta fare una semplice ricerca in Rete e andare a rileggersi il programma politico in materia di affari esteri, ancora oggi disponibile sul sito ufficiale. Sotto la voce «Smantellamento della Troika» il volenteroso lettore si imbatterà nel seguente inequivocabile concetto: «Il Movimento 5 stelle […], in particolare, si impegnerà alla liquidazione del Mes (Fondo «salva Stati»), liberando in tal modo gli Stati dalla necessità di adeguarsi alle “rigorose condizionalità" imposte attraverso decisioni prese in contrasto con i principi democratici degli organi sovranazionali che formano la cosiddetta “Troika"». Un'idea ripresa (seppure in maniera molto più sfumata) anche nel contratto di governo sottoscritto qualche mese più tardi con la Lega, con il quale i due ex alleati di governo ritengono «necessario rivedere, insieme ai partner europei, l'impianto della governance economica», all'interno della quale è compreso il Mes. L'avversione dei pentastellati per il Fondo salva Stati risale in realtà a molto prima. Spettacolare in questo senso, anche dal punto di vista scenico, la seduta svoltasi alla Camera il 15 gennaio 2014. Nell'occasione, l'ordine del giorno di Montecitorio prevede, tra le altre cose, la discussione delle mozioni sulle iniziative di revisione dei vincoli derivanti dai trattati europei. Dai banchi, una scatenata Tiziana Ciprini (M5s) prende la parola e sputa fuoco e fiamme contro il Mes, «che in verità serve a salvare banche e la Germania». «Quanti redditi di cittadinanza avreste potuto finanziare con tutti quei soldi, invece di buttarli nel Mes», si chiede la deputata grillina, «ma dove li trovate tutti questi soldi in un Paese pesantemente colpito dalla disoccupazione e con le casse della tesoreria perennemente vuote?». Nel corso della sua durissima disamina, la Ciprini mette l'accento sul principio di condizionalità: «La Troika […] ti detta le cose che devi fare per salvarti, ovvero le riforme strutturali che devi attuare nel tuo Paese nel settore finanziario, fiscale e sociale. È l'aiutino subordinato. Scatta la trappola del ricatto e si entra nel loop dei sacrifici richiesti ai cittadini: privatizzazioni, tagli della spesa pubblica, smantellamento del sistema pensionistico. È l'inventario del bottino di questa guerra combattuta senza armi. Nel momento in cui si accede a questi prestiti il Paese perde la propria sovranità».Ma il meglio deve ancora venire. Dopo quell'intervento si susseguirono ben 50 dichiarazioni di voto targate M5s, nel corso di molte delle quali i compagni di partito (tra questi Giulia Grillo e Alessandro Di Battista) approfittano per fare - letteralmente - nome e cognome dei colleghi che nel 2012 avevano votato a favore del Mes e del fiscal compact. Solo qualche mese fa, alla vigilia del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno scorsi, erano stati i pentastellati Filippo Scerra e Francesco D'Uva (cofirmatario della risoluzione di maggioranza con il leghista Riccardo Molinari) a scagliarsi contro la proposta di riforma del Fondo salva Stati. Come per magia, ieri gli improperi nei confronti dell'Europa matrigna sono spariti e la risoluzione di maggioranza è passata senza troppi patemi d'animo. Da partito del «vaffa» a stampella dell'establishment il passo è breve.
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.






