2021-07-29
Il governo fa i conti con la realtà. Slitta anche la «nuvola» di Stato
Vengono rinviati alcuni impegni presi a sostegno del Recovery plan malgrado le assicurazioni di Mario Draghi. In difficoltà la legge sulla concorrenza e il cloud della Pa che Vittorio Colao aveva promesso avviare entro luglio. I decreti legge vanno avanti a colpi di fiducia. Le scadenze sono perentorie perché messe nero su bianco nel documento programmatico del Recovery plan. Ieri è stato il turno del decreto governance e del Semplificazioni. Il governo sta però sperimentando quanto sia complicato l'iter intermedio della democrazia. Ci sono le commissioni d'Aula, gli emendamenti e pure la furbizia di certi partiti abili nel piegare i calendari dei lavori per spingere o affossare una legge. È successo per il ddl Zan, ma a pagarne lo scotto è stato il Pd. Rischia di succedere per la legge sulla concorrenza. In questo caso i ritardi finirebbero dritti dritti a Palazzo Chigi. È stato infatti lo stesso Mario Draghi durante il recente incontro con il commissario Thierry Breton a ribadire le tempistiche. Il testo fermo dal 2017 dovrà essere licenziato dall'ultimo consiglio dei ministri di luglio per poi finire in Aula ad agosto e avviare un percorso di approvazione in vista del gennaio 2022. Si tratta di sei mesi. Pochissimi, se si pensa alla complessità della legge, al fatto che fino ad oggi i partiti l'hanno voluta tenere nel cassetto e - soprattutto - che in dirittura di arrivo c'è il decreto Cyber security, la complessa riforma della giustizia e il testo che dovrebbe mettere mano a tutte le norme fiscali. Inoltre il governo è al lavoro ancora sulla rete unica, sulle leggi di delegazione Ue, i testi sul copyright e sulla prima partita inserita nel Pnrr: la nascita del cloud di Stato. Il progetto di sviluppo digitale che permetterà all'intera pubblica amministrazione di superare i vecchi server e finire sui nuovi archivi online che hanno permesso il salto della Silicon Valley. Il capo di gabinetto del neo ministero della Transizione digitale, Stefano Firpo, in un evento pubblico all'ambasciata francese di Roma datato maggio ha per primo fissato il paletto. Annunciando per fine giugno l'avvio del polo strategico della Pa. Il riferimento è allo stanziamento dei primi 900 milioni di euro per migrare una serie di attività. Prodromiche all'intero progetto di digitalizzazione che a spanna cuba un investimento di oltre 6 miliardi di euro. A giugno è intervenuto direttamente il ministro Vittorio Colao. In una intervista ha detto perentorio: «Si parte, entro luglio i primi bandi». Il mese è praticamente terminato e non solo i bandi non sono avviati, ma al momento è giunta per scritto una sola manifestazione di interesse. È stata inviata da Almaviva che dalla sua vanta un importante background con enti locali come la Lombardia. Alla Verità risulta che entro fine settimana non giungerà nulla più al ministero e che bisognerà attendere almeno settembre perché a oggi le domande sul tavolo del cloud nazionale sono molte più delle risposte. Innanzitutto, sul percorso di assistenza agli enti locali critici e a quelli fragili. Ovvero, se il progetto cloud dovrà mettere in sicurezza prima i dati più sensibili oppure gli enti più facilmente bucabili ma con dati e informazioni non certo preziose. Inoltre, a oggi resta aperta una incognita fondamentale. Nessuno sembra avere comunicato alle aziende le chiavi di criptografia che serviranno a mettere in sicurezza il bottino informatico. Non è un dettaglio, perché un modello piuttosto che un altro implicano progetti e investimenti ben diversi. Va, però, detto che al momento non è possibile fornire tale dettaglio. Infatti, il compito non toccherà a Colao, ma all'agenzia cyber la cui nascita dipende dal decreto che in queste ore viaggia alla Camera. Solo l'Agenzia di cybersicurezza nazionale potrà intervenire, così come toccherà alla stessa Acn certificare i cloud provider della Pa (l'ha deciso un emendamento inserito nel testo la scorsa settimana). Risultato, pronti via e poi slitta tutto all'autunno. D'altronde anche le alleanze industriali che si sono formate attorno al progetto sembrano vacillare. Fincantieri sta a guardare. Amazon dialoga con gli altri player. Almaviva ha chiuso un accordo con Aruba che a sua volta era stata messa da parte da Leonardo che ha preferito Microsoft. Salvo poi allearsi con Tim che a sua volta ha un contratto vincolante con Google. Pende inoltre la decisione di Cassa depositi e prestiti tirata ampiamente dalla giacchetta da Alessandro Profumo e da Luigi Gubitosi che ieri, parlando del futuro dell'azienda oltre la connettività, è tornato sulla rete unica e sugli investimenti in Sparkle precisando che: «Stiamo dialogando con Cdp e saremo felici di poter partecipare a queste discussioni anche in futuro, con la speranza che portino i frutti che promettono di portare, che sia il governo sia Cdp si aspettano». La cosa migliore forse sarebbe stata pubblicare un bando di gara a fine giugno con tutte le caratteristiche (anticipando il tema delle chiavi di crittografia) e attendere i risultati per settembre. Ora il rischio è che qualche escluso in futuro faccia ricorso con il rischio per Draghi di fare i conti con la giustizia amministrativa. Ci va bene che Bruxelles abbia rinviato a ottobre l'analisi e l'approvazione dell'uso delle risorse proprie. Ma eventuali contenziosi richiederebbero molto più tempo. Purtroppo il caso cloud si sta dimostrando l'esempio da letteratura in grado di spiegare quanto decreti e progetti si intreccino e la messa a terra del Pnrr rischi ad ogni angolo di scontrarsi con la realtà.
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