2019-10-04
Il giudice non stacca la spina: «Tafida viva»
Per una volta la giustizia inglese decide che la morte non è il miglior interesse del malato. E la bambina di cinque anni in coma può curarsi a Genova. Non solo, l'alta Corte crea un precedente facendo riferimento «alla religione e alla santità della vita».Quando il giudice ha finito di leggere la sentenza, la mamma di Tafida Raqeeb è scoppiata in lacrime. Un pianto di felicità, ma anche liberatorio. Perché sua figlia, che ha cinque anni, continuerà a vivere. L'alta Corte di Londra ha decretato che alla bambina, in coma da febbraio a causa di un aneurisma, non potrà essere tolta la ventilazione artificiale, che invece i medici del Royal London hospital volevano spegnere. E ha anche stabilito che la famiglia può decidere di farla assistere dove preferisce, quindi anche di trasferirla in Italia, all'ospedale Gaslini di Genova, che da giugno si è detto disponibile a seguire il suo caso.Un verdetto sorprendente, visto che va nella direzione opposta rispetto a quelli emessi in passato nei casi di Charlie Gard, Alfie Evans e Isaiah Haastrup, bambini più piccoli in condizioni simili, cui il supporto vitale è stato tolto per volere del giudice. Questa volta, invece, il desiderio della famiglia ha prevalso su quello dell'autorità sanitaria. A essere importanti, però, sono soprattutto le motivazioni. «La sua situazione differisce da quella di altri pazienti del passato», ha scritto il giudice Alastair MacDonald, «perché la bambina non soffre e le sue condizioni sono stabili, il che significa che il trattamento di ventilazione e il trasferimento non sono un problema per lei». In una sentenza di 70 pagine il giudice ha poi precisato che trasferimento e ventilazione sono «in linea con i principi religiosi e culturali con i quali Tafida è stata cresciuta». E ha aggiunto: «Trasferire la bambina in Italia per il trattamento è una scelta dei genitori nel loro diritto di patria potestà e tiene conto della santità della vita di Tafida. Per questa ragione sono convinto che continuare con la ventilazione sia nel miglior interesse della piccola». Poi la conclusione, che ha un impatto dirompente: «I fattori etici, morali e religiosi devono essere presi in considerazione e bilanciare la visione dei medici, quando si decide ogni singolo caso». Una presa di posizione che pesa, visto che per la prima volta non si mettono più a confronto i sentimenti della famiglia e il benessere fisico, ma diventa prevalente anche la questione della fede e dei suoi principi cardine. Il che potrebbe segnare una nuova strada. Anche per questa ragione la fondazione Barts health, che gestisce l'ospedale per conto del servizio sanitario nazionale Nhs, ha annunciato che sta valutando se presentare un appello contro la sentenza. Lo ha dichiarato subito il loro avvocato, Katie Gollop, che ha spiegato come questa decisione vada al di là del caso di Tafida e possa avere ripercussioni anche sulla situazione di altri pazienti. Perché con queste argomentazioni probabilmente anche per Charlie Gard, Alfie Evans e Isaiah Haastrup il verdetto avrebbe potuto essere diverso. In Gran Bretagna di solito c'è una finestra di 21 giorni per fare appello, ma considerata la salute della bambina e la delicatezza del caso il giudice ha chiesto a Barts health di decidere con rapidità e quindi si potrebbe arrivare a una scelta in una decina di giorni. Da parte sua, la madre di Tafida, Shelina Begum, avvocato che ha messo da parte la carriera per seguire la piccola, si è detta sollevata dopo la sentenza. «Tafida non sta morendo», ha detto. «Giorno dopo giorno abbiamo visto i suoi piccoli continui progressi e siamo speranzosi che se continuerà ad avere la ventilazione e a essere sottoposta ai trattamenti giusti potrà recuperare. Per noi il suo miglior interesse è sempre stata la prima cosa». Di fronte alle telecamere Shelina Begum e il marito, Mohammed Raqeeb, che è impresario edile, hanno voluto ringraziare tutti, dal giudice a coloro che in questo difficile periodo li hanno sostenuti. Poi la donna ha concluso: «L'esperienza di dover lottare per il proprio figlio nel corso degli ultimi tre mesi è stata traumatica e sfibrante per tutti i membri della ma famiglia. Siamo contenti che sia finita». Per lei adesso l'importante è non dover ricominciare questa battaglia con l'ospedale, trasferire Tafida in Italia e starle accanto mentre compie giorno dopo giorno un percorso per ritornare a essere la bambina allegra e gentile che tutti amavano, a casa come a scuola.All'ospedale Gaslini di Genova, del resto, non aspettano altro. «Sin da quando abbiamo dato la nostra disponibilità la prima volta a giugno, attendevamo questo momento», spiega il direttore generale, Paolo Petralia. «La sentenza ci dà gioia e soddisfazione, per la piccola e per i suoi cari. Appena l'aspetto autorizzativo sarà sistemato, non ci saranno ostacoli per andare a prendere la bimba e portarla da noi». L'ospedale ligure garantirà un trasporto protetto, con un'eliambulanza e un'equipe di esperti per garantire che tutto avvenga in assoluta sicurezza. «Quando Tafida arriverà verrà sottoposta a una serie di verifiche per inquadrare le sue condizioni e poi ci saranno le valutazioni successive degli specialisti, che ci diranno come procedere. A quel punto sarà collocata nel livello assistenziale più opportuno per lei: il posto giusto, per il tempo adeguato». L'ospedale Gaslini offre uno spettro ampio di possibilità, dall'assistenza ad alta intensità a quella intermedia, fino alla degenza di lunga durata che porta alla riabilitazione. «Tafida rientrerà in un percorso di cura che per noi è assolutamente normale», insiste il direttore generale Petralia. «Shelina Begum ha sottolineato quanto difficile sia stato dover lottare per garantire al proprio figlio il diritto alla cura. Ma come si può pensare di non prestare assistenza a un malato che ne ha bisogno? Noi lo facciamo per qualunque bambino. In qualunque condizione».
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