2018-04-24
Il governo si vende le immagini dell’Italia
Accordo «storico» tra il Mibact e una società inglese per la gestione delle licenze delle foto di 439 nostri musei e luoghi culturali. Un'operazione politicamente rilevante, conclusa con un ente privato straniero da un esecutivo in carica per gli affari correnti. Paga l'arte e mettila da parte. Si potrebbe riassumere così, facendo il verso a un famoso proverbio, l'accordo stipulato tra il ministero dei Beni culturali e delle attività e del turismo (Mibact) e l'azienda inglese Bridgeman images per la gestione delle licenze delle immagini relative a centinaia di musei e siti culturali italiani. Bridgeman è leader internazionale nel settore della distribuzione e commercializzazione di immagini d'arte. Fondata nel 1972, ha sede a Londra e gestisce i diritti delle collezione di decine di musei e di gallerie d'arte sparse per tutti il mondo. Si va dal Museum of fine arts di Boston all'Art institute di Chicago, passando per la casa d'aste Christie's e la Manchester art gallery. Ora l'accordo italiano, che include siti del calibro degli Uffizi di Firenze, la Pinacoteca di Brera, Pompei e il Pantheon. Sul sito ufficiale l'agenzia si dichiara «grata» nei confronti del Mibact per il perfezionamento di un accordo che viene definito «storico».L'intesa è stata resa pubblica il 12 aprile scorso e, come si legge sul sito del Ministero, «consentirà a Bridgeman Images di acquisire, in forma temporanea e non esclusiva, immagini del patrimonio culturale di 439 musei e luoghi della cultura italiani» per «finalità editoriali e per la realizzazione di prodotti come documentari e allestimenti per il cinema, articoli di cartoleria e giochi, compatibili con la destinazione». Il tornaconto per il Mibact si traduce nel 50% del fatturato della Bridgeman, ricavi che potranno essere investiti per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Ecco dunque che per pubblicare all'interno di un libro l'immagine della «Primavera» di Botticelli, conservata agli Uffizi, toccherà sborsare 210 euro. Stessa cifra, tanto per fare un paio di esempi, per inserire in un volume «Il bacio» di Hayez, attualmente presso la Pinacoteca di Brera, o il «Tondo Doni» di Michelangelo Buonarroti.Pur volendo evitare ogni ostilità preconcetta, ci sono alcune perplessità sull'accordo siglato tra la Direzione generale dei musei e la società Bridgeman images. Intanto, l'idea che per utilizzare immagini di opere d'arte italiane in documentari, film, poster o puzzle, si debba corrispondere una somma di denaro a una società che ha sede legale nel Regno Unito (anche se la Bridgeman images di recente ha aperto una filiale a Bologna). Peraltro, l'Italia ha affidato a un mediatore la gestione dei diritti patrimoniali derivanti dall'impiego, a scopi commerciali, di quadri e sculture, percorrendo una strada che altrove è stata abbandonata. Ad esempio, uno studio del 2013, preparato per la fondazione americana Andrew W. Mellon, mostra come sempre più istituzioni museali stiano optando per l'open access. Tra queste, la National gallery di Londra, che offre «dowload immediati di immagini ad alta risoluzione utilizzabili a qualsiasi scopo», o il Metropolitan museum di New York.Bisognerebbe capire, allora, se dietro la scelta del Mibact c'è una precisa riflessione teorica sulla natura e gli obiettivi della policy intrapresa, o se la ragione del provvedimento sia stata solo l'esigenza di far cassa. Antonio Tarasco, che per conto della Direzione generale dei musei ha condotto le trattative con la Bridgeman, ha spiegato alla Verità che la normativa italiana impone la riscossione di un canone per l'impiego a scopi di lucro dell'immagine di opere d'arte. «Proprio per ottemperare agli obblighi di legge, il ministero dei Beni culturali aveva già degli accordi con altre società. La vera novità», ha riferito Tarasco, «è che adesso lo Stato guadagnerà di più, perché anziché utilizzare fotografie scattate da terzi, Bridgeman images collocherà sul mercato quelle contenute nel catalogo del ministero dei Beni culturali».Certo, il Mibact ha portato a termine un'operazione politicamente molto rilevante proprio nel periodo in cui il governo è in carica solo per sbrigare gli affari correnti. Concedere a un ente privato, sia pure in forma temporanea e non esclusiva, la gestione dei diritti economici della Venere di Botticelli o della Paolina Borghese di Canova, non è esattamente ordinaria amministrazione. Curiose, inoltre, le modalità con cui è stata stabilita la partnership. Secondo la ricostruzione di Tarasco, è stata Bridgeman images a contattare il Ministero: a Londra, anzi, si sarebbero meravigliati «della facilità di interlocuzione con gli uffici ministeriali». La trattativa era iniziata con il ramo britannico della Bridgeman. Ma ad agosto 2017, cioè pochi mesi prima di firmare l'intesa con il dicastero di Dario Franceschini, la società ha fondato una società a responsabilità limitata in Italia. E al Mibact, che aveva svolto tutte le indagini opportune sulla Bridgeman images londinese, non si sono accorti che la filiale bolognese appare un po' limitata per amministrare il copyright di uno dei patrimoni artistici più prestigiosi del pianeta: l'azienda ha un amministratore unico (Victoria Rose Bridgeman, cittadina britannica domiciliata a Milano), due addetti e un capitale sociale di 10.000 euro. La Verità ha provato a contattare sia gli uffici britannici della Bridgeman che quelli di Bologna senza ottenere risposta. Ovviamente il nostro quotidiano rimane a disposizione per qualsiasi comunicazione da parte dell'agenzia in merito alla vicenda.
Getty Images
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