2021-12-14
Ci tengono in emergenza per sgambettare Draghi
Mario Draghi (Getty images)
La situazione non è affatto catastrofica, eppure così viene dipinta e Roberto Speranza con i suoi è entrato in azione per prorogare l’ennesima volta lo stato di calamità. Il primo obiettivo? Impedire al premier di salire al ColleCome previsto, la campagna vaccinale si sta intrecciando con quella del Quirinale. E guarda caso la dichiarazione dello stato di emergenza sta diventando un affare di Stato, strumento decisivo nelle mani di chi vuole determinare il prossimo presidente della Repubblica. Mi spiego: il provvedimento non è ritenuto indispensabile per affrontare una situazione fuori controllo, che non c’è, ma per legare Mario Draghi alla poltrona di presidente del Consiglio e impedirne l’ascesa al Colle. Sebbene non ci sia alcuna emergenza, in quanto i numeri dei ricoveri in ospedale, ma soprattutto dei decessi, siano largamente inferiori a quelli di un anno fa (oggi la mortalità da Covid è un quinto di quella del dicembre scorso), al ministero della Salute non vedono l’ora di ottenere che sia dichiarata la calamità sanitaria. E insieme ai funzionari ministeriali, a essere interessati alla misura sono anche parecchi aspiranti alla massima carica o quanto meno chi ritiene di poter avere titolo per portare il proprio candidato al Colle. Oltre a garantire poteri speciali alla struttura commissariale e preservare le funzioni delle varie commissioni tecniche, la dichiarazione di emergenza consentirebbe infatti di rendere praticamente impossibile l’incarico di capo dello Stato all’attuale premier. La designazione alla più alta carica della Repubblica sarebbe considerata una scelta poco responsabile e dunque incompatibile con la situazione, in quanto avrebbe un effetto destabilizzante, perché in un momento decisivo per le scelte di rilancio economico l’Italia si priverebbe della persona più autorevole di cui dispone, assegnandole un ruolo non operativo come quello di presidente della Repubblica. Non solo: la nomina di Draghi rischierebbe di essere percepita come un passo indietro, vale a dire una fuga, in uno dei momenti decisivi nella lotta al virus. Già nei giorni scorsi avevamo anticipato l’attuale scenario, lasciando intravedere come l’argomento Covid fosse l’ostacolo principale sulla strada di Draghi per il Colle. Tuttavia, ora che si avvicina il momento della decisione su chi dovrà prendere il posto di Sergio Mattarella, la questione sull’emergenza rischia di diventare determinante. I consulenti di Roberto Speranza spingono per la prosecuzione delle condizioni di massima allerta, citando il numero dei contagi in crescita. L’emergenza dovrebbe essere prolungata di due o tre mesi, guarda caso giusto il tempo di decidere chi debba salire al Colle. Vi chiedete come mai al ministero della Salute siano così interessati alla questione? La risposta è semplice. Senza emergenza, Draghi può far le valigie e lasciare Palazzo Chigi per il Quirinale. Ma insieme con lui potrebbero essere indotti a traslocare in tanti, perché l’avvicendamento non garantisce di essere indolore. Con un cambio della guardia al vertice del governo, qualcuno potrebbe cogliere l’occasione per farne uno anche tra i singoli esponenti dell’esecutivo. Infatti, se in caso di elezione a presidente della Repubblica il rimpasto riguarderebbe il solo premier, chi può escludere che si possa allargare anche al resto della compagine ministeriale? Se a Palazzo Chigi andasse per esempio Marta Cartabia, la Guardasigilli potrebbe decidere di non ereditare tutto l’esecutivo a scatola chiusa, ma potrebbe aver voglia di sostituire qualche ministro, ad esempio quello della Salute. Un rischio che né Speranza né altri vogliono correre. Non solo: se Draghi si insedia al Colle, siamo sicuri che non ci sarà qualcuno che ne approfitterà per accorciare la legislatura e anticipare le elezioni? Ai grillini non conviene, perché fra le fila del Movimento 5 stelle in caso di voto si registrerebbe una strage di onorevoli. Però se i «semplici cittadini» rischiano la poltrona, un semplice professore in aspettativa come Giuseppe Conte la potrebbe guadagnare. Anche tra i parlamentari del Pd non sono in molti a tifare per le urne, tuttavia a Enrico Letta un bel ricambio in Parlamento farebbe comodo, perché sterminerebbe i renziani che ancora si annidano in quantità dentro il suo partito. Di certo il voto piacerebbe pure a Giorgia Meloni, che capitalizzerebbe i risultati che le attribuiscono i sondaggi, ma forse anche Matteo Salvini potrebbe essere tentato, visto che le rilevazioni danno la Lega in discesa e dunque se si votasse un anno prima potrebbe fermare l’emorragia, senza il timore di vedere scendere ulteriormente le percentuali. Insomma, tutti candidano Draghi per la poltrona più prestigiosa fra quelle istituzionali, ma a volerlo sono in pochi e la dichiarazione dello stato di emergenza toglierebbe le castagne dal fuoco a chi non vuole sporcarsi le mani. L’allarme sanitario congelerebbe il quadro politico, con un vantaggio: non congelerebbe la scelta del capo dello Stato. Anzi, consentirebbe tutti i giochi, lasciandone fuori colui che ha in mano le carte migliori. Sempre che l’ex governatore non trovi il modo per liberarsi dalle catene che lo vogliono inchiavardare a Palazzo Chigi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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