
Giuseppe Conte smantella il regime forfettario per gli autonomi, poi risponde alle critiche: «Non possiamo tagliare loro le tasse, sono privilegiati». Il solito modo per creare confusione e mettere le categorie una contro l'altra.L'assurdo è ormai una stagione se non fosse che dietro la facciata i danni sono veri. Ieri il premier, Giuseppe Conte, intervenendo sulla polemica scaturita dal tentativo in manovra di scardinare il calcolo forfettario per le partite Iva, ha detto la sua. «Il nostro sistema ha un fisco inefficiente e iniquo che richiede una riforma più complessiva, nel frattempo tenere un'aliquota del 15% per coloro che guadagnano fino a 65.000 euro, vi sembra che significa che stiamo perseguendo una categoria? Il 15% è una soglia molto bassa, abbassarla di più è impossibile entreremmo nella logica opposta», ha concluso. Non sappiamo se sia il gioco delle parti o semplice malafede. Purtroppo ciò che sappiamo è che ogni dichiarazione si stratifica e alla fine nessuno più capisce dove sta la fregatura. Salvo far passare un messaggio: la categoria degli artigiani, dei commercianti e dei liberi professionisti è fatta di privilegiati. Un messaggio che a sua volta alimenta l'odio sociale che a sua volta viene usato dal governo per spremere fino all'ultimo chi non lo vota. Analizziamo meglio la frase di Conte. Il premier dice che non si può abbassare l'aliquota della flat tax targata Lega. Nessuno sulla faccia della terra, tanto meno nell'emiciclo, ha mai chiesto di abbassare il prelievo. Al contrario, il governo tramite una serie di interventi, coordinati da Fabrizia Lapecorella, direttore generale del Mef, si appresta a smontare il forfettario per reintrodurre di fatto il regime dei minimi. Fino al 2017 solo chi guadagnava fino a 30.000 euro lordi poteva evitare il pagamento dell'Iva e applicare un regime semplificato con contabilità quasi nulla. Con l'introduzione della flat tax leghista la platea è passata da circa 900.000 persone a quasi 1,5 milioni. I 600.000 in più non solo hanno beneficiato del 15% di tasse ma anche degli altri vantaggi burocratici che a quei livelli di reddito fanno la vera differenza. I costi del commercialista scendono e le possibilità di commettere errori sanzionabili dall'Erario si riducono sensibilmente. Smontare il forfettario è peggio che alzare il prelievo al 18 o al 20%. Per due motivi. Il primo è legato alle complicazioni burocratiche che tornano a creare disagio peggio di prima. Il decreto fiscale in via di definizione ad esempio prevede sanzioni fino a 1.000 euro per sbagli nella comunicazione degli F24. Una assurdità. Che dimostra il vero intento vessatorio. Chi lavora, se guadagna paga le tasse volentieri. Ciò che invece è sintomo di assolutismo fiscale è essere in balia dell'Erario, ogni anno vedersi cambiare le carte in regola in modo da essere sempre potenzialmente degli elusori. E qui si innesca il tema dell'odio sociale. Più racconto ai dipendenti pubblici o ai lavoratori dipendenti che le partite Iva sono un nemico, più è difficile che le parti si coalizzino per votare. Lo stesso discorso che è stato applicato tra giovani e anziani quando si tratta di pensioni. O per i piccoli imprenditori contro la filiera dei grandi. Le dichiarazioni dei nostri politici dimostrano che essi non sanno niente di partite Iva, ma dimostrano anche che i suggeritori che stanno dietro sanno bene come muovere i fili. Per la prima volta da 15 anni a questa parte nel 2018 si è pensato ai piccoli liberi professionisti. Il regime dei minimi preesistente aveva il difetto di favorire il nanismo. Oltre ai 30.000 euro di reddito si abbandonava il regime agevolato per trovarsi in una giungla fiscale dalla quale tendenzialmente si usciva sopra i 70.000 euro di reddito. Solo a quel livello la fatica della camminata tra i lacci e le liane fiscali valeva la pena di essere percorsa. Sotto era più la fatica del guadagno. È stato il ragionamento applicato dal Conte uno. La posizione della sinistra ora non può accettare che si semplifichi il rapporto tra contribuente e Agenzia delle entrate. Perché la complicazione è controllo politico. Per questo semplice e drammatico motivo il Conte bis torna alla situazione esistente durante il governo Gentiloni. Il fatto che ancora ieri i grillini abbiano alzato la voce per difendere il provvedimento del 2018 fa sorridere. Il capo politico Luigi Di Maio ha detto di volerci «vederci chiaro» su molti temi, tra i quali proprio le rimodulazioni fino a 65.000 euro di reddito. Il viceministro del ministero dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni , ha parlato di un atteggiamento «non serio» di chi cambia le norme approvate solo nell'ultima finanziaria. Dove erano i 5 stelle quando il cdm ha approvato il documento programmatico di bilancio? Già lì dentro c'è il piede di porco per smontare il regime forfettario, non serve aspettare l'approvazione del decreto fiscale. La domanda è retorica. La strada della sconfitta delle partita Iva è segnata. I giallorossi hanno un unico collante: tassare. Litigheranno per salvare ciascuno i propri elettori. Poi ci sarà Matteo Renzi che difenderà i suoi. Tutti e tre i partiti non hanno dubbi su chi sia il nemico.
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Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.