2020-07-31
Il governo di Giuseppi è indaffarato a secretare le ragioni del lockdown
Una sentenza del Tar aveva posto l'obbligo di divulgare i pareri del comitato tecnico scientifico alla base delle restrizioni alle libertà individuali. L'esecutivo ha fatto ricorso al Consiglio di Stato: addio trasparenza. Signornò. A questo punto la curiosità diventa infantile e il niet somiglia a un carro armato sovietico sulla piazza Rossa. Quali verità inconfessabili sono contenute in quelle carte? Il governo le tiene ben nascoste, ha deciso di sostenere il braccio di ferro con il Paese e di mantenere segreti i documenti del Comitato Tecnico Scientifico nel periodo del lockdown, quelli che lo hanno ispirato e hanno scandito (in marzo e aprile) due mesi di sospensione cautelativa dei diritti democratici per meglio affrontare la pandemia di virus cinese. La battaglia di Giuseppe Conte contro la trasparenza è sorprendente perché è stato proprio lui, due giorni fa, a dichiarare a proposito dell'allungamento dello Stato di emergenza: «La scelta non è riconducibile alla volontà di creare una ingiustificata situazione di allarme».Se è come dice, sia il primo a consentire l'accesso agli atti. Sia l'artefice di un gesto di sincerità come quello chiestogli da tre giuristi della Fondazione Einaudi - Rocco Mauro Todero, Andrea Pruiti Ciarello ed Enzo Palumbo - che in tempi non sospetti, ad aprile, avevano sollecitato la lettura dei documenti del Cts. Di fronte al primo no del premier e della Protezione Civile che materialmente li custodisce, gli avvocati si sono rivolti al Tar del Lazio per ottenere la disponibilità dei dossier «contenenti le misure restrittive di diritti e libertà di rango costituzionale imposte agli italiani». Le valutazione del Comitato Tecnico Scientifico erano e sono decisive per la stesura dei famigerati Dpcm, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, destinati a continuare fino a metà ottobre nonostante le accuse di incostituzionalità e di «deriva liberticida» da parte di costituzionalisti come Sabino Cassese e Michele Ainis, non certo sospettabili di complotti con il nemico sovranista. Il primo, soprattutto, molto vicino al Quirinale.Il 22 luglio scorso il Tribunale amministrativo ha dato ragione ai giuristi einaudiani e ha chiesto di far cadere il segreto su quei verbali entro 30 giorni. Il ricorso è stato accolto e gli avvocati hanno sottolineato l'importanza della decisione «al fine di consentire agli italiani di conoscere le vere motivazioni per le quali, durante l'epidemia da Covid-19, sono stati costretti in casa, anche in quelle regioni e in quei territori dove non si sono registrati casi di infezione. Il governo, e per esso il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, si era rifiutato di consegnare copia dei verbali». Ma l'esecutivo continua a a fare muro, ha deciso di non accettare la decisione del Tar e ha interposto ricorso al Consiglio di Stato. La spiegazione è leguleia, parte dal fatto che i Dpcm sarebbero «frutto di attività ampiamente discrezionale ed espressione di scelte politiche da parte del governo che trovano la propria fonte giuridica nella delega espressamente conferita dal legislatore all'esecutivo». Una motivazione che non motiva nulla, anzi serve palesemente per alzare cortine fumogene da corazzata in difficoltà. E accredita deleghe in bianco su materie costituzionali del tutto estranee all'ordinamento. «Questo gesto è molto grave», sottolinea l'avvocato Andrea Pruiti Ciariello. «Dimostra che il governo non è disponibile ad essere trasparente su atti così importanti, che hanno compresso i diritti e le libertà costituzionali per i cittadini come mai nella storia della repubblica». Ora la fondazione invita Palazzo Chigi «a ritirare il ricorso per consentire agli italiani di giudicare le scelte dell'esecutivo». È una sollecitazione che arriva dal presidente Giuseppe Benedetto, il quale auspica che «la presidenza del Consiglio ripensi la sua posizione. Noi non abbiamo alcun intento di partecipare al confronto politico in corso. Abbiamo fino all'ultimo sperato in un gesto di eleganza e di sostanza democratica della presidenza del Consiglio, che di fronte a una sentenza del Tar avrebbe potuto adempiere senza proporre appello e insistere in una linea che appare di retroguardia».L'omertà di Stato è preoccupante perché sigilla sotto il silenzio istituzionale strategie e comportamenti che hanno determinato scelte superficiali o sbagliate con conseguenze drammatiche, visto il tragico impatto della pandemia (35.000 morti). In quei dossier ci sono tutte le contraddizioni e i pasticci nell'attuare le zone rosse, che dipendevano dal governo poiché necessitavano dell'impiego della forza pubblica, quindi dell'ok del ministero dell'Interno. In quei dossier si potrebbe verificare la reale quantità e qualità degli aiuti alle regioni più colpite, per esempio la Lombardia (epicentro nazionale del contagio), lasciata sola per almeno un mese a combattere in trincea. E costretta, come ente regionale, ad attivare una filiera per la realizzazione di 900.000 mascherine al giorno in piena autonomia organizzativa e finanziaria, poiché i dispositivi ordinati dal commissario Domenico Arcuri tardavano colposamente ad arrivare. Nei documenti praticamente secretati senza alcun diritto da palazzo Chigi ci sono le rispose a molte delle domande che i parenti delle vittime oggi pongono a medici, infermieri, piccoli funzionari locali. Troppo facile. Capire cosa è accaduto è più importante che prolungare lo stato d'emergenza, le cui basi stanno dentro quei misteri, dentro quei silenzi. Se il premier Conte pensa di tranquillizzare il Paese nascondendogli la verità sbaglia. Ottiene l'effetto opposto di aumentare il grado di diffidenza nei confronti di un esecutivo ormai avvezzo a governare con gli strumenti poco trasparenti dell'emergenza. Nella palude non si sollevano obiezioni a sinistra, dove per molto meno Polonia e Ungheria erano state bollate come dittature. In confronto a Conte, il signor Viktor Orban sembra Pericle nell'Atene dell'età dell'oro.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)